di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 11 luglio 2022 – Il 5 luglio scorso in Egitto è stato ufficialmente inaugurato il cosiddetto “dialogo nazionale”. Da un’idea del Presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi, nasce una piattaforma pubblica che accoglierà rappresentanti della società civile e della politica all’interno della quale si potranno discutere i problemi politici, economici e sociali del Paese. L’obiettivo, secondo le intenzioni dichiarate da Al Sisi, è riaprire un dialogo con i partiti di opposizione e ricevere da loro critiche e proposte di riforme per governare l’Egitto. Una drastica “riforma politica” in quello che Al Sisi ha battezzato come “l’anno della società civile”. “Vogliamo che l’opposizione critichi il nostro lavoro e dica ciò che gli piace, ed è mio dovere rispondere”, così lo ha descritto il suo ideatore.
La proposta era stata lanciata dal Presidente egiziano nell’aprile scorso, nel bel mezzo del banchetto annuale dell’”Iftar della famiglia egiziana”. Durante il pranzo, Al Sisi aveva rivolto un appello a tutti i partiti politici e le correnti giovanili del Paese – eccezion fatta per i Fratelli Musulmani, pochi giorni prima confermati da un tribunale egiziano nella lista dei gruppi terroristici per altri cinque anni – a elaborare insieme, attraverso un dialogo tra maggioranza e opposizione, un nuovo “piano d’azione nazionale”. L’Egitto, aveva dichiarato il Presidente, “accoglie tutti e le differenze d’opinione non rovinano la causa della Nazione”.
Una svolta sotto i migliori auspici quella che aveva annunciato Al Sisi in primavera e che adesso sembrerebbe prendere forma. La riapertura al dialogo ha richiesto un’organizzazione scrupolosa. Il risultato è un apparato complesso in cui le diverse voci del Paese saranno chiamate a confrontarsi secondo le regole di uno Statuto di 19 articoli.
A regolare il dialogo sarà la National Training Academy, un’istituzione di formazione politica diretta dallo stesso Al Sisi. Gli ordini del giorno saranno stabiliti dal coordinatore generale del dialogo nazionale. Per ricoprire l’incarico è stato nominato il capo del sindacato dei giornalisti egiziani, Diaa Rashwan. Una scelta accolta felicemente da molti commentatori in Egitto come prova di un progetto serio e neutrale. E’ stato Rashwan a eleggere, dopo varie consultazioni politiche, i 19 membri del consiglio del dialogo nazionale: tra di loro senatori, avvocati, giornalisti, femministe. Il loro compito sarà quello di selezionare le proposte da portare direttamente alle orecchie di Al Sisi. Per il dialogo nazionale è necessaria, infine, una segreteria tecnica, presieduta da Mahmoud Fawzy, già segretario generale del governo del Consiglio supremo per la regolamentazione dei media.
Il fulcro di questa raffinata organizzazione saranno, di fatto, le sessioni di dibattito pubblico. Queste si terranno presso la National Training Academy di Al Sisi nelle date stabilite dal coordinatore generale. Ufficialmente, tutti sono invitati a candidarsi al dialogo e a partecipare alle sessioni di discussione. Sul sito della Conferenza Nazionale della Gioventù è, infatti, disponibile un modulo che i cittadini possono compilare per registrarsi al dialogo: finora, sarebbero pervenute oltre 700.000 candidature. Non è chiaro, tuttavia, quanti comuni cittadini prenderanno parte al dialogo, e in quali modalità.
Diverse sono state le reazioni dei partiti a questa improvvisa apertura al dialogo con le opposizioni. Alcune formazioni politiche, tra le quali Al-Wafd e il National Progressive Unionist Party, hanno aderito entusiasticamente al progetto. Secondo l’ex candidato alla presidenza del governo, Hamdeen Sabahi, si tratta di un passo avanti: “Il dialogo può consentire il ripristino della pluralità di voci in Egitto, di sapere come essere d’accordo e come dissentire, anche se, affinché il dialogo abbia successo, deve essere organizzato dalla Presidenza”, ha dichiarato a The Africa Report.
Tarek Fahmy, professore di scienze politiche all’Università del Cairo, ha detto ad Al Monitor: “Ci sono diverse condizioni che devono essere soddisfatte affinché il dialogo nazionale possa raccogliere i suoi frutti. Il principale tra questi è che la questione venga presa sul serio”. Attraverso “la partecipazione di tutte le forze politiche, ad eccezione dei Fratelli musulmani”, “il dialogo nazionale alla fine avrà luogo ed è importante che ci siano meccanismi esecutivi affinché si svolga senza intoppi”, secondo lo studioso.
Più cauta è stata la risposta di altri partiti. Dopo diverse consultazioni avvenute nel mese di maggio, serie criticità sono state avanzate dal Movimento Civile Democratico, che riunisce al suo interno sette partiti di opposizione, che ha comunque accettato l’invito al dialogo. “Negli ultimi otto anni, le voci dei partiti politici liberali” ha dichiarato ad Al Monitor il giornalista Khaled Dawoud, ex segretario generale del Partito della Costituzione liberale, “Sono stati messi a tacere in seguito alla detenzione di un numero significativo dei loro membri per le loro opinioni politiche e ideologiche; è giunto il momento di consentire ai partiti liberali di impegnarsi politicamente”.
