di Patrizia Zanelli*

(nella foto i poeti Samih Qasim, Fadwa Tuqan e Mahmoud Darwish)

Pagine Esteri, 20 aprile 2023 – Raccontare la modernità importata dall’Occidente è il fulcro della componente letteraria di un vasto movimento di modernizzazione culturale, definito di solito Nahḍa, “Rinascita” o “Rinascimento”, che emerge nel mondo arabo – a partire dall’area siro-libanese e dall’Egitto – nella seconda metà dell’Ottocento e continua a svilupparsi nel Novecento sostanzialmente fino agli anni ’40, ma come progetto volto alla liberazione dalle tradizioni oscurantiste locali e dalla dipendenza da forze esterne non si esaurisce del tutto, tant’è che rimane un punto di riferimento per le voci progressiste e libertarie arabe dell’attuale era digitale globale.

Ne parla Simone Sibilio in Poesia araba moderna e contemporanea (Ipocan, 2022), mettendo a frutto oltre vent’anni di studi appassionati nella materia indicata nel titolo stesso del libro, il primo del genere pubblicato in Italia. È una novità editoriale interessante sotto più aspetti: è al momento l’unica monografia italiana che tratti in maniera così approfondita un argomento di per sé articolato; ha a che fare con una ricca produzione poetica e le dinamiche culturali della contemporaneità di una regione del mondo variegata, culla e crocevia di civiltà. L’importanza di questa storia millenaria emerge dall’inizio alla fine del libro, che non è un’opera meramente compilativa; è innovativa, analitica e risponde alle esigenze odierne della transculturalità.

Professore di lingua e letteratura araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia, traduttore e poeta, Sibilio introduce subito un dato fondamentale: “La poesia araba, marca identitaria tradizionalmente percepita come ‘archivio’ storico di un popolo (dīwān al-‘arab), si conferma in epoca moderna non solo come espressione artistica portatrice di nuovi valori e modi espressivi, ma come pratica discorsiva dal profondo impatto sociale e politico”.

Simone Sibilio

Nel volume, l’accademico analizza e scoglie la complessità di fenomeni culturali derivati dall’incontro/scontro con l’Occidente, anzitutto con l’Europa colonialista, avvenuto sin dagli inizi dell’Ottocento nel mondo arabo, fungendo parallelamente da acceleratore delle spinte innovatrici locali preesistenti e da generatore di una continua tensione tra la tradizione autoctona e una modernità importata, sulla scia delle guerre di conquista compiute dalla Francia e dall’Inghilterra. È all’interno di quest’interazione articolata con la cultura occidentale che si delinea la Nahḍa. In quel contesto, ricorda Sibilio, compaiono due tendenze contrapposte e parallele: la rivivificazione del patrimonio letterario arabo oppure l’assimilazione di modelli europei, che però in diversi casi vengono arabizzati, sicché nascono testi culturalmente ibridi e, perciò, originali.

Il volume è suddiviso in due sezioni distinte. Nella prima, Sibilio evidenzia la centralità del ‘discorso sulla modernità’ nella poesia araba del Novecento, presentando e chiarendo i termini dei dibattiti avvenuti al riguardo nel corso dell’intero secolo. Cosa non facile, lo studioso cerca di tracciare una linea di demarcazione tra ‘moderno’ e ‘contemporaneo’, nonché tra Modernismo e Postmodernismo. A cavallo tra il XIX e il XX secolo appaiono le prime manifestazioni pratiche e teoriche dell’esigenza di “rivoluzionare la visione della poesia e il linguaggio poetico, ma non gli schemi compositivi ancorati saldamente alla tradizione”. Sibilio descrive a grandi linee lo sviluppo dei maggiori movimenti affermatisi nella prima metà del Novecento: Neoclassicismo, Romanticismo e Simbolismo. I poemi neoclassici, spiega lo studioso, trasmettono patriottismo, esaltano l’arabicità ed evocano un passato glorioso, “come agente correttivo del presente, in funzione della lotta anticolonialista”, ma, per quanto abbiano aspetti innovativi e siano evocativi di immagini suggestive – per esempio, dell’Egitto, con la valle del Nilo e le maestose antichità faraoniche, e dell’Iraq, con il Tigri e la splendida Bagdad abbaside dell’epoca d’oro -, risultano inadatti a esprimere la nuova sensibilità intellettuale di un periodo di profonde trasformazioni.

Ahmad Shawqi

Un contributo importante per l’innovazione della poesia, ricorda Sibilio, viene dalla letteratura di emigrazione (Adab al-Mahǧar), inaugurata da autori emigrati negli Stati Uniti, come i libanesi Amin al-Rihani (1876-1940) – pioniere ispirato da voci anglofone, e specialmente da Walt Whitman (1819-1892) -, il celebre Gibran Khalil Gibran (1883-1931), la cui opera rinvia a William Blake (1757-1827), a Friedrich Nietzsche (1844-1900), al Sufismo e alla spiritualità orientale, e Mikhail Nu‘ayma (1889-1988), irrequieto poeta intimista noto in Occidente con lo pseudonimo Naimy, che influenzeranno le correnti romantiche egiziane e levantine orientate al ribaltamento dei canoni estetici basati sull’imitazione dei modelli classici. Culla di questo movimento sarà l’Egitto, dove viene recepita soprattutto l’influenza del Romanticismo inglese. Al Cairo, allora capitale della Nahḍa, nasce il Gruppo Apollo, che introduce novità interessanti e riesce a influenzare perfino i principali esponenti del Neoclassicismo egiziano, come gli iconici Ahmad Shawqi (1869-1932) e Hafiz Ibrahim (1971-1932). Sempre negli anni ’30, nota Sibilio, cominciano ad affiorare in Libano e in Siria nuove tendenze tematiche e di ricerca estetica. Nascono due correnti minori di matrice francese: il Simbolismo e il Surrealismo, che talvolta si intreccia con il Sufismo e si svilupperà maggiormente più tardi. In questo periodo, si hanno comunque già casi di commistione di elementi romantici, simbolisti e surrealisti in un’unica opera.

Nazik Malaika

Sibilio si sofferma poi sulla transizione dalla poesia moderna a quella contemporanea. La voce più pionieristica di questa fase è la poetessa irachena Nazik al-Mala’ika (1923-2007), che adotta il verso libero nel poema “Il colera” (1947) – ispirato alla diffusione dell’epidemia in Egitto quell’anno -, nonché in nove componimenti della raccolta “Schegge e cenere” (1949). Convinta della necessità di abbandonare vecchi modelli, per esprimere un nuovo impulso lirico, contribuisce anche come teorica e docente universitaria a diffondere questa novità, già adottata da due dei suoi connazionali: Badr Shakir al-Sayyab (1926-1964), in “Era amore?” (1946), e Buland al-Haydari (1926-1996), in “Battito dell’argilla”, uscito sempre nel ‘46. Sibilio nota che, tuttavia, alcuni critici considerano “Plutoland e altre poesie” (1947) dell’egiziano Louis Awad (1915-1990), come il primo vero esperimento di verso libero, nonché di liberazione da schemi tradizionali e di ricorso audace al dialetto. Il passo successivo di questa fase di transizione è quello della rivoluzione teorico-pratica promossa dal movimento modernista, emerso negli anni ’50 principalmente a Bagdad e a Beirut, che porterà all’ingresso sulla scena letteraria araba della poesia in prosa.

