di Michele Giorgio –
Pagine Esteri, 26 agosto – L’Iraq è chiamato con urgenza a contenere le conseguenze del cambiamento climatico che rischiano di trasformare in un deserto totale una terra da sempre conosciuta come il Crescente fertile. Gli iracheni quest’anno affrontano una stagione di caldo torrido senza precedenti – già in tempi «normali» d’estate si raggiungono anche i 45 gradi – e continue tempeste di sabbia e polvere. La sfida è immensa. Nel 2019, le Nazioni unite hanno classificato l’Iraq come il quinto paese più vulnerabile al mondo ai cambiamenti climatici e alla desertificazione. Commentando l’aumento del numero e le proporzioni delle tempeste di sabbia, il direttore generale del ministero dell’ambiente Issa Al-Fayyad ha previsto che ci saranno una media di 300 giorni polverosi all’anno entro il 2050. «Il cambiamento climatico sta avendo impatto pesante sull’Iraq», ha detto in una recente intervista Hazbar Osama, uno dei responsabili dell’Organizzazione meteorologica irachena insistendo sulla necessità di attuare l’Accordo di Parigi e collaborare con gli Stati confinanti per la gestione dell’acqua dei fiumi Tigri ed Eufrate.
La desertificazione è esacerbata non solo dall’aumento delle temperature ma anche dalla scomparsa delle aree verdi, dalla diminuzione delle precipitazioni in Iraq e nei paesi vicini e dalla riduzione delle riserve idriche sotterranee. Il terreno si sta allentando ed è più a rischio di disperdersi nell’aria durante le tempeste di polvere che sono dannose anche per la salute. Nei primi sei mesi del 2022 migliaia di iracheni sono stati ricoverati negli ospedali per malattie respiratorie. E andrà peggio in futuro.
L’altro allarme riguarda l’acqua. In un rapporto pubblicato lo scorso novembre, la Banca Mondiale ha previsto che l’Iraq affronterà una grave penuria d’acqua entro il 2030, con meno di 1.000 metri cubi disponibili per persona. «La riduzione del 20% dell’approvvigionamento idrico provocherà mutamenti nei raccolti e il cambiamento climatico potrebbe ridurre il Pil reale fino al 4% (6,6 miliardi di dollari), rispetto ai livelli del 2016», si legge nel rapporto.
La dote millenaria del paese sono i fiumi Tigri ed Eufrate che forniscono circa il 98% delle acque superficiali. Dote che va spartita con altri paesi. Entrambi i fiumi hanno origine in Turchia. L’Eufrate attraversa la Siria prima di entrare in Iraq e i principali affluenti del Tigri scorrono dall’Iran. Quindi si uniscono allo Shatt Al Arab prima di sfociare nel Golfo. I flussi dei due fiumi sono diminuiti negli ultimi decenni, scendendo drasticamente da un picco di quasi 80 miliardi di metri cubi negli anni ’70. Gli ultimi dati resi disponibili dal ministero della pianificazione iracheno mostrano che nel 2020 la fornitura d’acqua dal Tigri era di 11 miliardi di metri cubi e quella dei suoi affluenti di 19 miliardi di metri cubi. La fornitura dall’Eufrate è stimata in 20 miliardi di metri cubi. L’approvvigionamento idrico totale dell’Iraq dai due fiumi, perciò, è stato due anni fa di 50 miliardi di metri cubi, 30 miliardi in meno rispetto agli anni ’70. E se le tendenze attuali dovessero continuare, l’Iraq potrebbe dover affrontare un deficit di 11 miliardi di metri cubi di acqua all’anno entro il 2035.
La diminuzione del livello dell’acqua del Tigri e dell’Eufrate in Iraq è in gran parte dovuta a dighe e progetti di irrigazione in Turchia e, in misura inferiore, in Iran. Ankara ha costruito decine di dighe che hanno ridotto i flussi a valle di entrambi i fiumi, Teheran è intervenuta sugli affluenti del Tigri approfittando della mancanza di accordi vincolanti per la condivisione dell’acqua. Presto sulle quote d’acqua è previsto un incontro tra Iraq, Siria e Turchia, ha annunciato il ministro iracheno delle risorse idriche Mahdi Rashid Al Hamdani. E l’esperto economico, Mazen Al Mayyali, in una intervista alla rivista Amwaj, sostiene che l’Iraq potrebbe convincere Turchia e Iran a una maggiore cooperazione usando lo sviluppo del commercio come carta vincente nei negoziati. Non ci sono certezze però.
Mentre lo stallo politico in cui si trova il paese da 10 mesi paralizza l’attività dello Stato, attivisti della società civile irachena e volontari hanno lanciato, anche sui social, una campagna per incoraggiare il rinverdimento delle terre aride in tre distretti a Baghdad, nonché nei governatorati di Karbala e Ninive. Consigliano la coltivazione di alcune specie di piante autoctone con la capacità di trattenere il suolo e l’acqua e dare ombra. E sollecitano i cittadini iracheni a piantare alberi e prendendosi cura di loro. Ma la portata della sfida è enorme e non può essere vinta senza piano d’azione delle autorità irachene in cooperazione con gli Stati confinanti. Pagine Esteri