di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 7 marzo 2023 – Chissà se il presidente del Senato Ignazio La Russa nei 15 minuti del colloquio avuto ieri con il premier israeliano Netanyahu  – al quale ha assicurato che «Giorgia (Meloni) sarà molto contenta» di riceverlo a Roma il 9 marzo «per rinsaldare l’amicizia fra Italia ed Israele» – e nell’incontro con il suo omologo alla Knesset Amir Ohana – a cui ha espresso la fermezza dell’Italia «contro ogni forza terroristica che attenti alla libertà, alla esistenza ed alla indipendenza di Israele» – ha chiesto almeno qualche chiarimento sulla riforma della giustizia avviata dal governo in Parlamento che da settimane porta in strada centinaia di migliaia di israeliani in difesa del ruolo della Corte suprema al grido di «Democrazia, democrazia». Solo a Tel Aviv erano 160mila sabato scorso (200/300mila in 90 località).

Difficile immaginare che La Russa si sia spinto a tanto considerando anche le affinità tra la destra di cui è in Italia uno dei principali rappresentanti e la destra estrema che è al potere in Israele. Altrettanto arduo è immaginare che possa farlo Antonio Tajani, anch’egli atteso in Israele, che in quanto ministro degli esteri dovrebbe rivolgere ai suoi interlocutori israeliani anche qualche domanda sulle dichiarazioni del ministro delle finanze Bezalel Smotrich che pochi giorni fa ha evocato la distruzione di Huwara. Si tratta della cittadina cisgiordana già presa d’assalto dai coloni israeliani, con incendi di decine di edifici e automobili e l’uccisone di un palestinese, dopo che due israeliani erano stati colpiti a morte in un agguato. E nessun interrogativo, possiamo scommetterci, sarà posto dal governo italiano a Netanyahu il 9 marzo, per «non interferire» nelle vicende interne israeliane. Vicende che invece interessano molto ad altri paesi occidentali a cominciare dagli Usa che, tra le altre cose, hanno accolto con gelo la notizia che Bezalel Smotrich progetta di recarsi a Washington per un incontro con dirigenti della locale comunità ebraica.

Ciò mentre la protesta di almeno la metà degli israeliani contro la riforma giudiziaria ha raggiunto livelli mai toccati. Proprio giovedì prossimo, quando Netanyahu sarà a Roma, gli israeliani terranno un nuovo «Giorno di resistenza» nazionale in tutto il paese. La contestazione si allarga ora anche alle Forze armate, che erano e restano la base della coesione sociale in Israele. Se alla fine il volo di Benyamin Netanyahu per Roma partirà regolarmente perché l’El Al, la compagnia di bandiera, ha imposto ai suoi equipaggi di interrompere il boicottaggio del primo ministro, altri piloti, ben più strategici per Israele, hanno avviato una protesta senza precedenti. La stragrande maggioranza di piloti riservisti di un’unità dell’aviazione (37 su 40) hanno notificato ai loro comandanti che non parteciperanno questa settimana al loro addestramento. Si tratta dell’unità 69 che opera sugli F-15 a lungo raggio. Domani i suoi piloti non parteciperanno a un briefing di squadra perché intendono utilizzare la giornata per discutere della crisi politica e delle minacce ai poteri di controllo della Corte suprema. Anche se non ci sono danni immediati alle capacità dell’aviazione, a lungo termine il suo impatto si farà sentire, avvertono i vertici militari.

Netanyahu ha reagito con rabbia. «La disobbedienza non deve mettere radici. Non ci fu spazio per la disobbedienza nella guerra di indipendenza (1948), né con gli accordi di Oslo (1993), né con il ritiro da Gaza (2005), né ci può essere oggi o in futuro», ha affermato il premier che nei giorni scorsi ha discusso dell’estendersi della protesta nei suoi confronti con il capo di stato maggiore Herzi Halevi. I leader dell’opposizione, Yair Lapid e Benny Gantz, hanno preso le distanze dalla protesta nelle forze armate ma ieri altri riservisti, questa volta dell’esercito, si sono uniti a quella che ormai è vista come una sollevazione sempre più ampia contro Netanyahu e il suo governo che pure ha vinto agevolmente le elezioni dello scorso 1° novembre.

Per Amos Harel, editorialista del quotidiano Haaretz, «Nonostante i suoi sforzi, l’esercito israeliano si trova ora al centro della crisi costituzionale». La notizia dell’azione dei piloti di riserva del 69° squadrone di jet da combattimento, aggiunge Harel, «segna uno sviluppo drammatico nella campagna dei riservisti dell’esercito contro il colpo di stato governativo». Questo, prosegue l’editorialista, «potrebbe essere l’inizio della valanga che il governo teme mentre continua a perseguire aggressivamente il suo programma legislativo».