di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 7 settembre 2022 – Non accenna a diminuire la tensione tra Turchia e Grecia, che negli ultimi mesi si sono rese protagoniste di una serie di atti reciprocamente ostili, di schermaglie e provocazioni.
Ai motivi storici della contrapposizione si sono sommati più recentemente i contrasti generati dalla disputa per il controllo dei giacimenti di gas del Mediterraneo orientale, che si sovrappongono al contenzioso generato dell’occupazione turca della parte orientale di Cipro nel 1974.
Erdogan minaccia: “La Grecia pagherà un prezzo alto”
Il 6 settembre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è tornato a minacciare Atene, ricordando che Ankara prosegue con determinazione il contrasto, anche in sede Nato, nei confronti del tradizionale nemico, che pure è membro dell’Alleanza Atlantica.
Intervenendo all’aeroporto di Esenboga prima della partenza del suo tour nei Balcani che lo porterà in Bosnia-Erzegovina, Serbia e Croazia, Erdogan ha minacciato apertamente la Grecia, prefigurando l’eventualità di una repentina azione militare: «Il nostro ministero della Difesa prosegue i colloqui con il segretario generale della Nato e altri rappresentanti. Credo che le affermazioni che ho fatto nei discorsi e la scorsa settimana abbiano avuto un certo riflesso (…) Altrimenti, come dico sempre, e qui lo ripeto, possiamo arrivare all’improvviso in una notte».
La Grecia pagherà un prezzo alto se violerà nuovamente lo spazio aereo turco e continuerà a “infastidire” i caccia turchi nel Mar Egeo, ha poi detto “il sultano”. Un concetto, questo, ribadito dal Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu.
Nei giorni scorsi Ankara ha denunciato che il 23 agosto alcuni dei suoi caccia F-16, che erano in missione sul Mar Egeo insieme a dei velivoli statunitensi, sono stati agganciati dal sistema di difesa S-300 in dotazione alle forze armate elleniche e dispiegato nell’isola di Creta. La Turchia ha deciso di denunciare l’episodio anche in sede Nato, e il presidente Erdogan ha più volte promesso ritorsioni contro la Grecia, ricordando l’esito – favorevole ad Ankara – di alcuni scontri bellici del passato, come la conquista della città di Smirne nel 1922 quando centinaia di migliaia di abitanti greci della costa turca dovettero riparare ad Atene e Salonicco. Proprio il 30 agosto scorso la Turchia ha celebrato in pompa magna il “Giorno della Vittoria”, in occasione del centesimo anniversario della vittoria sulla Grecia.
«Quando arriverà il momento faremo ciò che è necessario» ha tuonato il “sultano” intervenendo alla fiera dell’aeronautica Teknofest che si è tenuto nello scalo di Samsun, sul Mar Nero – durante la quale è stato presentato il prototipo di un nuovo drone da combattimento turco – promettendo che, se la Grecia non smetterà di militarizzare le isole dell’Egeo, Ankara potrebbe mettere in discussione la sovranità ellenica su quei territori, concessi ad Atene sulla base dei trattati di Losanna del 1923 e di Parigi del 1947 a condizione però che la Grecia non realizzasse installazioni militari permanenti a Lesbo, Chios, Samos e Icaria, oltre che nell’arcipelago del Dodecaneso.
Proprio nel luglio scorso il leader dei nazionalisti turchi di estrema destra Devlet Bahçeli, alleato di Erdogan, aveva mostrato una mappa della Turchia che includeva tutte le isole considerate irredente attualmente sotto il controllo ellenico.
L’Ue sostiene Atene
Da parte sua il ministro degli Esteri greco, Nikos Dendias, ha annunciato che invierà delle missive a tutti i membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres e a quello della Nato Jens Stoltenberg per denunciare le dichiarazioni «senza precedenti» delle autorità turche. Il 3 settembre scorso il capo della diplomazia ellenica aveva già investito della vicenda i partner europei, l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell e l’esecutivo degli Stati Uniti. Dendias, in alcune dichiarazioni rese alla stampa, ha poi ringraziato il suo omologo Jan Lipavský, della Repubblica Ceca, per la rapida risposta del paese attualmente presidente di turno del Consiglio dell’Ue, che ha definito le dichiarazioni turche “inaccettabili” ed “estremamente inutili”.