È di fatto all’inizio dell’era post-coloniale che si ha il passaggio alla poetica della contemporaneità. Come spiega Sibilio, gli anni ’50 costituiscono un momento pieno di novità per la poesia. In quel decennio, il mondo arabo è pervaso da un senso di incertezza e delusione, scaturito dalle ripercussioni della II Guerra Mondiale, dal susseguirsi di cambi di governo, senza soluzione di continuità dell’instabilità politica, in paesi appena divenuti indipendenti, “e soprattutto dall’impatto devastante della catastrofe (Nakba) abbattutasi sul popolo palestinese, in seguito alla fondazione di Israele (1948)”, e il conseguente scompiglio degli assetti geopolitici della regione. Quest’ultimo evento catastrofico, sottolinea Sibilio, sarà in effetti un “catalizzatore del cambiamento”, il principale fattore scatenante di una nuova visione della scrittura creativa che dovrà esprimere passo per passo le istanze del tempo e fungere da mezzo efficace di trasformazione socio-politica. In generale viene inoltre indagato e messo in discussione il rapporto tra l’intellettuale e il potere. Per quanto riguarda la poesia, insieme al Modernismo, espresso da Ezra Pound (1885-1972) e da T.S. Eliot (1888-1965), si diffonderanno la letteratura impegnata di matrice sartriana, l’Esistenzialismo, il Realismo sociale o socialista, il misticismo e infine i tratti della poetica postmoderna.

Adonis

Sempre negli anni ‘50, ricorda Sibilio, emerge una delle figure più straordinarie del panorama culturale arabo e destinata a raggiungere la fama internazionale: il poeta modernista siriano Ali Ahmad Said Isbir (n. 1930), noto con lo pseudonimo Adonis, importante tanto per la sua opera quanto per il suo apporto teorico nei dibattiti sul concetto di modernità. La considera come “una costante, un processo in moto che resiste alla staticità, alla fissità dell’ordine temporale”. Sia Adonis che il poeta modernista marocchino Muhammad Bennis (n. 1948) rivedono il concetto di modernità “nella sua valenza storica e lo attribuiscono a diverse esperienze e pratiche testuali di varie epoche”. La cultura araba classica aveva sin dagli albori già visto tentativi di innovazione estetica, rintracciabili nei poemi di poeti considerati moderni, in epoca omayyade, e innovatori, in epoca abbaside. È quest’ultima, secondo Adonis, “da recuperare per la riscoperta di sé”.

Mahmoud Darwish

Altro poeta modernista di fama mondiale a emergere a fine anni ‘50 è Mahmud Darwish (1941-2008), autentico simbolo della Palestina, ambasciatore internazionale delle rivendicazioni politiche del suo popolo, ma soprattutto un grande artista esploratore dell’universo umano. Sibilio evidenzia infatti i limiti e l’obsolescenza di alcune definizioni tuttora impiegate per indicare specifici movimenti o tendenze, collegabili ad auto-attribuzioni o a traiettorie ed esperienze, che talvolta esulano dall’ambito meramente letterario, come, per esempio: ‘poesia della resistenza’, riferita proprio alla vicenda palestinese; il cosiddetto indirizzo ‘mistico-cosmico’ diffuso in Tunisia negli anni ’80; il concetto di ‘avanguardia’, usato in contesti diversi da parte di gruppi che rifiutano canoni e modelli espressivi tradizionali. Importante è dunque considerare la biografia di ogni poeta e il legame che ha con la sua terra d’origine. Di respiro universale, afferma Sibilio, sono le poesie di al-Sayyab, di Adonis, nonché dell’altro celebre siriano Nizar Qabbani (1923-1998), e di Mahmud Darwish, che nei loro versi celebrano rispettivamente l’Iraq, la Siria e la Palestina. Ma ciò vale anche per la palestinese Fadwa Tuqan (1917-2003), per l’egiziano Amal Dunqul (1940-1983) e per lo yemenita Abdel Aziz al-Maqalih (1937-2022), tra i molti altri nomi che si potrebbero citare.

Nella seconda sezione del volume, suddivisa in otto capitoli, in cui le spiegazioni su questioni tematiche e formali sono spesso esemplificate da brani delle opere – in traduzione italiana – che vengono man mano descritte, Sibilio si concentra sulle voci più influenti della contemporaneità e sulle loro poetiche. Lo studioso percorre di fatto un itinerario che attraversa la componente asiatica e quella nordafricana e subsahariana del varieggiato mondo arabo. Presenta ben diciannove realtà geopolitiche diverse, seppure interconnesse, e centinaia di voci, ognuna con uno stile personale.

Fadwa Tuqan

Particolarmente interessante per capire lo sviluppo delle tendenze del secondo Novecento è il quinto capitolo del volume, dedicato al principale campo di ricerca di Sibilio, da lui stesso definito “l’emblematico caso palestinese”. Lo studioso accenna alle esperienze avvenute in Palestina durante il periodo mandatario, “quando alcuni intellettuali, consci delle minacce rappresentate dall’ambigua politica britannica e dai propositi del movimento sionista, utilizzano la poesia […] come forma di protesta per accrescere la consapevolezza popolare sulle oscure manovre in atto, presagendo l’imminente tragedia che avrebbe colpito il proprio popolo”. Il poeta più celebre in tale senso e pioniere della Nahḍa palestinese è Ibrahim Tuqan (1905-1941), autore di versi patriotici, privi però dei toni celebrativi e dei motivi eroici dello stile neoclassico, e che si distingue anche per l’uso allora inedito di una sferzante ironia con cui punzecchia sia Londra sia i dirigenti nazionalisti arabi accusati d’inerzia. Altro esponente di spicco di questa fase è Abd al-Karim al-Karmi (1909-1980), noto come Abu Salma, che nel 1936 pubblica “La fiamma della poesia”, poema dedicato alla Grande Rivolta che durerà fino al 1939.

Sibilio poi analizza la poesia della Nakba o post-1948, incentrata sulle “condizioni psicologiche e materiali di un popolo espulso dalla propria terra e ignorato dalla comunità internazionale”. È un corpus poetico piuttosto variegato di valenza testimoniale; denuncia le difficoltà dei profughi; esprime dolore, nostalgia e collera, ma anche speranza di ritorno e di riscatto. Sibilio presenta due figure importanti emerse negli anni ’50: la già citata Fadwa Tuqan – allieva del fratello Ibrahim –, la quale si allontana dall’intimismo degli esordi romantici e neoclassici, legato all’angosciante vita racchiusa tra le mura domestiche, per rivolgere l’attenzione alla nuova catastrofica realtà collettiva. Adotta allora il verso libero e sfrutta le potenzialità del Simbolismo e del Realismo sociale, per comporre opere cariche di forza espressiva e di intensità emotiva, incentrate sul dramma del suo popolo. Dopo la guerra lanciata da Israele nel ’67, per conquistare il resto della Palestina, la poetessa rimane nella sua citta, Nablus, sotto occupazione militare israeliana, e usa un registro spiccatamente politico nelle sue poesie, diventando la voce più autorevole della causa palestinese.

Tornando agli anni ’50, Sibilio ricorda che in quel decennio Giabra Ibrahim Giabra (1929-1994) – letterato, traduttore e pittore in esilio a Bagdad dal ’48 – traduce in parte The Golden Bough (Il ramo d’oro, 1890) di James George Frazer (1854-1941), da cui lui stesso sarà molto influenzato. Conia il termine tammuzi (riferimento al dio mesopotamico della vegetazione Tammuz) per definire la corrente poetica che ricorre spesso “all’impiego degli archetipi di rinascita e fertilità”, di cui sarà uno dei maggiori esponenti. Nella raccolta “Tammuz in città” (1959), considerata pionieristica del Modernismo arabo, celebra la verdeggiante Palestina, scolpita nella memoria degli esuli, indaga la loro condizione esistenziale, mentre in certi componimenti propone le sue riflessioni personali sulla solitudine dell’individuo nella società contemporanea.

Basandosi, tra le altre cose, su un saggio critico del famoso scrittore Ghassan Kanafani (1946-1972), Sibilio esamina la poesia della resistenza palestinese. Come spiega lo studioso, è un “tipo di espressione che sul piano nazionale è figlia della lotta del suo popolo”; a livello internazionale rientra nel più ampio filone della poesia civica e d’impegno politico del Novecento e si collega alle esperienze anticolonialiste, anti-imperialiste e terzomondiste dall’Africa a Cuba, dal Vietnam al Sudamerica. In Palestina i pionieri di questa categoria letteraria sono Samiḥ al-Qasim (1939-2014) e appunto Mahmud Darwish, ma Sibilio sottolinea che l’opera del grande poeta di fama mondiale “ha ben presto trasceso i confini della causa nazionale per cogliere la quintessenza dell’umano universale come ogni capolavoro artistico destinato all’eternità”. Del resto, spiega lo studioso, entrambi gli autori, come gli altri del movimento, adottano man mano repertori e stili diversi.  A differenza di quanto si tende a pensare, la lotta lanciata dai fedayin negli anni ’60 non è al centro della scena nella poesia della resistenza palestinese. “Vista nella sua complessità”, chiarisce Sibilio, “la relazione con la terra perduta/occupata viene esplorata attraverso una molteplicità di dimensioni simboliche che celano il motivo identitario: si guarda all’ambiente naturale florido, celebrando i prodotti offerti dalla terra; si attinge al repertorio mitologico, ma anche a quello folcloristico-popolare; si riesplora la simbologia religiosa, biblica o coranica, laddove l’identificazione con il martirio di Cristo acquisisce un valore elevato e ampiamente condiviso, preludio della resurrezione; si ricorre alla dimensione storica per riaffermare l’appartenenza al territorio, per resistere alla minaccia di cancellazione insita nel discorso sionista e nella prassi politica israeliana”.

Ibrahim Nasrallah

La produzione poetica emersa negli anni ’70 e ‘80 è rappresentata specialmente da Murid al-Barghuthi (1944-2022), Zakariya Muhammad (n. 1950), Ibrahim Nasrallah (n. 1954) e Ghassan Zaqtān (n. 1954), tutti testimoni del declino delle ideologie unificanti, come il Panarabismo, e poi delusi dal processo di pace di Oslo con i suoi strascichi odierni. Vivendo nella diaspora o nella Cisgiordania occupata, dotati di versatilità artistica, spiega Sibilio, passano a nuovi modi espressivi nella ricerca di singolarità; abbinano strutture tradizionali e sperimentalismo, dissolvono la barriera tra verso libero e poesia in prosa, tra cultura scritta e visuale, tra generi letterari e tipi di scrittura; prediligono la dimensione individuale alle ‘grandi’ narrazioni. Lo studioso presenta anche uno dei maggiori poeti della nuova generazione, Najwan Darwish (n.1978), che unisce tradizione e modernità, la nostalgia del passato e il senso dell’urgenza del presente; ricorre all’ironia o addirittura al vituperio politico, con uno stile ora contemplativo ora quasi giornalistico, per denunciare i paradossi della realtà palestinese.

Come già detto, il nuovo libro di Sibilio è uno studio approfondito della produzione poetica moderna e contemporanea del varieggiato mondo arabo; evidenzia che la poesia è l’arte per eccellenza, un elemento identitario al pari dell’arabofonia per le società di una regione particolarmente complessa per ragioni storico-culturali e, quindi, ricca di storie. Il volume è senz’altro uno strumento scientifico importante per chi si occupa di questo argomento, nonché una lettura affascinante per persone non esperte animate dalla curiosità di conoscerlo. Pagine Esteri

*Patrizia Zanelli insegna Lingua e Letteratura Araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia. È socia dell’EURAMAL (European Association for Modern Arabic Literature). Ha scritto L’arabo colloquiale egiziano (Cafoscarina, 2016); ed è coautrice con Paolo Branca e Barbara De Poli di Il sorriso della mezzaluna: satira, ironia e umorismo nella cultura araba (Carocci, 2011). Ha tradotto diverse opere letterarie, tra cui il romanzo Memorie di una gallina (Ipocan, 2021) dello scrittore palestinese Isḥāq Mūsà al-Ḥusaynī, e la raccolta poetica Tūnis al-ān wa hunā – Diario della Rivoluzione (Lushir, 2011) del poeta tunisino Mohammed Sgaier Awlad Ahmad. Ha curato con Sobhi Boustani, Rasheed El-Enany e Monica Ruocco il volume Fiction and History: the Rebirth of the Historical Novel in Arabic. Proceedings of the 13th EURAMAL Conference, 28 May-1 June 2018, Naples/Italy (Ipocan, 2022).