della redazione
Pagine Esteri, 29 maggio 2024 – Il governo armeno ha risposto con la mano dura alle ennesime proteste delle opposizioni nazionaliste nei confronti della politica del primo ministro Nikol Pashinyan.
Domenica ben 220 persone sono state arrestate a Erevan ed in altre località nel corso di massicce manifestazioni organizzate da vari movimenti e partiti politici che chiedevano le dimissioni del premier, accusato di svendere il paese all’Azerbaigian e di orientare troppo la propria politica verso l’occidente.
Le proteste sono cominciate ad aprile dopo che l’esecutivo armeno ha accettato di restituire all’Azerbaigian quattro cittadine al confine occupate nel corso della guerra vinta dagli armeni all’inizio degli anni ’90. Nel 2020, però, il conflitto è riesploso per volontà di un Azerbaigian che nel frattempo è diventato una potenza militare – sostenuta da Israele e Turchia – grazie ai consistenti proventi derivanti dall’estrazione di gas e petrolio nel Mar Caspio. Negli assalti degli ultimi anni Baku ha conquistato varie province che gli erano state sottratte da Erevan e il Nagorno-Karabakh, una regione a maggioranza armena incastonata in territorio azero che per circa venti anni si era costituita in repubblica indipendente de facto. Nel settembre del 2023 la “Repubblica di Artsakh” ha cessato di esistere dopo una guerra lampo e i suoi centomila abitanti armeni sono fuggiti a Erevan per evitare persecuzioni e ritorsioni da parte azera.
In seguito, Baku ha attaccato direttamente il territorio dello stato armeno, occupando alcuni territori al confine, e ha iniziato a rivendicare esplicitamente le province meridionali dell’Armenia, minacciando addirittura di impossessarsene per ottenere la continuità territoriale con il Nakhchivan, una regione autonoma azera che sorge ad est tra l’Armenia, l’Iran e la Turchia.
Dopo la doppia e grave sconfitta negli scontri con l’esercito azero il premier Pashinyan ha accusato Mosca di aver abbandonato l’Armenia (con cui pure Mosca ha un patto di assistenza militare), ha affermato la propria disponibilità ad un trattato di pace definitivo con l’Azerbaigian e ha accettato la maggior parte delle richieste del regime azero di Aliyev, scatenando la rabbia di una consistente parte della popolazione armena.
Le proteste si sono di nuovo intensificate negli ultimi giorni, quando i quattro villaggi – il loro nome azero è Baghanis Ayrum, Ashaghi Askipara, Kheyrimli e Ghizilhajili – del nord-est sono state fisicamente consegnate all’esercito di Baku, nonostante la loro importanza strategica derivante dal fatto che in quel territorio passa un’autostrada che collega il paese con la Georgia. Prima di abbandonare le loro case, gli armeni che vivevano nel tratto di confine hanno bruciato le loro abitazioni, proprio come era avvenuto nel Nagorno Karabakh.
Pashinyan, che ora si appoggia principalmente alla Francia e agli Stati Uniti dopo aver allentato le relazioni con la Federazione Russa (che in Armenia possiede però delle importanti installazioni militari), spera che la consegna all’Azerbaigian dei territori contesi possa convincere Aliyev a rinunciare a ulteriori rivendicazioni e consentire la normalizzazione dei rapporti tra i due paesi.
Ma molti armeni temono che i continui cedimenti nei confronti di Baku non facciano altro che indebolire il paese trasformandolo in una facile preda per i propositi espansionisti azeri.
In particolare i residenti armeni degli insediamenti vicini alla porzione di territorio ceduta affermano che la mossa li taglia fuori dal resto del paese e accusano Pashinyan di cedere territorio senza ottenere nulla in cambio.
Le manifestazioni di domenica, che hanno visto scendere in piazza decine di migliaia di persone, sono state indette in particolare dal movimento “Tavush per la patria”, guidato da Bagrat Galstanyan, un arcivescovo della Chiesa armena che guida la diocesi di Tavush, la provincia orientale del paese dove erano state inserite le quattro località azere occupate negli anni ’90.
Nel corso della grande manifestazione di domenica scorsa, Galstanyan ha affermato che rinuncerà al suo incarico di arcivescovo per candidarsi alla carica di primo ministro ed ha chiesto elezioni parlamentari anticipate.
Intanto le relazioni con la Russia continuano a peggiorare: venerdì scorso la portavoce del Ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, ha annunciato di aver richiamato il proprio ambasciatore a Erevan “per consultazioni” senza aggiungere ulteriori particolari. Pagine Esteri