della redazione

Pagine Esteri, 30 novembre 2023. La presidenza di turno della Conferenza mondiale sui cambiamenti climatici, che quest’anno si tiene negli Emirati Arabi Uniti, tocca a un petroliere: Sultan Al Jaber è amministratore della compagnia Abu Dhabi National Oil Company. È la prima volta nella storia della COP, che si è presentata già dalle prime ore molto complicata.

La guerra tra Russia e Ucraina aveva già aumentato nel 2022 distanze e spaccature che quest’anno, con la situazione a Gaza e in Israele sono divenute persino più profonde.

Le questioni calde sulle quali non è stato possibile trovare un accordo durante la COP27, l’appuntamento che lo scorso anno si è tenuto in Egitto, sono già tutte sul tavolo.

Gli incontri annuali, ai quali aderiscono formalmente tutti i Paesi del mondo, sono promossi dalla Convenzione delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici e hanno lo scopo di trovare misure condivise per la realizzazione di una transizione energetica.

Il primo tra i temi riguarda la sorte dei combustibili fossili. I Paesi che ne sono ancora dipendenti, tra cui Cina e India chiedono che si arrivi ad una risoluzione finale che ne sancisca la diminuzione e ne regolamenti la modalità di utilizzo. Anche se l’India si prepara, in realtà, ad aumentarne la produzione per interrompere le importazioni entro il 2026. Altri Stati vorrebbero, al contrario, che nel documento finale della Conferenza si parlasse in maniera specifica dell’eliminazione del fossile. Sono soprattutto quei Paesi che possono farne a meno oppure le cui produzioni sono di diverso tipo: i Paesi del Golfo, ad esempio, disponibili a prevederne l’eliminazione, difenderanno invece l’utilizzo del petrolio, che posseggono in abbondanza e con il quale sperano di ottenere ancora enormi rendite.

La spaccatura geograficamente più significativa è quella che ripropone la contrapposizione storica dei Paesi ricchi a quelli più poveri, del nord con il sud del mondo. Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono infatti ben più gravi al sud, dove risiede, però, la maggior parte dei Paesi meno industrializzati, che registrano dunque minori emissioni dannose all’ambiente. Questi Paesi chiedono che a pagare i costi dell’emergenza climatica siano dunque gli Stati più inquinanti. Lo scorso anno si è raggiunto un accordo sull’istituzione del fondo Loss and damage, che dovrebbe essere utilizzato proprio dai Paesi più poveri e meno inquinanti per rispondere ai danni causati dai disastri climatici. Tuttavia, in merito a questo fondo non si è deciso granché. I Paesi a basso reddito vorrebbero che fosse gestito con trasparenza da un organismo appositamente creato e aperto alla maggior parte degli Stati meno inquinanti. Gli Stati Uniti premono perché la gestione venga affidata invece alla Banca Mondiale e perché poche nazioni possano accedervi. Probabilmente a Dubai si troverà un accordo sull’affidamento temporaneo alla Banca Mondiale ma i soldi che il fondo pare possa contenere sono ancora troppo pochi. Molte ONG spingono perché anche le compagnie fossili vengano obbligate a versare un “obolo” di compensazione. Non è ancora chiaro, in ogni caso, se a pagare dovranno essere solo i Paesi storicamente più inquinanti o anche le cosiddette economie emergenti.

Intanto si comunicano le prime pesanti assenze. Non saranno oggi alla Conferenza (al loro posto dei rappresentanti) il presidente USA, Joe Biden e quello Cinese, Xi Jinping (Cina e Stati Uniti sono i maggiori produttori di gas serra). Anche il papa, che aveva espresso il desiderio di partecipare, non potrà recarsi a Dubai a causa dell’influenza. Pagine Esteri