Anche il portavoce della Commissione Europea, Peter Stano, in una nota ha affermato che le continue dichiarazioni ostili della leadership turca contro la Grecia «sollevano serie preoccupazioni e contraddicono pienamente i tanto necessari sforzi volti alla riduzione dell’escalation nel Mediterraneo orientale richiesti nelle conclusioni del Consiglio Europeo del marzo e del giugno del 2021 e del giugno 2022». Per Stano «le minacce e la retorica aggressiva sono inaccettabili e occorre porvi fine», promuovendo la comprensione reciproca e lo sviluppo di relazioni di buon vicinato. «L’Ue si aspetta che la Turchia si adoperi seriamente per allentare le tensioni in modo sostenibile nell’interesse della stabilità regionale nel Mediterraneo orientale e rispetti pienamente la sovranità e l’integrità territoriale di tutti gli Stati membri dell’Ue» ha concluso il portavoce dell’UE.
La mossa di Mitsotakis
Le autorità greche hanno affermato che non seguiranno la Turchia nella sua «oltraggiosa sfilza quotidiana» di minacce. Ma in realtà è stata una mossa dei Atene a far di nuovo precipitare i rapporti tra i due paesi che nei primi mesi del 2022 sembravano avviati verso una relativa distensione, anche se i toni nuovamente minacciosi delle dichiarazioni di Erdogan sono sicuramente da inquadrare anche nella necessità di trovare argomenti che facciano presa sull’opinione pubblica in vista delle cruciali elezioni presidenziali del giugno 2023.
Il 13 marzo, infatti, Erdogan e il premier ellenico Kyryakos Mitsotakis si erano incontrati a Istanbul. Il vertice era stato giudicato dagli osservatori come un segnale di distensione dopo la riduzione, da parte della Turchia, delle attività militari e delle missioni di ricerca di idrocarburi nelle acque contese del Mediterraneo orientale.
A rompere il presunto idillio, però, ci ha pensato a maggio la visita di Mitsotakis a Washington, nel corso della quale il primo ministro ellenico ha chiesto alla Casa Bianca e al Congresso di non consegnare i suoi caccia F-16 alla Turchia – e di rimanere ferma nello stop alla consegna di alcuni F-35, bloccati dopo la vendita del sistema antimissile russo S-400 ad Ankara – in nome del fatto che «la Nato non ha bisogno di un’altra fonte di instabilità sul fianco sud-orientale». Atene punta esplicitamente ad indebolire le capacità dell’aviazione militare turca e al tempo di stesso di potenziare la propria, dopo aver ottenuto da Parigi la vendita di un certo numero di caccia Rafale e la firma di un trattato che impegna la Francia a sostenere la Grecia in caso di attacco da parte di un altro paese. Su un altro fronte il governo greco ha aumentato la propria collaborazione militare tanto con Israele quanto con le petromonarchie sempre in funzione antiturca.
La reazione turca
La reazione turca è stata dura e immediata, con Erdogan che ha sospeso il dialogo intavolato con Atene e ha annullato la riunione, prevista a luglio, del “Consiglio di Cooperazione di alto livello” tra i due paesi, la cui ultima sessione si era tenuta nel 2016.
Da quel momento tanto il governo turco quanto i media anatolici hanno accentuato i toni nazionalistici ed anti-ellenici, accusando tra l’altro Washington di intromettersi negli affari regionali a fianco di Atene. La decisione statunitense di ridurre il proprio schieramento militare in Turchia e di aumentare il numero dei soldati e delle basi in territorio ellenico ha già suscitato preoccupazione e sdegno ad Ankara.
Ad esempio Hasan Basri Yalcin, sul quotidiano filo-governativo Sabah, accusava nei giorni scorsi gli Stati Uniti di incitare la Grecia a provocare Ankara pur non perseguendo un conflitto aperto tra i due paesi che costituirebbe un pericoloso elemento di rottura proprio in un momento in cui lo scontro con la Russia richiede un fronte comune all’interno della Nato.
Anche Mehmet Ali Guller, sul quotidiano dell’opposizione laica e nazionalista Cumhuriyet, ha analizzato il ruolo di Washington: «La strategia degli USA mira a una nuova cortina di ferro che si estenda dall’Artico al Mediterraneo orientale. Per questo vogliono che Svezia e Finlandia diventino membri della NATO e perseguono il loro potenziamento militare in Grecia. Atene vuole usare questo a proprio vantaggio (…). Gli Stati Uniti sono favorevoli a una tensione permanente tra Ankara e Atene, utilizzandola per incoraggiare il filo-americanismo in entrambi i paesi».
Da parte sua Rahmi Turan, sul quotidiano di opposizione nazionalista Sozcu, ha accusato il Partito Giustizia e Sviluppo (Akp) al potere di aver colpevolmente ignorato, fin qui, le ripetute violazioni della sovranità turca. «Durante i 20 anni di governo dell’Akp, la Grecia ha invaso clamorosamente 18 isole turche e un isolotto, piantando bandiere, costruendo chiese e nominando sacerdoti. (…) Cosa ha fatto il nostro governo? Niente!» ha scritto Turan. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e del Nord Africa. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale.
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