di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 8 febbraio 2024 – Oggi la popolazione del Pakistan – uno dei paesi asiatici più importanti con i suoi 240 milioni di abitanti, potenza nucleare oggetto di un’esplicita contesa egemonica tra Stati Uniti e Cina – è chiamata alle urne per rinnovare l’Assemblea Nazionale e le assemblee elettive di quattro province: Punjab, Sindh, Khyber Pakhtunkhwa e Belucistan.
A causa della recente revisione dei collegi da parte della Commissione elettorale, l’Assemblea nazionale avrà 336 seggi, di cui 266 da eleggere con il sistema maggioritario uninominale e i rimanenti – 60 riservati alle donne e 10 alle minoranze religiose non musulmane – assegnati invece su base proporzionale. I suoi membri, insieme a quelli del Senato e ad altri “grandi elettori”, dovranno eleggere il nuovo presidente della Repubblica, essendo scaduto a settembre il mandato dell’attuale capo dello Stato, Arif Alvi.
Le elezioni giungono dopo numerosi rinvii e in un clima di fortissimo scontro politico. La tornata del 2018 era stata vinta dal leader del Movimento per la Giustizia del Pakistan (Pti) Imran Khan. Nel 2021, però, l’ex campione di cricket è entrato in conflitto con Washington e con le potenti forze armate pakistane.
Il “regime ibrido”
In Pakistan, come scrive “Foreign Policy”, vige un “regime ibrido”, un sistema politico in cui i militari coesistono con le istituzioni civili elette in un contesto multipartitico. Nei suoi 76 anni di storia del Pakistan indipendente, nessun primo ministro ha completato un mandato e vari governo eletti sono stati rovesciati dalle forze armate attraverso veri e propri colpi di stato o semplicemente attraverso pressioni e minacce. I generali occupano vari posti chiave nelle istituzioni statali e recentemente il ruolo decisionale dell’esercito, anche in campo economico, è stato formalizzato attraverso la creazione di un nuovo organismo di governo per gli investimenti stranieri, denominato “Special Investment Facilitation Council”. Inoltre ai tribunali militari è stata attribuita la facoltà, in alcune circostanze, di processare i civili.
Il dissidio con i militari è stato fatale a Khan. Nell’aprile del 2022 alcuni dei suoi deputati e dei suoi alleati gli hanno voltato le spalle e il suo governo è caduto; a rimpiazzarlo è stato Shehbaz Sharif, leader della Lega Musulmana del Pakistan – Nawaz (Pnl-N) al quale nell’agosto del 2023, in vista delle elezioni, è subentrato come capo di un governo ad interim il senatore indipendente Anwaar ul Haq Kakar.
L’ex premier in galera
Nel frattempo Imran Khan è stato condannato per corruzione e arrestato, e la Commissione Elettorale ha impedito al suo partito di utilizzare il simbolo della mazza da cricket. Khan è stato anche condannato a cinque anni di inabilitazione e quindi non si è potuto candidare alle elezioni politiche odierne.
Dopo la sfiducia parlamentare, sfruttando la sua grande popolarità Khan ha accusato l’esercito – che pure nel 2018 ne aveva favorito la vittoria – di inquinare la vita democratica del paese ed ha organizzato grandi manifestazioni in tutto il Pakistan. Ma il governo e le forze armate hanno attaccato frontalmente la sua organizzazione: migliaia di dirigenti e militanti sono stati arrestati o minacciati, sono dovuti fuggire all’estero o hanno dovuto nascondersi per evitare la persecuzione. Alcuni sono stati torturati e obbligati ad aderire ad un nuovo partito accondiscendente con le richieste delle forze armate.
A queste elezioni i candidati superstiti del Movimento per la Giustizia si sono presentati come indipendenti e hanno condotto una campagna elettorale semi-clandestina, basata soprattutto sul protagonismo delle donne e sull’intelligenza artificiale.
Condanne tombali, Khan accusa Washington
Nei giorni scorsi, con un tempismo sospetto, l’ex premier Khan, che si proclama innocente e si dice vittima di una persecuzione giudiziaria politicamente motivata, è stato condannato ben tre volte: a dieci anni di reclusione per divulgazione di segreti di Stato; ad altri dieci anni per la compravendita di doni di Stato; a sette anni per aver sposato la terza moglie, Bushra Bibi, prima della fine del periodo di attesa (“iddah”) imposto alle donne divorziate per contrarre nuove nozze. La condanna per la violazione del segreto di stato gli è stata inflitta perché Khan ha divulgato informazioni contenute in un dispaccio diplomatico ricevuto dal ministero degli Esteri da Washington che secondo l’allora primo ministro contenevano esplicite pressioni del governo statunitense per un cambio al vertice di Islamabad. Durante un comizio nel marzo del 2022, Khan denunciò che il Dipartimento di Stato aveva invitato alcuni diplomatici pakistani a organizzare la destituzione dell’ex campione di cricket, dopo che Khan aveva rafforzato i legami con la Cina e si era rifiutato di condannare apertamente l’invasione russa dell’Ucraina.
In un suo articolo – redatto in realtà grazie all’intelligenza artificiale, visto che l’ex premier è rinchiuso nel carcere di Adiala – pubblicato a inizio gennaio da “The Economist”, Khan denuncia: «È stato l’establishment a organizzare la nostra rimozione dal governo su pressione degli USA, allarmati per il mio sostegno ad una politica estera indipendente e per il mio rifiuto di fornire basi alle sue forze armate».
Per il tribunale che lo ha condannato Khan ha utilizzato un documento riservato a fini politici, mettendo a rischio la sicurezza nazionale. E oggi le autorità hanno sospeso l’accesso ad internet dai dispositivi mobili su tutto il territorio del paese e in alcuni territori anche le linee telefoniche per evitare, hanno spiegato, l’organizzazione di attacchi o di proteste.
Favorita la Lega Musulmana
La clandestinizzazione del partito di Khan favorisce la vittoria della Lega Musulmana che candida a primo ministro Nawaz Sharif, fratello di Shehbaz e in passato già a capo di due esecutivi negli anni Novanta e di un altro dal 2013 al 2017, quando fu rimosso dalla Corte Suprema in seguito a un’inchiesta per riciclaggio e corruzione nata dalla divulgazione dei cosiddetti Panama Papers, documenti relativi a migliaia di società offshore portati alla luce dal Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi. Dopo un’interdizione dai pubblici uffici, due condanne e quattro anni trascorsi nel Regno Unito, dove era stato autorizzato a recarsi per cure per otto settimane e da dove ha fatto ritorno solo lo scorso ottobre, il politico è stato assolto in due processi in secondo grado, e si è potuto quindi ricandidare.
La Lega Musulmana potrebbe formare un governo alleandosi con alcuni partner tradizionali ma anche con un partito formato dai fuoriusciti del Pti, ribattezzato Istehkam-e Pakistan Party (Ipp). Il vuoto politico creato dalla repressione del partito di Khan potrebbe essere riempito, almeno in parte, anche dal Partito Popolare Pakistano (PPP) di Bilawal Bhutto, figlio dell’ex premier Benazir Bhutto, assassinata nel 2007.
Il nuovo governo dovrà affrontare sfide urgenti e molto impegnative in un contesto di crisi politica, economica e di sicurezza.
La scorsa estate il Pakistan ha evitato per un soffio il default grazie al prestito di 3 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale e il paese è alle prese con un’elevata inflazione e con una crescita economica del Pil instabile e lenta.
La recrudescenza del terrorismo
Le elezioni sono state caratterizzate da una recrudescenza degli attentati, una piaga che negli ultimi due anni ha provocato nel paese circa 2300 vittime.
Ieri due attacchi dinamitardi contro altrettanti uffici elettorali nel Belucistan, rivendicati dai Talebani, hanno causato 30 morti e decine di feriti. Nelle ultime ore, nel distretto nord-occidentale di Dera Ismail Khan, uomini armati hanno fatto esplodere una bomba e hanno aperto il fuoco contro un furgone della polizia, uccidendo cinque agenti e ferendone altri due. Un militare è stato ucciso in un altro attacco nella città di Kot Azam.
Alla fine del 2022 il gruppo Tehreek-i-Taliban Pakistan (Ttp), i “Talebani del Pakistan” (per anni sostenuti da Islamabad), ha messo fine a un accordo di cessate il fuoco col governo e rivendicato poi una serie di attentati. A novembre Islamabad ha accusato il governo talebano in Afghanistan di sostenere la recente ondata di attacchi, giustificando così la decisione di espellere in massa centinaia di migliaia di immigrati afgani presenti in Pakistan.
In Belucistan, invece, oltre a gruppi jihadisti operano anche delle organizzazioni nazionaliste che rivendicano la riunificazione con i territori dell’Iran e dell’Afghanistan abitate dai Beluci, una popolazione di lingua iranica e religione sunnita. Spesso gli obiettivi delle azioni armate e degli attentati condotti dalle organizzazioni dei Beluci sono le infrastrutture legate alle miniere della regione e al porto di Gwadar, oggetto negli ultimi anni di consistenti investimenti da parte della Cina.
Nel frattempo, al confine orientale, sono scoppiate nuove tensioni con l’India, dopo che Islamabad ha accusato Nuova Delhi di condurre una campagna di omicidi all’interno del Pakistan.
Infine, tre settimane fa il governo ad interim si è trovato a gestire una grave crisi con l’Iran, paese con cui il Pakistan ha buone relazioni. Prima Islamabad ha dovuto subire un attacco iraniano nella provincia del Belucistan contro un gruppo armato Jaish al Adl, e poi ha ordinato una rappresaglia nel Belucistan iraniano contro un’altra milizia armata. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria