di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 23 settembre 2024 – Si è insediato oggi Anura Kumara Dissanayake (noto con l’acronimo AKD), leader della coalizione di centrosinistra Partito Nazionale del Popolo (Npp), che nei giorni scorsi ha vinto le elezioni presidenziali nello Sri Lanka.
Dissanayake ha ottenuto il 42,31% delle preferenze con 5,7 milioni di voti, contro il 32,76 ottenuto da Sajith Premadasa, leader della coalizione centrista Potere del Popolo Unito (Sjb). Il presidente uscente Ranil Wickremesinghe è arrivato solo terzo, fermandosi al 17,3%.
Wickremesinghe era stato designato ad interim dal parlamento nel 2022 dopo le dimissioni e la fuga di Gotabaya Rajapaksa, a sua volta eletto nel 2019 ma travolto da una crisi economica – e dalle proteste generate dai suoi provvedimenti, oltre che dalle accuse di nepotismo e corruzione – che squassa ancora l’isola.
Il vincitore della competizione elettorale l’ha spuntata sul suo principale avversario, leader dell’opposizione al precedente governo, grazie alla legge elettorale che consente agli elettori di esprimere sulla scheda una seconda e una terza preferenza. Dissanayake è risultato in testa non solo nelle prime preferenze, ma anche nelle seconde, divenendo così il primo presidente di sinistra nella storia del paese asiatico che ha registrato un tasso di affluenza alle urne del 79%.
Oggi il nuovo presidente ha informato che appena possibile scioglierà il Parlamento eletto nel 2022, dove la coalizione che lo sostiene ha solo 3 seggi, e indirà nuove elezioni parlamentari nella speranza di ottenere una maggioranza forte che gli permetta di governare senza problemi.
Dopo l’ufficializzazione del risultato elettorale delle presidenziali, Dissanayake ha assicurato la sua volontà di «riscrivere la storia del paese». Oggi, nel corso della cerimonia di insediamento, Dissanayake ha invece affermato: «Non sono un mago, ma guiderò lo sforzo collettivo che ci permetterà di uscire dalla crisi».
L’esito elettorale ha generato una vasta e trasversale aspettativa. Il 55enne Dissanayake è infatti il leader, dal 2014, del Fronte di Liberazione del Popolo (Jvp), una formazione marxista-leninista che per decenni ha combattuto frontalmente i diversi regimi che si sono susseguiti nel paese, protagonista nei decenni scorsi di due tentativi di insurrezione. Alcuni anni fa, però, il partito ha preso le distanze dall’utilizzo non solo della lotta armata, ma anche dal suo programma rivoluzionario, abbracciando l’economia di mercato. La svolta ha causato la scissione delle correnti più radicali dopo la quale il partito ha assunto un profilo nettamente riformista, socialdemocratico e nazionalista.
La trasformazione, e il trasversale scontento popolare causato dalla crisi e dall’incapacità dei precedenti governi di uscirne, ha creato le condizioni per un terremoto elettorale. Nel corso della campagna elettorale Dissanayake ha puntato soprattutto sui giovani, promettendo una trasformazione sociale, politica ed economica dello Sri Lanka. Il candidato presidente della sinistra ha assicurato interventi urgenti per potenziare l’istruzione, lo stato sociale, la modernizzazione digitale del paese e di condurre una seria lotta contro la corruzione. Inoltre Dissanayake ha espresso la volontà di abolire il sistema presidenzialista per tornare ad una democrazia parlamentare. Sul piano economico il vincitore ha promesso di sviluppare l’agricoltura ma anche il settore manifatturiero e tecnologico.
È difficile dire, al momento, se la coalizione vincitrice delle elezioni avrà la possibilità di intervenire efficacemente, visto l’enorme debito contratto dai precedenti governi dello Sri Lanka con il Fondo Monetario Internazionale e vari paesi – tra questi Cina e India – ai quali Colombo si è rivolta negli anni scorsi per scongiurare il default.
Dissanayake ha affermato di riconoscere l’accordo con il Fmi, ma ha espresso la volontà di rinegoziare il finanziamento, introducendo dei cambiamenti mirati a ridurne l’impatto sulla popolazione.
L’accordo, della durata di 48 mesi, è stato concluso nel marzo del 2023 e finora il Fondo ha erogato circa un terzo dei tre miliardi di dollari previsti. L’accordo con l’Fmi è stato seguito dalla ristrutturazione parziale del debito da parte dell’Ad-Hoc Group (un consorzio di obbligazionisti pubblici e privati), dell’Export-Import Bank of China e di altri soggetti, per un totale di 17 miliardi.
Occorrerà ora capire se Dissanayake riuscirà a imporre ai creditori un mitigamento delle condizioni imposte in cambio dei prestiti, o se le richieste del nuovo presidente indurranno Cina, Giappone e India – ai quali lo Sri Lanka deve rimborsare rispettivamente 4,3 miliardi, 2,7 miliardi e 1,6 miliardi, su un debito estero complessivo di 43,3 miliardi di dollari – a irrigidirsi.
Il paese non si è ancora del tutto risollevato dal crollo del turismo (una delle voci principali della sua economia) e dalla conseguenze scarsità di valuta estera, utilizzata per l’acquisto dei beni importati, causato dalla pandemia di Covid-19 e poi dalle mobilitazioni contro le diverse misure di austerity adottate dai diversi governi.
Inoltre il Fmi e i paesi creditori chiedono a Colombo una netta riduzione della spesa pubblica, considerata alla base dell’eccessivo indebitamente dello Sri Lanka. Il presidente uscente Wickremesinghe ha seguito in maniera abbastanza fedele la strategia dettata dai creditori, riportando in positivo la crescita del Pil, portando l’inflazione dal 70 a meno dell’1%, e aumentando le entrate nelle casse dello stato, ma a costo di una serie di provvedimenti che hanno pesato soprattutto sugli strati medio-bassi della popolazione, che hanno dovuto sopportare il razionamento dell’elettricità e del carburante, l’aumento delle imposte dirette e il taglio di alcuni servizi pubblici.
La situazione economica – un quarto dei 22 milioni di abitanti vive sotto la soglia di povertà – ha spinto negli ultimi anni un numero crescente di abitanti, soprattutto giovani, a lasciare il paese alla ricerca di migliori condizioni di lavoro e di vita. – Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria