di Andrea Cegna* – 

Pagine Esteri, 14 febbraio 2023 – “Vivere in Honduras oggi è come essere condannati alla pena di morte” dice Itsmania Platero, giornalista esperta in diritti umani “significa vivere nel costante timore di non sapere cosa ti potrà accadere il giorno dopo”. Potente riassunto di almeno 50 anni di storia di un paese dove le persone che lo vivono si trovano a combattere quotidianamente tra la violenza e la povertà, ovvero il risultato delle scelte politiche ed economiche che hanno segnato l’Honduras a partire dagli anni ’70.

Tegucigalpa, la capitale, è un bigino del paese. Il centro si sviluppa attorno alla piazza della chiesa, da cui parte una corta strada che collega alla via commerciale. Poche centinaia di metri di strada chiusa al passaggio delle macchine, piena di negozi, due banche e molte persone. L’effimera e diurna sicurezza di questi pochi metri è “garantita” da decine e decine di poliziotti armati. Si vedono pochi turisti che sono per lo più centro americani. Occidentali affollano le zone di mare e per motivi di lavoro si trovano nelle città e nelle loro vicinanze. Il paese è stato colonizzato dalle multinazionali di tutto il mondo così le grandi catene la fanno da padroni e a differenza di quanto si vede in Messico o Guatemala è più difficile, nei centri urbani, incontrare venditori ambulanti e cibo di strada. Economie informali che riempiono le più zone povere della città a differenza della sporcizia che è generalizzata.
Nel centro di Tegucigalpa cumuli di spazzatura convivono con un traffico selvaggio che si alimenta con l’assenza di semafori. L’aeroporto internazionale si trova a San Pedro Sula, capitale economica del paese.
Non c’è taxista, nelle due principali città, che non racconti di assalti notturni, furti o di amici uccisi per poche lempiras da membri delle bande del crimine organizzato. Quando fa buio le città si svuotano per la paura di aggressioni.

I problemi economici alimentano il fenomeno della criminalità, l’aumento della criminalità aumenta l’insicurezza, e così l’Honduras è uno dei paesi con il più alto tasso di migrazione del mondo. “La povertà è una dato strutturale del paese” racconta Bartolo Fuentes, politico e giornalista, “povertà che negli anni di governo dittatoriale di Juan Orlando Hernandez è cresciuta enormemente. Oggi parliamo di un 74% della popolazione che vive in povertà, il 47% addirittura in maniera estrema”. Ed è così che aspettando la notte, ogni giorno, un numero variabile di persone prova a partire alla volta degli USA. Chi prova il grande viaggio si concentra attorno alla stazione dei bus di San Pedro Sula. Lì sono nate le carovane migranti, a partire dal 2018, che hanno avuto “il fondamentale ruolo di rendere visibile il fenomeno, un processo che esisteva da anni ma che era di fatto invisibilizzato” ricorda sempre Bartolo Fuentes. Le carovane secondo il politico honduregno sono state anche uno strumento che ha reso possibile anche ai poverissimi, “anche a chi non aveva nemmeno i soldi per prendere un bus per il Guatemala”, di provare a migrare. La povertà dell’Honduras e la svendita del paese non iniziano il 28 giugno del 2009 con il colpo di stato che destituisce il democraticamente eletto presidente Manuel Zelaya, e nemmeno nel 2014 con la vittoria alle elezioni di Juan Orlando Hernandez e così l’inizio di quello che viene definito “narco-governo”, giustificando l’idea di “stato fallito” e così togliendo le responsabilità storico-politiche che hanno generato l’attuale situazione. Bisogna tornare agli anni del Plan Condor e alla violenta azione colonialista degli USA sul centro e sud del continente Americano. L’Honduras, poi, dopo la vittoria Sandinista in Nicaragua, è stato considerato dagli Stati Uniti un avamposto di controllo del territorio, nonché luogo di formazione dei “contras” con tanto d’insediamento di basi militari. Questo scenario di asservimento agli USA si è dato negli anni, partendo dai colpi di stato del 1963 e del 1974. La storia dell’Honduras viene così segnata con violenza, omicidi e desaparecidos. A tenere alta la memoria e il collegamento storico-politico con l’oggi è la resistenza di organizzazioni come il Cofadeh (Comitato dei parenti degli scomparsi in Honduras), ONG nata nel 1982 dal coraggio di 12 famiglie di desaparecidos. Bertha Oliva de Nativì, una delle fondatrici, ricorda “l’organizzazione è nata come risposta alla dottrina di Sicurezza Nazionale che perseverando con forme di violenza simili a quelle della dittatura ha imposto il nefasto progetto neoliberista nel nostro paese”. Bertha sottolinea che la storia dell’Honduras è segnata dall’impunità e dalla corruzione “così la grande maggioranza del paese si trova in una posizione di svantaggio nei confronti di chi detiene il potere politico. Ma la verità è che nel paese chi comanda è chi ha il potere economico, militare e religioso che poi è chi controlla davvero la struttura statale. Dentro questa dinamica esiste una stretta relazione tra gli anni ’80 e il colpo di stato del 2009. Viviamo così ancora in una fase di incertezza perchè i poteri economici e la struttura criminale che li sostiene sono immutati, non sono stati smantellati”. Per Bertha l’arrivo al potere di Castro apre ad una fase di transizione, importante, che deve essere sostenuta dalle organizzazioni sociali, ma che può funzionare solo se allo stesso tempo il governo saprà ascoltare i movimenti sociali, “perchè se questo governo dovesse fallire, allora le diverse forze reazionarie di cui ho parlato avrebbero trionfato ancora e guadagnato altri quattro anni”. Per combattere violenza e corruzione il governo Castro ha lanciato una crociata contro i gruppi criminali che in alcuni quartieri, soprattutto di San Pedro Sula e Tegucigalpa, seminano il terrore e si fanno guerra. Una crociata sulla scia di quanto fatto da Bukele in Salvador ma, ad ora, con l’attenzione a non cancellare i diritti umani lasciando margine extra giudiziale alle forze armate – come avviene invece nel paese vicino – e a sviluppare, contemporaneamente, forme di Potere Popolare. Sergio Rivera, delegato del governo sul tema, dice “l’idea di questo governo è quella di non proporre progetti di assistenzialismo ma sviluppare progetti virtuosi e forme di economia popolare”. Un progetto in divenire, difficile e ambizioso, che risponde alla lettura secondo cui sia il radicamento dei gruppi criminali sia la crescita dei flussi migratori siano il risultato della svendita del paese, dell’insicurezza e della povertà. Anche perché, ricorda sempre Sergio Rivera “Libre e Castro hanno vinto le elezioni, ma non hanno il potere. Il potere è altra cosa, il potere è avere la possibilità di cambiare la realtà. Chi comanda ancora nel paese sono gli oligarchi e le forze armate”. Nella consapevolezza che il cambio di governo non è sufficiente a cambiare l’Honduras ci sono diversi gruppi che resistono e cercano di costruire forme d’alternative e autonomia. Ci sono le popolazioni Lenca, per esempio, che con il Copinh, organizzazione nata da Berta Caceres, difendono il loro territorio dalle multinazionali. Poi c’è la popolazione Garifuna che si divide nel territorio in 47 comunità e lotta per recuperare le terre a loro sottratte.

Nel 1979 hanno fondato l’OFRANEH, l’Organizzazione Fraternale Negra Honduregna, per difendersi dai continui attacchi che solo nel gennaio 2023 sono costati la vita di tre donne e un uomo. Secondo Roni Castillo, membro dell’organizzazione, la vittoria di Castro ha portato una ventata di ottimismo ma “per ora molto poco abbiamo visto del cambio che abbiamo sperato. Abbiamo anche subito recentemente uno sgombero molto violento da parte della polizia, polizia comandata dalla Presidente. Noi non perdiamo la speranza ma abbiamo la necessità, assieme alle comunità, di vedere riconosciuti i diritti umani e collettivi delle nostre popolazioni. Per questo lottiamo in rete con le altre popolazioni indigene e nere dell’Honduras, così da difendere i nostri percorsi di rivendicazione e costruire forme d’autonomia e autogestione”.

 

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*Andrea Cegna, classe 1982. Da qualche anno è pubblicista, da diversi redattore di Radio Onda d’Urto e capita di leggerlo, o ascoltarlo, anche altrove da Il Manifesto a Radio Popolare. Si occupa principalmente  di Latino America, musica, sviluppo urbano e ideologia del decoro.