di Michele Giorgio*
Pagine Esteri, 20 maggio 2024 – A sera è esausto dopo una giornata passata a cercare cibo, acqua e qualche lavoretto per sopravvivere. Eppure, Adham Al Samouh quasi non riesce a chiudere occhio la notte nella sua tenda ad Abraj Al-Qastal, una località alla periferia di Deir al Balah. «Riesco a dormire a malapena due ore» racconta a un giornalista di Gaza «la mia tenda è calda e ci sono insetti di ogni tipo, alcuni li conosco altri non li ho avevo mai visti prima. I miei figli ed io siamo pieni dei loro morsi. E dobbiamo guardarci dai ratti che girano di notte intorno alla nostra tenda alla ricerca di cibo».
Potrebbero riferire lo stesso tutti gli altri palestinesi a cui l’attacco israeliano a Gaza ha distrutto la casa oltre ad uccidere parenti, che sono stati costretti a sfollare e che da mesi vivono nelle tende, scappando da una città all’altra. Per due milioni di palestinesi l’arrivo della stagione calda aggrava una condizione già estrema, così come ha fatto l’inverno. Come i civili di Gaza vivranno nei prossimi mesi però non dipenderà solo dal clima, dal caldo e dal freddo. La catastrofe sanitaria e ambientale che devasta la Striscia è immensa a causa dell’inquinamento e della distruzione con bombe e missili delle infrastrutture e delle reti fognarie. E non potrà che peggiorare, giorno dopo giorno, con la ripresa ad ampio raggio dell’offensiva israeliana e la fuga di centinaia di migliaia di persone da Rafah sotto attacco.
La diffusione di malattie infettive è già in atto, avvertono l’Oms e le Nazioni unite che, peraltro, entro pochi giorni potrebbero dover sospendere completamente le operazioni di soccorso e assistenza se non verrà fatto entrare carburante nella Striscia, ora bloccato ai valichi tra Gaza con Egitto e Israele. Parlando all’agenzia turca Anadolu, la portavoce dell’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), Olga Shirevko, ha lanciato l’allarme sulla condizione degli sfollati scappati da Rafah, con poco o nulla, per raggiungere le aree di Mawasi e la parte centrale del territorio. Assisterli sarà una impresa ardua, ha aggiunto prima di lanciare un appello al mondo «a non dimenticare Gaza e la sua popolazione».
Le acque reflue che scorrono tra le macerie di città e villaggi senza più controllo e attività di depurazione a causa della mancanza di elettricità e dei bombardamenti delle infrastrutture, hanno contribuito alla diffusione di insetti e altri animali. Così come l’accumularsi dei rifiuti dopo l’interruzione di qualsiasi attività delle amministrazioni comunali da quando Israele ha lanciato la sua offensiva. Il problema dei rifiuti, inclusi quelli sanitari, non raccolti e smaltiti è un’emergenza molto pericolosa, ammonisce il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp) secondo cui se la questione non sarà affrontata avrà conseguenze pesanti per la salute pubblica. I rifiuti, prevedono gli esperti, proseguiranno a contaminare i terreni e la falda acquifera. Prima del 7 ottobre Gaza produceva 1.700 tonnellate di rifiuti al giorno che venivano riversate in due discariche principali. In particolare, quella di Johr Dik, con milioni di tonnellate di rifiuti accatastati fino a 35 metri dal suolo. I veicoli per la raccolta erano cronicamente insufficienti e la pulizia dei centri abitati era limitata a dir poco. La guerra ha paralizzato tutto aggravando un quadro già disastroso.
L’Undp ha messo in campo un’iniziativa per sostenere il Joint Solid Waste Management Services Council (Jsc-Krm) nei governatorati meridionali di Rafah, Khan Younis e nell’area centrale che prevede la distribuzione di carburante per gli automezzi ancora funzionanti e la ripresa delle operazioni di raccolta dei rifiuti, ma senza il cessate il fuoco e la fine dei movimenti di centinaia di migliaia di sfollati su e giù per la Striscia, questi sforzi sono inutili.
Majed Al Sir, sfollato dal nord, riferisce che topi di ogni misura vagano liberamente e attaccano i magazzini con cibo e farina. «I cani randagi» aggiunge «costituiscono un altro problema, molti di loro sono diventati aggressivi a causa della violenza delle esplosioni causate dalle bombe e perché affamati». Mohammed al Balimat, del villaggio Masdar, dice che la guerra ha fatto spostare verso le aree popolate dagli sfollati scorpioni, serpenti e piccoli rettili.
In cima ai problemi che si moltiplicano e aggravano la crisi umanitaria frutto dell’offensiva israeliana c’è sempre il collasso quasi completo del sistema sanitario. Asma Musaed, medico nel campo profughi di Al-Maghazi, riferisce un continuo aumento di infezioni, malattie della pelle e intestinali causate dall’inquinamento ambientale. «E naturalmente – aggiunge – non possiamo dimenticare la scabbia, i pidocchi, le zecche e altri parassiti che affliggono soprattutto i bambini. Problemi seri che dovrebbero essere affrontati da un sistema sanitario attrezzato e in grado di funzionare, ma a Gaza non c’è più, gli ospedali sono fermi e la medicina di base è impossibile in queste condizioni».
Andrea De Domenico, capo di Ocha nei Territori occupati, in questi giorni a Gaza, sottolinea che le Nazioni unite ripetono senza essere ascoltate che la situazione non potrà che peggiorare. «Ormai anche un livello minimo delle condizioni igienico-sanitarie è un miraggio» dice al manifesto «la disponibilità di gabinetti e docce è minima rispetto al numero delle persone. A pagare sono soprattutto le donne senza più privacy in tendopoli con migliaia e migliaia di persone».
*Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto