di ZEB LARSON e WILLIAM MINTERResponsible Statecraft

(traduzione di Federica Riccardi, foto screenshot da Youtube)

Pagine Esteri, 5 giugno 2024. Il 20 maggio, la Corte penale internazionale ha annunciato la richiesta di mandati di arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il suo ministro della Difesa e tre leader di Hamas per i crimini di guerra commessi a Gaza. Il Presidente Biden ha denunciato questa richiesta, affermando che “non c’è alcuna equivalenza tra Israele e Hamas”, e ha anche negato che Israele stia compiendo un genocidio.

Questo fa parte di uno schema a lungo applicato da Biden e dai suoi consiglieri.

Una politica adottata di recente – il National Security Memorandum 20 – richiede relazioni periodiche al Congresso sulle armi fornite dagli Stati Uniti ai Paesi impegnati in un conflitto armato attivo, per determinare se tali destinatari stiano commettendo violazioni alla legge internazionale sui diritti umani. Quest’anno Israele figura tra i sette Paesi che necessitano tali rapporti. Sebbene ci siano prove schiaccianti che l’esercito israeliano sia effettivamente colpevole di tali violazioni, il rapporto pubblicato questo mese dall’amministrazione Biden ha concluso che le prove non sono sufficienti a giustificare la riduzione delle vendite di armi ad Israele.

Al contrario, gli Stati Uniti hanno deciso di inviare ancore più armi, visto che il 14 maggio il Presidente ha notificato al Congresso un nuovo contributo di oltre 1 miliardo di dollari ad Israele. Un podcast di sinistra ha indicato Biden e i suoi tre consiglieri chiave come coloro che stanno bloccando qualsiasi riduzione delle armi o del sostegno militare a Israele: Il Segretario di Stato Antony Blinken, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e Brett McGurk, coordinatore del Presidente per il Medio Oriente.

Tutti loro sono fermi nel resistere alle pressioni per ridurre il sostegno a Israele, nonostante le critiche senza precedenti che si sono sollevate contro tale posizione. Annelle Sheline, ex funzionaria del Dipartimento di Stato che si è dimessa per protesta contro la gestione della situazione di Gaza da parte dell’amministrazione, ha osservato che “in generale, l’amministrazione sembra considerare le operazioni militari di Israele a Gaza come una questione di pubbliche relazioni, piuttosto che affrontare le importanti questioni politiche e morali sollevate dalle azioni israeliane”. Sheline ha lavorato in precedenza per il Quincy Institute, che pubblica Responsible Statecraft.

L’ondata di proteste studentesche contro il sostegno militare degli Stati Uniti a Israele è simile, per dimensioni, a quelle contro il governo sudafricano negli anni Ottanta. Gli accampamenti a Berkeley e altrove ricordano le baraccopoli costruite allora nei campus statunitensi, e sono sorti in pochissimo tempo.

Il dissenso interno è stato più visibile al Dipartimento di Stato, dove tre diplomatici statunitensi si sono dimessie hanno parlato pubblicamente. Nel Dipartimento degli Interni, Linda Greenberg Call è stata la prima figura politica di origine ebraica nominata da Biden a dimettersi, accusando il presidente di usare la questione ebraica per giustificare il suo sostegno alla guerra a Gaza. Quasi 200 avvocati che lavorano in posizioni governative statunitensi hanno preparato un parere legale in cui si conclude che “fornire a Israele aiuti militari non condizionati per continuare a bombardare la Striscia di Gaza non solo è totalmente in malafede, ma è anche gravemente inadeguato per adempiere agli obblighi degli Stati Uniti nel prevenire e punire il genocidio”.

Perché Biden si rifiuta di frenare il flusso di armi offensive verso Israele? Peter Baker del New York Times non risponde a questa domanda. Descrive invece le divergenze tra i principali consiglieri del Presidente, tra cui Blinken, Sullivan e McGurk, su come impegnarsi con Netanyahu e rispondere alla violenza in corso, sollecitando atti puramente simbolici come il ritardo nella spedizione di bombe più potenti.

Alla domanda su queste presunte divergenze, Sheline ha risposto: “Direi che, sebbene sia abbastanza plausibile che diverse figure di alto livello all’interno della Casa Bianca abbiano opinioni diverse, in pratica queste divisioni non hanno ancora avuto alcun impatto sulla strategia politica, che sembra provenire direttamente da Biden”.

L’amministrazione Biden è ancora fedele alla speranza di un grande accordo israeliano con gli Stati autoritari del Golfo. Questa strategia degli “Accordi di Abramo”, che ha avuto inizio durante l’amministrazione Trump con il Bahrein e gli Emirati Arabi Uniti nel 2020, mira a garantire la stabilità in Medio Oriente, erigendo Israele e i potenti Stati arabi come gendarmi regionali, escludendo così i palestinesi.

Questo, unitamente al radicato sostegno della lobby dei finanziatori di Israele, implica che Biden e compagnia continuino ad aggrapparsi agli Accordi di Abramo. Per farlo, tuttavia, è necessario negare la realtà della guerra a Gaza. Come quattro topi volontariamente ciechi, Biden, Blinken, Sullivan e McGurk continuano a rincorrersi inutilmente, con Netanyahu che fa la parte della moglie del contadino nella classica filastrocca. Pagine Esteri

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Zeb Larson

Zeb Larson è uno scrittore e storico del movimento anti-apartheid con sede a Columbus, Ohio. Ha conseguito il dottorato di ricerca presso la Ohio State University nel 2019. Scrive su una vasta gamma di argomenti, tra cui la politica estera e la storia.

William Minter

William Minter è il direttore di AfricaFocus Bulletin. Dal novembre 2020 è consulente senior del nuovo U.S.-Africa Bridge Building Project. Il libro più recente di Minter è No Easy Victories: African Liberation and American Activists over a Half Century, 1950-2000, edito da Gail Hovey e Charles Cobb Jr.