di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 22 dicembre 2022 – Non è la prima volta, negli ultimi anni, che il Giappone aumenta la spesa militare e decide di rafforzare il suo esercito, contravvenendo alle imposizioni “pacifiste” dettate dagli alleati – in particolare dagli Stati Uniti – dopo la sconfitta di Tokyo nella Seconda Guerra Mondiale.
Spese militari al 2% del Pil
Questa volta, però, il governo di Fumio Kishida ha deciso l’aumento più consistente dalla fine del secondo conflitto mondiale delle spese per la Difesa, che passano nel 2023 da 5200 miliardi a 6500 miliardi di yen, l’equivalente di 47 miliardi di dollari.
Come se non bastasse, il boom della spesa militare aprirà la strada ad un aumento fino al 2% del Prodotto interno lordo, portandola al livello dei paesi della Nato, alleanza militare di cui pure il paese non fa parte.
Il premier punta infatti ad aumentare il bilancio della Difesa per gli anni che vanno dal 2023 al 2027 fino a 318 miliardi di dollari, con un raddoppio di fatto rispetto al quinquennio che si sta chiudendo. Poco importa che l’articolo 9 della Costituzione giapponese, analogamente a quanto previsto dall’articolo 11 della Magna Carta italiana, reciti che «Il popolo rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia o all’uso della forza come mezzo per risolvere le controversie internazionali».
Le opposizioni denunciano il carattere militarista della decisione e il pericolo che questa scateni un’ulteriore escalation con Pechino e Pyongyang, e sottolineano che l’aumento delle spese militari sottrae importanti risorse ad un paese già sottoposto ad una forte crisi fiscale e ad un indebitamento pubblico da record. L’approvazione dell’aumento delle spese per la Difesa è stata preceduta da una polemica interna al Partito Liberal Democratico – principale forza del governo insieme al Komeito – tra coloro che proponevano di utilizzare i titoli di stato per coprire le nuove spese e il premier che invece ha optato per un aumento delle tasse. La Legge Finanziaria include un aumento graduale della tassazione sulle imprese a partire dal 2024 e altri provvedimenti volti a reperire le necessarie risorse addizionali.
Pronti a colpire la Cina
Il boom delle spese militari servirà a rafforzare le forze armate e a finanziare un piano di massiccio riarmo per sostenere la competizione militare nella regione dell’Indo-Pacifico. L’obiettivo del Giappone, affermano fonti del governo Kishida, è dotarsi di una forza convenzionale di deterrenza in grado di tenere testa alle ambizioni militari della Repubblica Popolare Cinese e di difendersi dalle minacce della Corea del Nord.
Tokyo intende aumentare significativamente la proiezione a lungo raggio della propria capacità militare, e a questo scopo ha deciso l’acquisto dagli Stati Uniti di alcune centinaia di Tomahawk; i missili da crociera statunitensi hanno infatti una gittata massima di 1600 km, che permetterebbe al Giappone di colpire obiettivi in territorio cinese in caso di conflitto.
L’esecutivo Kishida si è inoltre impegnato ad aumentare la gittata dei propri missili anti-nave, a sviluppare armi ipersoniche e a creare una forza speciale di auto-difesa contro i cyber-attacchi. Tokyo si è detta anche interessata a partecipare alla realizzazione dei caccia di sesta generazione Tempest, alla quale partecipano già la britannica BAE Systems e l’italiana Leonardo.
A spingere Tokyo ad adottare una politica di difesa più aggressiva, afferma il Washington Post, sarebbe stata anche l’invasione russa dell’Ucraina. «Il Giappone voleva limitare la sua spesa in materia di difesa ed evitare l’acquisto di sistemi d’arma d’attacco. Tuttavia, la situazione internazionale non ci consente di farlo» ha spiegato al quotidiano l’ex ambasciatore giapponese a Washington Ichiro Fujisaki.
Nella scia di Shinzo Abe
La realtà è che già durante il lungo governo del nazionalista Shinzo Abe, esponente della corrente più conservatrice del Partito Liberal Democratico (al governo quasi ininterrottamente dal 1955), Tokyo ha intrapreso il cammino verso una politica estera più aggressiva e militarista.
Prima del suo assassinio nel luglio scorso, Abe ha operato per centralizzare le politiche di sicurezza; ha riformato la Costituzione per affermare il cosiddetto “diritto all’autodifesa collettiva” del paese consentendo alle forze armate di intervenire in un conflitto non solo per difendere il Giappone ma anche un alleato contro un attacco esterno; infine, ha più volte aumentato gli stanziamenti per la Difesa fino a portare Tokyo al nono posto della classifica mondiale della spesa militare.
È anche vero, però, che l’invasione russa dell’Ucraina e i timori di un imminente attacco cinese a Taiwan hanno fatto aumentare il sostegno dell’opinione pubblica giapponese – tradizionalmente pacifista – al riarmo e alla creazione di un esercito forte e moderno.
All’inizio di dicembre una fonte del governo giapponese aveva già rivelato che l’esecutivo intende aumentare la presenza del proprio esercito nell’isola sudoccidentale di Okinawa “in previsione di un possibile scontro con la Cina su Taiwan». Il Ministro della Difesa Yasukazu Hamada prevede di portare a due il numero di reggimenti di fanteria di stanza sull’isola. Inoltre Tokyo prevede di triplicare le unità di difesa contro i missili balistici nelle Nansei, un arcipelago in parte contiguo a Taiwan, mentre le Forze di autodifesa aerea giapponesi sono state inviate per la prima volta nelle Filippine per partecipare a esercitazioni congiunte.
Gli Usa plaudono
La nuova versione della Strategia di sicurezza nazionale varata dal governo di Fumio Kishida – a lungo ministro degli Esteri nei governi di Shinzo Abe – definisce la Cina «una sfida strategica senza precedenti», allineandosi così alla visione di Washington.
Non stupisce quindi l’entusiasmo manifestato nei confronti della storica decisione da parte degli Stati Uniti, che nel paese del Sol Levante mantengono da sempre un sostanzioso contingente militare dislocato in diverse basi. Da tempo la Casa Bianca chiede a Tokyo un maggiore protagonismo militare nel Pacifico in funzione anti-cinese. L’ambasciatore di Washington a Tokyo, Rahm Emanuel, ha definito la misura «una pietra miliare epocale» nelle relazioni tra i due paesi, indispensabile per fare dell’Indo-Pacifico un «territorio libero e aperto». Per il Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Joe Biden, Jake Sullivan, «L’obiettivo del Giappone di aumentare significativamente gli investimenti nella difesa rafforzerà e modernizzerà anche l’alleanza Usa-Giappone».
Pechino: “non siamo una minaccia”
Di segno opposto, ovviamente, la reazione di Pechino. Il governo cinese ha infatti denunciato che Tokyo «accusa falsamente la Repubblica Popolare Cinese di ricattare il Giappone attraverso misure economiche coercitive e di intraprendere attività militari minacciose che destano grande preoccupazione nella comunità internazionale».
L’ambasciata cinese in Giappone ha affermato che la nuova Strategia di sicurezza di Tokyo viola numerose intese raggiunte negli ultimi anni tra i due governi e alimenta le tensioni regionali invece di promuovere la stabilizzazione e la pace. «La Cina ha sempre aderito alla strada dello sviluppo pacifico, ha perseguito una politica nazionale di natura difensiva e non ha mai istigato né partecipato a una corsa agli armamenti», ha affermato la sede diplomatica di Pechino, difendendo la posizione del proprio governo su Taiwan e sulle isole Senkaku, che la Cina considera parte del proprio territorio nazionale. L’ambasciata ha infine invitato il Giappone a non giustificare il proprio riarmo con la «teoria della minaccia cinese» e a scegliere la strada del consenso politico considerando i due Paesi come «partner e non come reciproche minacce».
Ma proprio nei giorni scorso le unità navali del Giappone sono entrate in stato di allerta dopo l’individuazione di alcune unità militari cinesi, tra le quali la portaerei Liaoning, nelle acque territoriali rivendicate sia da Tokyo sia da Pechino. Secondo il Ministero della Difesa giapponese si tratterebbe della nona “incursione” cinese da novembre.
Nel tentativo di frenare le rivendicazioni di Pechino nel Mar cinese meridionale, Tokyo ha negli ultimi anni rafforzato la cooperazione diplomatica e militare con le Filippine e il Vietnam, paesi coinvolti in altrettanti contenziosi con Pechino per il controllo di alcune aree. Nei mesi scorsi, inoltre, Tokyo ha tentato di stringere i rapporti con l’Indonesia che finora ha sempre cercato di porsi come mediatrice nei conflitti regionali.
Anche la Repubblica Popolare di Corea ha reagito negativamente all’aumento record delle spese militari da parte del Giappone, definendolo un «pericoloso errore che muterà in maniera netta il contesto di sicurezza regionale». «Il Giappone sta causando una grave crisi di sicurezza nella Penisola coreana e nell’Asia orientale, adottando una nuova strategia di sicurezza che ammette a tutti gli effetti l’attacco preventivo contro Paesi terzi» afferma una nota del Ministero degli Esteri di Pyongyang. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.