AGGIORNAMENTI

La Guardia rivoluzionaria iraniana minaccia di colpire Israele “dolorosamente” se attaccherà obiettivi iraniani. “Se commetterete l’errore  di attaccare nostri obiettivi, che siano nella regione o in Iran, vi colpiremo di nuovo in modo doloroso”, ha avvertito Hossein Salami, capo dei Guardiani della Rivoluzione.

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di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 17 ottobre 2024 – Azzardare previsioni sarebbe imprudente, l’attacco israeliano all’Iran potrebbe scattare nelle prossime ore. Eppure, non è passato inosservato che sono passate quasi tre settimane da quando l’Iran ha lanciato 181 missili balistici contro Tel Aviv e altre città – per vendicare l’assassinio di due importanti alleati nella regione: il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, e il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah – e Israele non ha ancora fatto decollare i suoi cacciabombardieri verso Teheran come aveva minacciato di fare nelle ore successive all’attacco iraniano.

Il premier Netanyahu e vari esponenti del suo governo ripetono che l’obiettivo è dare un «Nuovo ordine» al Medio oriente, con Israele evidentemente egemone, e che l’Iran sarà severamente punito. Non hanno escluso persino la distruzione dei siti nucleari iraniani. Ma ora Netanyahu prende tempo mentre a Gaza Hamas non pare affatto «sconfitto» dopo un anno di attacchi israeliani e Hezbollah cerca di trasformare in una guerra di logoramento lo scontro contro l’esercito israeliano nel Libano del sud e, nel frattempo, non cessa di sparare razzi verso l’Alta Galilea, Acri e Haifa.

Durante le riunioni del gabinetto di sicurezza israeliano sul piano di attacco all’Iran, ci sarebbero stati accesi «scambi di opinione» sugli obiettivi dell’offensiva contro Teheran. Ma a rallentare Netanyahu più di ogni altra cosa è stata la mancanza di chiarezza che il premier israeliano ha avuto durante l’ultima conversazione telefonica con l’alleato Joe Biden al quale non ha garantito al 100% che Israele non colpirà le centrali atomiche iraniane. Poco trasparenza che ha scatenato il panico tra i petromonarchi del Golfo. Alcuni di loro hanno firmato trattati di pace con Israele nel 2020 (Emirati e Bahrain) altri, i sauditi, fino a un anno fa venivano dati a un passo dalla normalizzazione con Tel Aviv. Ora fanno i conti con una probabile ritorsione di Teheran sui loro impianti di estrazione del greggio se Netanyahu mettesse in atto le sue minacce contro l’Iran. E a Biden chiedono non tanto e non solo protezione dalla rappresaglia iraniana nella regione, quanto di intervenire per contenere Netanyahu e il suo governo di estrema destra.

La stampa araba scrive che, incontrando nei giorni scorsi in Arabia saudita il principe ereditario Mohammed bin Salman, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha accusato Israele di trascinare la regione in una catastrofe e, più di tutto, ha messo in chiaro che Teheran non avrà riguardi per i paesi che favoriranno l’attacco all’Iran, anche solo autorizzando il sorvolo del loro territorio da parte dei cacciabombardieri israeliani. Non è irrilevante che a pronunciare questa minaccia sia stato Araghchi, un pragmatico scelto dal nuovo capo dello Stato Masoud Pezeshkian perché è stato tra gli architetti dell’accordo nucleare del 2015, quindi in apparenza più incline a negoziare con l’Occidente una nuova intesa. Ora, di fronte a un Medio oriente in fiamme, cambia tutto e Teheran segnala che potrebbe rivedere la sua dottrina e dotarsi di bombe atomiche, specie se Netanyahu realizzerà il suo sogno di distruggere i siti nucleari iraniani. E non solo quello.

Gli Usa, sotto pressione araba, avrebbero perciò spiegato e ribadito all’alleato israeliano che il 30% del greggio mondiale e il 20% dei prodotti petroliferi passano attraverso il Golfo e che tra le prime cose che l’Iran farà dopo aver subito un attacco ai suoi pozzi e raffinerie di petrolio, sarà bloccare lo stretto di Hormuz. Pesano anche i riflessi dell’attacco israeliano sul mercato mondiale, dove inevitabilmente il prezzo del petrolio salirà alle stelle. Senza dimenticare che, con gli attacchi nel Mar Rosso dei guerriglieri Houthi yemeniti, il traffico marittimo ha già subito perdite considerevoli e che l’aumento dei costi di trasporto spingerà in alto i prezzi a livello mondiale.

Una guerra regionale totale sarebbe perciò una catastrofe sotto tutti i punti di vista, anche economici.

Le ultime indiscrezioni perciò dicono che, soggetto a tante pressioni e ricevute garanzie di ulteriori aiuti alla difesa aerea da parte degli Usa, Netanyahu avrebbe accettato di ridimensionare la portata dell’attacco all’Iran. Ma sono solo voci, la realtà potrebbe rivelarsi ben diversa. Israele ha chiarito a inizio settimana che pur ascoltando le opinioni degli alleati, alla fine “deciderà sulla base dei suoi interessi”. E ha affermato che i raid scatteranno prima del 5 novembre, quindi prima delle presidenziali Usa. Pagine Esteri