di Michele Giorgio
(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)
Pagine Esteri, 6 dicembre 2023 – Da «rivitalizzata» a «riformata» passando per l’uscita di scena, si dice in primavera, di Abu Mazen, fino ad arrivare alla nomina di un «premier» ad hoc a Gaza. Forse l’ex primo ministro Salam Fayyad, gradito ad americani ed egiziani e che potrebbe essere accettato da Israele. È questo lo scenario che, più di altri, si affaccia all’orizzonte quando si parla del futuro dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) chiamata dagli Stati uniti, e a rimorchio dall’Europa, a guidare Gaza quando «Hamas non sarà più al potere» e si dovrà avviare la ricostruzione, se Israele lo consentirà.
«Il nome di Salam Fayyad, un indipendente con rapporti pessimi con Abu Mazen, gira da un po’, da quando (l’ex premier) ha pubblicato un articolo in cui spiega la sua visione per Gaza e la necessità di una riorganizzazione dell’Anp», dice al manifesto T.A. giornalista di Ramallah ben informato sulle questioni interne palestinesi che per la delicatezza del tema ha chiesto di restare anonimo. «Fayyad piace all’Amministrazione Biden e agli egiziani» aggiunge T.A. «Ci sono però due grandi incognite: la posizione di Israele e la portata delle ‘riforme’ che l’Anp dovrebbe avviare. In questo quadro l’uscita di scena del presidente Abu Mazen è un fattore centrale. Gli americani la vogliono in tempi brevi. L’ultimo incontro tra (il segretario di stato) Blinken e Abu Mazen è stato carico di tensione».
Casa Bianca e Dipartimento di stato da quando è iniziata la catastrofica offensiva israeliana a Gaza, hanno indicato nell’Anp l’entità che dovrà subentrare ad Hamas e ribadito sostegno alla soluzione a Due Stati (Israele e Palestina). Una Anp però da «rivitalizzare», hanno ripetuto, alla luce dello scarso consenso di cui gode tra i palestinesi. Da parte loro Abu Mazen e il suo primo ministro, Mohammed Shttayeh, hanno replicato che l’Anp a Gaza non ci tornerà «sui carri armati israeliani». Lo farà soltanto nell’ambito di una ripresa dei negoziati per la creazione di uno Stato palestinese. Israele per giorni ha reagito con gelo alla proposta di Biden e Blinken. Quindi è sceso in campo Netanyahu che, con toni oltremodo decisi, ha respinto l’idea che venga coinvolta l’Anp. Ufficialmente perché «legata ai terroristi», cioè ad Hamas, affermazione sconcertante alla luce della frattura insanabile tra le due parti palestinesi e della cooperazione di sicurezza che l’Anp mantiene con Israele. In realtà Netanyahu non intende riprendere il negoziato che ha coscientemente affossato per 14 anni e ridare slancio all’idea dello Stato di Palestina «rivitalizzando» l’Anp che, con tutti i suoi gravi limiti agli occhi dei palestinesi, continua in qualche modo a rappresentare. Per Netanyahu la risposta all’attacco del 7 ottobre non deve concentrarsi solo su Hamas, deve anche affossare le aspirazioni politiche palestinesi.
Comunque sia, l’ostilità di Israele nei confronti dell’Anp ha impresso una svolta al processo di pianificazione per Gaza dell’Amministrazione Biden. A inizio settimana il coordinatore per la Sicurezza nazionale Usa, John Kirby, parlando dell’Anp ha messo da parte il verbo «rivitalizzare» per adottare «riformare» in modo da avvicinare la posizione americana a quella israeliana. Netanyahu, dicono le indiscrezioni, avrebbe chiarito agli alleati americani che Israele pretende una Anp che combatta, armi in pugno e ogni giorno, contro Hamas e altre organizzazioni armate. Altrimenti, ha ammonito, i soldati israeliani non lasceranno mai Gaza. In sostanza l’Autorità palestinese «riformata» che ha in mente Israele si avvicina molto per ruolo e funzioni a ciò che era l’Esercito del Libano del sud, la milizia mercenaria libanese che per oltre venti anni ha sorvegliato la «Fascia di sicurezza» a ridosso del confine con lo Stato ebraico. Un progetto che si sposa con la creazione, da parte di Israele, di una «zona cuscinetto» all’interno di Gaza.
«Con ogni probabilità questa è l’idea dell’Anp ‘riformata’ che ha in mente Netanyahu» ci dice l’analista politico Ghassan Khatib, docente all’università di Bir Zeit, «in parte è diversa da quella degli Stati uniti che danno più rilievo alla dimensione politica. E riformare per gli americani significa cambiare i leader politici». Venti anni fa, durante la seconda Intifada, – ricorda Khatib – gli Usa allo scopo di isolare Yasser Arafat imposero la nomina di un vice ai vertici dell’Anp. In quel caso fu scelto Abu Mazen che poi nel 2005 divenne presidente». Il problema degli Usa è che ora non ci sono palestinesi pronti a svolgere il ruolo di premier o presidente fantoccio a Gaza. Neppure il reietto di Fatah, sempre molto influente, Mohammed Dahlan, originario di Khan Yunis, è tanto ingenuo da accettare una poltrona tanto scomoda imposta ai palestinesi dagli occupanti e da Washington.