Di Urooba Jamal – Al Jazeera
Pagine Esteri, 29 agosto 2023 – Ebrahim Sharif ricorda ancora di aver visto sangue sui muri della prigione militare in cui era stato incarcerato, poco dopo aver manifestato durante le proteste della Primavera Araba del Bahrein del 2011. L’allora segretario generale del più grande partito politico di sinistra del paese del Golfo – National Democratic Action Society (Wa’ad) – fu arrestato insieme ad altri leader della protesta dell’epoca che vennero processati e incarcerati da tribunali militari.
“Siamo stati torturati duramente”, racconta Sharif ad Al Jazeera, descrivendo le percosse e le molestie sessuali che ha subito, così come le elettrocuzioni a cui sono stati sottoposti alcuni dei suoi compagni. Poco dopo lo svolgimento di un’inchiesta indipendente, il leader dell’opposizione e altri che avevano preso parte alle massicce proteste a favore della democrazia, sono stati trasferiti nel sistema carcerario civile e solo allora la tortura è cessata.
Le cose sono andate decisamente meglio in queste prigioni per diversi anni, dice Sharif, con i prigionieri che potevano lasciare le celle durante il giorno per pregare nella moschea, usare la biblioteca o giocare a calcio all’aperto. Ma, aggiunge, le condizioni sono peggiorate dopo lo scoppio di una rivolta nel 2015.
Quasi un decennio dopo, secondo il centro per i diritti umani Bahrain Institute for Rights and Democracy (BIRD) di Londra, i prigionieri – molti dei quali languono nel sistema carcerario dal 2011 – sono confinati nelle loro celle fino a 23 ore al giorno, senza cure mediche e senza accesso all’istruzione. Istituto per i diritti e la democrazia (BIRD). Alcuni sono anche tenuti in isolamento.
A causa del peggioramento delle condizioni, dall’inizio di agosto più di 800 prigionieri politici hanno organizzato il più ampio sciopero della fame mai realizzato in Bahrein, molti dei quali sono detenuti nella prigione più grande del paese, il Centro di Riforma e Riabilitazione di Jau.
Anche le famiglie dei prigionieri sono scese in piazza per protestare, chiedendo il rilascio dei loro cari.
Lunedì, dopo 22 giorni di sciopero della fame, le autorità del Bahrein si sono incontrate con gruppi di pressione per discutere le riforme. Ma i prigionieri affermano che queste proposte difficilmente rispondono alle loro preoccupazioni e hanno affermato di voler continuare la protesta. “La rabbia per questa ingiustizia non è più confinata tra le mura delle prigioni. Questo ora è un problema nelle strade del Bahrein”, dice ad Al Jazeera il direttore dell’advocacy di BIRD, Sayed Ahmed Alwadaei.
“Un lento omicidio”
Mentre Sharif ha avuto la “fortuna” di non aver trascorso più di cinque anni e mezzo in prigione, altri sono stati condannati all’ergastolo. Tra loro c’è Abdulhadi al-Khawaja, candidato al Premio Nobel per la pace che Alwadaei definisce un “padre” del movimento per i diritti umani in Bahrein.
“La negazione delle cure mediche è un omicidio lento”, ha detto ad Al Jazeera Maryam al-Khawaja, la figlia di Abdulhadi, che ora vive in Danimarca. “Sì, lo sciopero della fame espone mio padre a un rischio maggiore di infarto. Ma era già a rischio perché gli stavano negando l’accesso a un cardiologo”.
Abdulhadi al-Khawaja non è estraneo agli scioperi della fame, il più lungo dei quali è durato 110 giorni nel 2012. Ora non sarebbe in grado di resistere così a lungo, ha detto Maryam, a causa del suo stato di salute, che comprende aritmia cardiaca, glaucoma e dolore cronico a causa delle placche metalliche nella mascella dopo numerose percosse da parte delle autorità carcerarie.
Le proteste, dice Alwadaei, hanno guadagnato slancio, con il numero di scioperanti della fame raddoppiato da quando lo sciopero è iniziato il 7 agosto. Secondo un elenco di scioperanti della fame compilato da BIRD e analizzato da Al Jazeera, attualmente vi prendono parte 804 prigionieri.
L’incontro di lunedì tra il governo e i gruppi di pressione ha fatto ben poco per mettere fine allo sciopero della fame.
Il ministro degli Interni, generale Shaikh Rashid bin Abdullah Al Khalifa, ha incontrato il presidente dell’Istituto nazionale per i diritti umani e il presidente della Commissione per i diritti dei prigionieri e dei detenuti. Si è discusso dei servizi sanitari per i detenuti, di una revisione dell’attuale sistema di visite e dell’aumento del tempo giornaliero all’aperto da un’ora a due ore. Al Khalifa ha inoltre sottolineato “la cooperazione in corso tra il Ministero dell’Interno e il Ministero dell’Istruzione nel fornire programmi e servizi educativi ai detenuti e nel facilitare il completamento dei loro studi a tutti i livelli”.
Ma Alwadaei ha detto che l’incontro è avvenuto “troppo tardi” e che il governo non è ancora riuscito a soddisfare le richieste fondamentali dei prigionieri.
“Sulla base delle conversazioni con i prigionieri seguite alla dichiarazione del Ministero dell’Interno, è chiaro che lo sciopero della fame continuerà finché il governo non affronterà le loro lamentele seriamente e in buona fede”, dice. “Finora non hanno preso sul serio nessuna delle richieste centrali dei detenuti in sciopero”.
“Il governo non dove sottovalutare la precaria condizione dei prigionieri e la rabbia nelle strade. Se un prigioniero muore, la situazione andrà fuori controllo”, aggiunge Alwadaei.
Al momento della pubblicazione di questo articolo, le autorità del Bahrein non avevano risposto alla richiesta di Al Jazeera di commentare le accuse di tortura e rifiuto di cure mediche ai detenuti.
Amnistia per i detenuti
Lo sciopero ha suscitato preoccupazione da parte dell’alleato del Bahrein, gli Stati Uniti, con un portavoce del Dipartimento di Stato americano che all’inizio di questo mese ha dichiarato di essere “consapevole e preoccupato per le notizie di questo sciopero della fame”. Secondo Maryam al-Khawaja, tuttavia, gli alleati occidentali del Bahrein, compresi gli Stati Uniti, hanno a lungo trascurato le violazioni dei diritti umani nel paese, sostenendo la nazione del Golfo e consentendo il verificarsi di tali abusi.
“Non saremmo dove siamo se… il governo non ricevesse il tipo di sostegno che riceve dall’Occidente – è come se fosse in grado di evitare qualsiasi tipo di reale responsabilità internazionale per i crimini che ha commesso”, afferma al Khawaya.
Maryam ricorda ancora quella volta nel 2011 in cui suo padre fu picchiato fino a perdere i sensi davanti a lei e alla sua famiglia quando è stato arrestato. La rivolta (in Bahrain) è avvenuta mentre la famiglia al-Khawaja viveva ancora in Bahrein, essendovi tornata nel 2001 dopo un periodo di esilio in Danimarca.
All’epoca poterono tornare perché il governo del Bahrein aveva concesso un’amnistia generale, liberando tutti i prigionieri e favorendo così il ritorno di molti esuli.
Maryam, che è stata detenuta e successivamente rilasciata dopo le pressioni internazionali quando ha tentato per l’ultima volta di visitare il Bahrein nel 2014, spera in un’altra amnistia generale per suo padre e gli altri prigionieri. Altrimenti, ha paura che possa morire in prigione.
Sono state le traversie di suo padre e l’attivismo per i diritti umani durato tutta la vita che l’hanno ispirata a diventare anche lei una attivista dei diritti umani, una storia simile per molti altri nella regione che lo avevano incontrato, ha detto. “Ho incontrato persone del Golfo che mi hanno detto che volevano impegnarsi nel campo dei diritti umani grazie a mio padre, perché lo hanno incontrato e lui le ha ispirate”, ha detto Maryam.
Anche Ebrahim Sharif, che per un periodo ha condiviso la cella con al-Khawaja, ha la preoccupazione che i prigionieri in sciopero della fame possano morire e continua a parlare apertamente contro le ingiustizie che lui stesso ha subito. “Hanno una scelta – afferma – possono mettermi in prigione o lasciarmi dire quello che penso. Non credo che vogliano mettermi in prigione, quindi parlo liberamente il più possibile”. Pagine Esteri
NEL VIDEO UNA MANIFESTAZIONE A SOSTEGNO DEI PRIGIONIERI