di Marco Santopadre

Pagine Esteri, 26 aprile 2023 – Nonostante i due governi siano impegnati in fitti colloqui allo scopo di placare gli animi, tra Iran e Azerbaigian la tensione rimane alta , a tal punto che alcuni osservatori temono addirittura un nuovo conflitto nell’area. Molto dipenderà anche dall’evoluzione dei rapporti tra Azerbaigian e Armenia, paesi che dal conflitto del 2020 sono di fatto in una condizione di scontro permanente. Gli ultimi mesi hanno visto una vera e propria escalation nei rapporti tra Teheran e Baku.

Arresti e accuse
A novembre i servizi di sicurezza Azerbaigiani hanno arrestato 19 uomini con l’accusa di preparare atti terroristici per conto dell’Iran. Da parte loro le autorità iraniane hanno accusato un cittadino azero di aver organizzato l’attacco al Santuario di Shah Cheragh, un santuario religioso sciita nella città iraniana meridionale di Shiraz, che ha provocato 15 morti e 40 feriti.

In seguito, il governo di Baku ha deciso di chiudere la sua ambasciata a Teheran dopo che il 27 gennaio un uomo armato ha attaccato la sede diplomatica, uccidendo il capo della sicurezza e ferendo due guardie. Dell’aggressione il leader azero Ilham Aliyev ha accusato non meglio precisati apparati iraniani: «Il fatto che, subito dopo questo atto di terrorismo, il terrorista sia stato intervistato dai media iraniani dimostra che era stato inviato da alcuni dei rami dell’establishment iraniano. Un’altra cosa strana è che due giorni dopo è stato descritto come disabile mentale». Nell’intervista citata l’aggressore ha raccontato ai media iraniani di aver assaltato l’ambasciata di Baku perché sua moglie, cittadina azera, era scomparsa dopo essersi recata nella rappresentanza diplomatica mesi prima. Nei giorni successivi i servizi di sicurezza di Baku avrebbero arrestato circa 400 esponenti di gruppi religiosi sciiti, accusati di possesso di droga e di portare avanti attività illegali.

Il 28 marzo, il deputato e vicepresidente dell’Assemblea Nazionale azera Fazil Mustafa – noto per i suoi virulenti attacchi contro l’Iran – è stato oggetto di alcuni colpi di arma da fuoco a poca distanza dalla sua abitazione. Anche in questo caso le autorità e la stampa azeri hanno puntato il dito contro Teheran. Alcuni giornali hanno pubblicato i nomi di quattro sospetti accusati di lavorare per l’Iran. Alcuni media statunitensi, da parte loro, hanno sottolineato la coincidenza tra il fallito attentato al parlamentare azero – che è rimasto ferito ma è sopravvissuto – e la visita del ministro degli Esteri di Baku, Jeyhun Bayramov, in Israele.

Il 6 aprile, poi, Baku ha espulso quattro diplomatici iraniani dichiarandoli persone non grate. Lo stesso giorno sei cittadini azeri sono stati arrestati a Baku con l’accusa di preparare un colpo di stato per imporre un regime fondamentalista sciita. Dopo qualche giorno le autorità azere hanno compiuto altri venti arresti di presunti agitatori religiosi al servizio di Teheran.

Manifestazione di solidarietà con l’Azerbaigian a Tabriz (Iran) durante la seconda guerra del Nagorno Karabakh

Il conflitto per il Nagorno-Karabakh
Anche se Teheran si è tradizionalmente schierata con l’Armenia nel conflitto che oppone quest’ultima agli azeri, Teheran ha sempre cercato di mantenere un certo equilibrio nei rapporti con l’ex repubblica sovietica.

Nel corso della prima guerra tra Erevan e Baku per il controllo del Nagorno-Karabakh – territorio dell’Azerbaigian a maggioranza armena – l’Iran ha cercato di esercitare un ruolo di mediazione tra le parti, pur sostenendo l’Armenia con l’invio di aiuti e armi.
Il cessate il fuoco del 1994 ha cristallizzato per 16 anni la vittoria armena, con l’indipendenza de facto del Nagorno-Karabakh – ribattezzato Repubblica di Artsakh – e la conquista di sette distretti circostanti.

Negli ultimi anni, però, la depressa e politicamente insignificante ex repubblica sovietica è cresciuta a passi da gigante; grazie agli introiti dell’industria petrolifera e all’esportazione del gas, l’Azerbaigian è diventata una potenza regionale in espansione. Sostenuta dalle armi acquistate da Turchia, Israele e Russia (paese che pure sostiene l’Armenia) l’Azerbaigian si è trasformato in una potenza militare di media grandezza. Grazie ai droni turchi e israeliani e ai consiglieri militari inviati da Erdogan, nel settembre del 2020 Aliyev ha scatenato un’efficace offensiva contro Stepanakert (capitale dell’Artsakh). Dopo 44 giorni di aspri combattimenti Mosca ha imposto un cessate il fuoco che ha sancito la riconquista da parte azera di ampie porzioni dell’Artsakh e dei sette i distretti persi nel 1994. Da allora, grazie anche alla tolleranza delle migliaia di militari russi schierati per supervisionare il rispetto del cessate il fuoco, Baku ha condotto nuovi attacchi anche contro la stessa repubblica armena, strappando nuovi territori e sequestrando il corridoio di Lachin che collega l’Artsakh a Erevan.

Il conflitto del 2020 ha visto l’Iran mantenere un atteggiamento molto cauto, senza schierarsi troppo apertamente a favore di Erevan. A impensierire il governo – che pure teme l’espansionismo di Baku e le collegate mire turche e israeliane – la mobilitazione delle regioni iraniane a maggioranza azera del nord del paese. Nell’ottobre del 2020, decine di migliaia di persone hanno manifestato al grido di “il Karabakh è nostro” e gli imam dell’Azerbaigian orientale e orientale e delle regioni di Ardebil e Zanjan (sotto il controllo iraniano) hanno diffuso un appello in cui sostenevano le rivendicazioni di Baku sull’Artsakh. La stessa guida suprema del paese, Alì Khamenei, dichiarò che Baku aveva tutto il diritto di «liberare i territori occupati dall’Armenia».

Sull’indebolimento del sostegno iraniano a Erevan ha influito inoltre la decisione del premier armeno Nikol Pashinyan di stabilire relazioni diplomatiche con Israele – il principale nemico strategico della Repubblica Islamica – nonostante il sostegno militare di quest’ultimo agli azeri.

Corridoio di Zangezur

Teheran teme l’estromissione dal Caucaso
L’esito della seconda guerra del Nagorno-Karabakh ha però indebolito fortemente la posizione dell’Iran nel Caucaso meridionale e causato ricadute economica negative. Per trent’anni il territorio montuoso dell’Azerbaigian al confine con l’Iran era stato controllato dagli armeni. Dal 2020 quelle province sono state recuperate da Baku grazie all’intercessione russa, e l’Azerbaigian ha deciso di imporre una tassa sui camion iraniani pieni di merci che li attraversano, diretti in Armenia o in Russia. Dopo il conflitto, inoltre, Baku spinge per avere il controllo sul “corridoio di Zangezur”, un’ampia fascia di territorio nel sud dell’Armenia che gli permetta di ottenere la continuità territoriale con la Repubblica di Nakhchivan, una sua regione autonoma incastonata tra Armenia, Iran e Turchia. Se Aliyev dovesse raggiungere il suo obiettivo, Teheran rimarrebbe completamente tagliata fuori dal Caucaso, tant’è che le autorità iraniane hanno più volte chiarito agli alleati russi di non accettare questo ennesimo sviluppo dell’espansionismo azero nel quadrante, pure previsto negli accordi di cessate il fuoco del 2020.
Grazie alla continuità territoriale, infatti, il corridoio di Zangezur agevolerebbe ulteriormente la proiezione della Turchia nell’Asia centrale turcofona, fino al Turkmenistan, mettendo a rischio gli interessi economici e geopolitici iraniani.