Non tutti si sono lasciati trascinare dall’entusiasmo per il dialogo politico in Egitto. E’ un’impressione comune, anche al di fuori dei confini egiziani, che le intenzioni reali di Al Sisi non nascano dall’improvviso desiderio di trasformare il suo regime autoritario in un governo democratico. Secondo molti studiosi e analisti, il “nuovo corso” di dialogo politico che la Presidenza del Cairo sembra voler aprire deriva piuttosto dal tentativo di smacchiarsi la coscienza dei propri crimini davanti alla comunità internazionale. La svolta avviene, del resto, in un periodo di estrema difficoltà e di bisogno per l’Egitto, prostrato dalla crisi economica, dal rincaro di materie prime e carburante. Un’immagine edulcorata potrebbe giovare nelle relazioni internazionali – come l’impressione di una distensione del regime potrebbe alleggerire gli animi di un popolo impoverito e arrabbiato.
“Il governo vuole fare un carnevale per mostrare al mondo che abbiamo una democrazia, mentre il regime ha le sue impronte su molti crimini contro il popolo e continua ad arrestare, torturare e detenere egiziani“, ha dichiarato a The Africa Report un vecchio componente dei Socialisti Rivoluzionari, tra i partiti che guidarono la rivoluzione del 2011.
Proprio sulla questione dei detenuti politici in Egitto, il Movimento civile democratico e diverse organizzazioni per i diritti umani, tra le quali Amnesty International e Human Rights Watch, hanno iniziato a fare pressione all’indomani dell’annuncio dell’apertura al dialogo da parte di Al Sisi. Sono, infatti, decine di migliaia i prigionieri per reati d’opinione attualmente rinchiusi nelle carceri egiziane.
Le proposte che sono state redatte dai partiti di opposizione nel loro contenuto e nella ridondanza danno un’idea della situazione sociale e politica e del grado di esasperazione raggiunto nel Paese. Tra i suggerimenti, o meglio gli spunti di discussione, si legge: “Dovrebbe essere definito un calendario per il lavoro della Commissione della grazia, insieme all’annuncio di una sede della Commissione dove le famiglie possano presentare le loro domande di liberazione dei propri cari”; “Amnistia per tutti i casi politici, come quelli accusati di pubblicazione di notizie false e uso improprio dei social media, manifestazioni e raduni”; “Prevenire e criminalizzare l’arresto delle famiglie dei ricercati come strumento di ricatto e vendetta, insieme al loro rilascio immediato”; “Amnistia per i detenuti condannati in un tribunale militare con accuse politiche”; “Indagine su episodi di tortura e processo di valutazione delle sentenze giudiziarie emesse dal 24 luglio 2013 in tutti i casi politici”; “Fine della revoca della cittadinanza egiziana come strumento punitivo per i presunti dissidenti”. Insieme a questi punti, anche proposte di riforme economiche, democratiche e altri aspetti relativi alla tutela dei diritti umani in Egitto. Richieste che recano in sé drammatiche denunce – e che adesso, alla luce del nuovo clima di “dialogo politico”, il Presidente egiziano apparentemente non potrà ignorare nella sua agenda.
Anche Reporters Sans Frontières (RSF) ha colto l’occasione dell’annuncio del dialogo politico per fare pressione sul governo Al Sisi: “RSF chiede al governo egiziano di sbloccare i siti web di notizie e di rilasciare i giornalisti incarcerati nel “dialogo nazionale” che inizia oggi”, si legge in un comunicato del 5 luglio sul sito dell’organizzazione. “Questo dialogo nazionale deve portare a risultati concreti, compreso lo sblocco dei siti di notizie e il rilascio di tutti i giornalisti e blogger”, secondo Sabrina Bennoui, capo dell’ufficio Medio Oriente di RSF. Si intuisce scetticismo da parte di RSF, che, ripercorrendo i primi nove mesi del piano quinquennale annunciato nel settembre 2021 da Al Sisi come “Strategia per i diritti umani”, precisa: “Da allora, cinque giornalisti sono stati rilasciati e uno è stato messo in detenzione, con il risultato che il numero di giornalisti detenuti in Egitto è ora pari a 22. I tribunali egiziani hanno anche denunciato due blogger, Mohamed Oxygen e Alaa Abdel Fattah, e due giornalisti, Hisham Fouad e Alia Awad”. Dati che ancora non permettono di concedere molta fiducia al governo del Cairo in fatto di libertà d’espressione.
Perplessità sono state espresse anche da altre organizzazioni di attivisti. Ferma la denuncia di Human Rights Watch: “L’Egitto sotto il governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi sta vivendo una delle peggiori crisi dei diritti umani da molti decenni. Il governo ha cercato di mascherare gli abusi ma non ha preso misure serie per affrontare la crisi. Decine di migliaia di critici del governo, inclusi giornalisti, attivisti pacifici e difensori dei diritti umani, rimangono incarcerati con accuse abusive di “terrorismo”, molti in una lunga detenzione preventiva. Le autorità molestano e trattengono i parenti dei dissidenti all’estero”.
Resta, dunque, da aspettare e stare a vedere in che cosa si tradurrà questo “dialogo nazionale” voluto da Al Sisi e valutare che non sia, come nei presagi del dissidente anonimo dei Socialisti Rivoluzionari, soltanto “un carnevale”, una celebrazione della farsa e del grottesco. Proprio nei giorni dell’apertura del “dialogo”, arriva l’accusa alle autorità egiziane da parte di Amnesty e Human Rights Watch di aver manomesso le indagini sulla morte del ricercatore Ayman Hadhoud, 48 anni, secondo le organizzazioni torturato e ucciso in carcere. E’ del 7 luglio, inoltre, la notizia dell’arresto della blogger e attivista Aya Kamal el-Din, prelevata dalla propria abitazione nella giornata di domenica e, secondo quanto riferito dal suo avvocato, comparsa in una stazione di polizia del Cairo solo due giorni dopo. Un’utente egiziana ha commentato sarcasticamente la notizia sui social scrivendo che l’arresto di Aya Kamal el-Din era un passo necessario ad “aprire la via del dialogo nazionale”.