di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 12 settembre 2023 – Tra il 9 e il 10 settembre scorsi, l’India di Narendra Modi ha accolto i leader Mondiali del G20. Al centro delle polemiche la “Dichiarazione finale” ratificata alla conclusione del summit, per le sue generiche condanne alla guerra senza nessun diretto riferimento alla Russia. Nell’agenda del documento, non vincolante per nessuno dei Paesi firmatari, anche lo sviluppo “green” e il cambiamento climatico, l’eliminazione della fame e della malnutrizione, l’uguaglianza di genere, le sfide digitali.
Per il Primo Ministro indiano Modi, nei panni del padrone di casa, un’occasione straordinaria per ribadire il ruolo strategico del Paese, che rappresenta la quinta economia mondiale, e soprattutto la sua figura politica, in grado di dialogare con i leader delle democrazie occidentali. Nonostante, secondo molti report di organizzazioni di diritti umani e le denunce di attivisti e intellettuali da tutto il mondo, il suo governo abbia applicato il bavaglio ai dissidenti, messo in carcere gli oppositori politici e represso nel sangue le minoranze etniche e religiose, prima tra tutte quella musulmana.
Di queste contraddizioni, alla vigilia del G20, aveva parlato ad Al Jazeera la scrittrice e attivista Arundhati Roy, da sempre estremamente critica nei confronti del governo di Modi.
Anche in questa occasione, l’autrice conosciuta nel mondo per il romanzo “Il dio delle piccole cose”, non ha mancato di denunciare i crimini commessi dal governo del suo Paese ai danni delle minoranze e dei più poveri, ma non ha neppure risparmiato i Premier dei governi occidentali che si sono riuniti a New Delhi, ipocriti complici di una dittatura in nome dei propri interessi.
“A nessuno importa” di quello che succede in India, ha dichiarato la scrittrice al giornale. “C’è il G20 e ognuno cercherà di ricavarne un’opportunità, un accordo commerciale, un accordo per una fornitura d’armi, un’intesa di strategia geopolitica”, ha predetto, alla vigilia del summit. “Non è che le singole persone che stanno arrivando qui, che si tratti di capi di Stato o di chiunque altro, non sappiano cosa succede qui. In Paesi come gli Stati Uniti, la Francia, il Regno Unito, i media mainstream sono stati molto critici su quello che sta accadendo in India, ma i governi poi hanno una loro agenda ben diversa.”
Un’agenda che, di fatto, non ha compreso i diritti delle minoranze in India, né le condizioni di vita degli abitanti delle periferie più degradate di New Delhi – che di fatto, prima dell’inizio del summit, sono state ripulite dei loro residenti e abbellite, affinché lo sguardo dei media mondiali non potesse incrinare in queste ore l’immagine edulcorata che Modi stava cercando di dare del suo paese sui palchi del G20.
“Penso che la cosa interessante sia che se tu fossi a Delhi, come me adesso, se guardassi le pubblicità, i manifesti, se vedessi tutti i preparativi che si stanno facendo per il G20, tu saresti perdonato se pensassi che non sia il governo indiano a ospitare il G20, ma il Partito Bharatiya Janata (BJP). Su ogni singolo striscione c’è un grande loto, che è il simbolo di un partito politico, Il BJP di Modi”.
Di fatto, ovunque l’immagine stilizzata di un loto addobba i loghi del G20. Anche il documento finale dei leader mondiali ha una peculiare prima pagina, in cui si succedono fiori di loto colorati che ricordano molto delle uova di Pasqua fuori stagione.
“E’ così pericoloso che il Paese, la Nazione, il governo e le sue istituzioni siano stati tutti confusi con il partito di governo. E che il partito di governo sia stato confuso con Modi, un singolo individuo. E infatti, un partito di governo adesso esiste a malapena, adesso c’è solo un governante. Quindi è come se fosse Modi a ospitare il G20”.
Poi la denuncia su quello che è accaduto dietro alle quinte di un Paese che si preparava a ricevere i leader mondiali: “Le città sono state epurate dai poveri. Gli slums sono stati ripuliti. Le strade sono chiuse, il traffico è silenziato. E’ tutto silenzioso come la morte. E’ come se lui (Modi, ndr) si vergognasse così tanto di noi, di come la città è realmente. E’ stata purgata e sigillata per quest’evento.”
Tutto per “una questione di vanità”, ha detto Roy a proposito di Narendra Modi. “E’ pronto a fare le piroette, e siamo proprio alle porte delle elezioni. Quest’evento non farà che foraggiare la sua campagna. Tutti questi leader occidentali che parlano di democrazie – intendo, tu puoi anche perdonare qualcuno come Trump, perché lui non crede nella democrazia – ma Biden, Macron, tutte queste persone che parlano di democrazia, sanno esattamente cosa sta succedendo qui. Sanno che i musulmani sono stati massacrati, che le case dei musulmani che hanno protestato sono state distrutte dai bulldozer, il che significa che tutte le istituzioni pubbliche – tribunali, magistrati, stampa – sono collusi in questo. Sanno che i musulmani in alcune città hanno delle croci dipinte sulle loro porte (come contrassegni, ndr) e che viene chiesto loro di lasciare le loro case. Sanno che i musulmani sono stati ghettizzati. E che le persone accusate di linciare, di uccidere i musulmani sono adesso alla guida di cosiddette processioni “religiose” all’interno di questi ghetti. Sanno che ci sono delle guardie armate di spade lì fuori, che chiamano all’annientamento (delle comunità musulmane, ndr), allo stupro di massa delle donne musulmane. Sanno tutto questo, ma non gli importa, perché come sempre per alcuni Paesi occidentali, è “democrazia per noi” e “dittatura o qualsiasi altra cosa sia per i nostri amici non bianchi”.
In un ipotetico discorso di apertura del G20, qualora fosse stata invitata ad averne uno, Roy ha immaginato che avrebbe detto che “Sarebbe sconsiderato pensare che il processo che sta portando un Paese di 1,4 miliardi di persone, e che un tempo era una democrazia imperfetta, a cadere in quella che si può solo definire con la parola “fascismo” non influenzerà il resto del mondo”. “Il mio non sarebbe un grido di aiuto”, ha spiegato la scrittrice. “Sarebbe piuttosto dire: Guarda intorno a ciò che sei, a quello che stai contribuendo a creare”.”. E ricorda di quando nel 2002, dopo il massacro anti-musulmano del Gujarat, l’intelligence di Paesi occidentali come il Regno Unito considerava Modi responsabile di “pulizia etnica” e gli era vietato di viaggiare verso gli Stati Uniti. “Adesso è tutto dimenticato, ma si tratta dello stesso uomo”, sottolinea Roy. “E ogni volta che qualcuno gli concede questo spazio per fare piroette e afferma che solo uno come lui avrebbe potuto portare queste persone potenti in India, quel messaggio amplificato dai nostri canali servili, alimenta un senso di insicurezza nazionale, di inferiorità e falsa vanità.”. Un pericolo che, secondo la scrittrice, “non sarà un problema solo per l’India”.
“Anche se abbiamo le elezioni, non ci chiamerei più una democrazia”. La propaganda del partito al potere avrebbe provocato una trasformazione sociale che rende più insidiosamente pericolose le cose per le minoranze residenti in India, ovvero la popolazione non indù. Soprattutto nella stagione delle elezioni alle porte. “Quando dico che “Siamo giunti a una fase diversa adesso”, intendo dire che non è più solo la leadership che dobbiamo temere, ma una parte di questa popolazione indottrinata che è stata resa pericolosa per le minoranze. La violenza non si limita più ai pogrom orchestrati dal governo. Stiamo assistendo incidente dopo incidente alla banalità del male, come l’avrebbe definita Hannah Arendt. Il mondo intero ha visto il video di una piccola classe di scuola nel nord dell’India dove l’insegnante fa alzare in piedi un ragazzino musulmano di sette anni e fa avvicinare tutti gli altri bambini indù a prenderlo a schiaffi”.
“Persone accusate di omicidio, linciaggio, di aver bruciato vivi giovani musulmani, che adesso conducono processioni religiose”, ripete Roy, “Abbiamo una situazione in cui la costituzione è stata più o meno messa da parte. Se vincono le elezioni l’anno prossimo, nel 2026, ci sarà la cosiddetta “delimitazione”, una sorta di manipolazione in cui il numero dei seggi e la geografia dei collegi elettorali sarà modificata, e la componente di lingua indù (in cui il partito BJP è quello più potente), otterrà ancora più seggi”.
“Siamo in una situazione in cui si parla di una nazione, una lingua, una elezione. Ma in realtà, siamo in una situazione in cui abbiamo un dittatore”. E conclude: “Lo stato dell’India è molto precario, molto contestato. Ci troviamo in una situazione in cui la Costituzione è stata effettivamente messa da parte. Ci troviamo in una situazione in cui il BJP è oggi uno dei partiti politici più ricchi del mondo. E tutta la macchina elettorale è più o meno compromessa. Eppure – non solo a causa della violenza contro le minoranze – ma anche a causa della disoccupazione e poiché viviamo in una delle società più diseguali del mondo, abbiamo un’opposizione che si sta formando. Questo governo cerca di schiacciarla perché non crede che debba esserci un’opposizione. Siamo in un momento di cambiamento e non ci aspettiamo che qualcuno al di fuori dell’India si alzi e se ne accorga, perché tutti i loro occhi hanno il simbolo del dollaro sopra e guardano tutti solo a questo Paese come un enorme mercato di un miliardo di persone. Ma si sa, non ci sarà un mercato quando questo Paese scivolerà nel caos e nella guerra, come è già successo in posti come il Manipur. Ciò di cui non si rendono conto è che questo mercato non esisterà più quando questo grande Paese cadrà nel caos. La bellezza e la grandezza dell’India stanno venendo ridotte a qualcosa di piccolo, ringhioso, meschino e violento. E quando tutto questo esploderà, penso che non ci sarà niente di simile”. Pagine Esteri