Per tentare di placare l’opposizione iraniana al corridoio di Zangezur, Baky e Mosca hanno offerto all’Armenia la possibilità di usufruire di un collegamento ferroviario che la colleghi con la Russia e con l’Iran, attraversando il territorio controllato dall’Azerbaigian. Ma i rischi che questo collegamento – tutto da realizzare – venga bloccato da Baku e che l’Iran rimanga isolato verso nord è considerato troppo alto da Teheran, che ha deciso di dare un segnale all’Azerbaigian organizzando nell’ottobre del 2022 delle massicce esercitazioni militari proprio in prossimità della propria frontiera settentrionale. Nel corso delle manovre, i militari di Teheran hanno approntato un ponte di barche sul fiume Aras, che definisce gran parte dei 700 km che separano i due paesi.
Dopo un incontro con il leader azero Aliyev nell’ottobre del 2022 il presidente iraniano Ibrahim Raisi ha respinto, in un comunicato, «qualsiasi cambiamento nei confini storici, nella geopolitica della regione e nelle rotte di transito tra Iran e Armenia».

Teheran avverte l’Unione Europea
Ma Raisi ha anche «rifiutato la presenza militare europea nella regione sotto qualsiasi copertura. Le questioni interne non ci distrarranno dagli interessi strategici della nazione iraniana», riferendosi evidentemente alle massicce proteste contro il regime che interessano la Repubblica Islamica ormai da molti mesi. A preoccupare la Repubblica Islamica è infatti anche una missione di monitoraggio dell’Unione Europea dispiegata in Armenia nell’autunno del 2022 e che ha visto la partecipazione di una cinquantina di membri. Un’iniziativa poco più che simbolica, attraverso la quale Bruxelles – su insistenza soprattutto della Francia – cerca di rimettere un piede nell’area (seguita da un’altra missione di monitoraggio, questa volta approntata dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) dopo le proteste di Erevan contro l’eccessiva tolleranza dimostrata dagli alleati russi nei confronti delle pretese azere dopo il blocco del corridoio di Lachin da parte di militari e manifestanti nazionalisti di Baku mascherati da attivisti ecologisti.

Il rischio di un conflitto
Per rafforzare la propria proiezione nell’area rivendicata da Baku e dichiarando che la sicurezza iraniana coincide con la sicurezza armena, ad ottobre il ministro degli Esteri di Teheran, Hossein Amirabdollahian, ha inaugurato un consolato della Repubblica Islamica a Kapan, il capoluogo della provincia di Syunik.
Se nel prossimo futuro le forze armate dell’Azerbaigian dovessero strappare nuovi territori all’Armenia, l’Iran potrebbe decidere di intervenire militarmente a fianco di Erevan, soprattutto nel caso in cui Baku tentasse di impossessarsi con la forza del corridoio di Zangezur nella provincia di Syunik. Come passo intermedio, Teheran potrebbe fornire a Erevan aiuti militari e i suoi droni per bilanciare gli Harop israeliani e i Bayraktar turchi consegnati a Baku.
Intanto negli ultimi mesi l’esercito iraniano ed in particolare i Guardiani della Rivoluzione (IRGC) hanno incrementato la propria presenza nelle regioni nord-occidentali del paese, al confine con Armenia e Azerbaigian.
L’Iran deve assolutamente tenere libero il proprio confine con l’Armenia se vuole realizzare l’ambizioso progetto di un Corridoio internazionale di transito nord-sud (INSTC), che ridurrebbe di molto i tempi di transito tra l’India e l’Europa e collegherebbe i porti russi con il Golfo Persico e l’Oceano Indiano attraverso il Caucaso e l’Iran. Ovviamente l’Azerbaigian sta lavorando ad un corridoio alternativo che bypassi sia la Russia sia l’Iran.

Il separatismo etnico e il fondamentalismo religioso
I due paesi adoperano anche la carta etnica e religiosa contro i propri avversari, accendendo un clima di odio che difficilmente potrà essere spento.
Teheran tenta di fomentare i settori della popolazione azera di fede sciita per indebolire il regime di Aliyev, mentre in Iran cresce il sentimento nazionalista favorevole a una annessione di quella che viene definita – in senso dispregiativo – “repubblica di Baku” per indicare i territori perduti dall’Impero Persiano a vantaggio di quello Russo all’inizio del XIX secolo.
D’altro canto le autorità di Baku e gli ambienti nazionalisti dell’Azerbaigian da tempo rivendicano apertamente l’annessione delle province settentrionali iraniane, abitate da popolazioni azere di lingua turca. Dall’estate del 2022 la stampa filogovernativa dell’Azerbaigian ha moltiplicato gli appelli all’annessione delle province azere dell’Iran, mentre il regime di Aliyev ha intensificato il proprio sostegno ai gruppi secessionisti. – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e scrittore, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.