di Michele Giorgio*
(nella foto della Saudi Press Agency, il presidente americano uscente Joe Biden con l’erede al trono saudita Mohammed bin Salman)
Pagine Esteri, 6 novembre 2024 – Stati uniti e Arabia saudita stanno definendo i dettagli dell’accordo di sicurezza che discutono da oltre un anno, escludendo però una intesa più ampia volta a normalizzare i rapporti di Riyadh con Israele. Lo rivela il sempre ben informato portale Axios, aggiungendo che i sauditi vogliono arrivare all’accordo con gli Usa prima della scadenza del mandato di Joe Biden. Se questa indiscrezione troverà una conferma ufficiale, gli Accordi di Abramo del 2020 tra Israele e quattro paesi arabi (Emirati, Bahrain, Marocco e Sudan) andranno in soffitta. E non è detto che il suo teorico, Donald Trump, sarà in grado di riportarli in vita, ora che gli americani lo hanno eletto di nuovo presidente.
Gli Usa avevano condizionato l’accordo bilaterale con l’Arabia saudita a un trattato di pace con Israele. In questo modo Benyamin Netanyahu si aspettava di cantare vittoria in tempi relativamente brevi. Con l’Arabia saudita negli Accordi di Abramo, il premier israeliano avrebbe potuto affermare che l’aspirazione alla libertà e all’indipendenza dei palestinesi sotto occupazione non condiziona più la politica del mondo arabo verso Tel Aviv. «Non è andata come Netanyahu desiderava» dice al manifesto Ghassan al Khatib, docente all’università di Birzeit e analista politico «l’ultimo anno ha confermato che la questione palestinese non può essere cancellata con un colpo di spugna. Era e resta centrale per tutto il Medio oriente e i leader arabi, dentro e fuori gli Accordi di Abramo non possono ignorare le rivendicazioni dei palestinesi. Anche perché le masse arabe chiedono giustizia e diritti per i palestinesi e sono schierate contro la normalizzazione con Israele».
Per Al Khatib gli Accordi di Abramo sono morti da tempo. «E se Trump farà di tutto per resuscitarli non penso che avrà successo», prevede l’analista. «Senza l’Arabia saudita», aggiunge «gli Accordi di Abramo non significano molto. Solo la partecipazione saudita può dare a Netanyahu la forza per dichiarare di avere il mondo arabo o buona parte di esso dalla sua parte e che la questione palestinese non condiziona più nessuno».
Che tra gli obiettivi di Hamas, quando il 7 ottobre 2023 ha lanciato il suo attacco nel sud di Israele, ci fossero anche gli Accordi di Abramo, non è accertato sino in fondo. Comunque stiano le cose, gli effetti dell’assalto di Hamas e dell’offensiva militare di Israele che ha devastato Gaza e ucciso almeno 43mila palestinesi, è stata la paralisi delle trattative tra Riyadh e Tel Aviv. Tace il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman (MbS), di fatto già alla guida del regno, che pure aveva segnalato in passato la sua disponibilità a normalizzare le relazioni con Israele. Secondo alcune fonti, lo scorso agosto MbS avrebbe detto a una delegazione di parlamentari statunitensi che, mentre Israele compie stragi di civili e uccide i leader di Hezbollah e Hamas, la normalizzazione con Tel Aviv metterebbe a rischio la sua vita, riferendosi all’assassinio del presidente egiziano Anwar Sadat nel 1981. Lo spregiudicato erede al trono saudita sa che, se abbandonasse la posizione di lunga data in favore dell’Iniziativa di pace araba – avviata proprio dai sauditi nel 2002 – e aderisse agli Accordi di Abramo, il suo paese subirebbe un pesante contraccolpo. Diversi rappresentanti della monarchia Saud, perciò, ripetono da mesi che senza la realizzazione dello Stato palestinese e una giusta soluzione per il popolo sotto occupazione, non potrà esserci la pace con Israele. Con questa posizione saudita, è difficile immaginare che altri leader arabi aderiscano agli Accordi di Abramo nel prossimo futuro. E il desiderio di Netanyahu di andare in Kuwait, Mauritania, Oman, Tunisia – paesi di cui si fecero i nomi a suo tempo – è svanito.
Lo scopo della normalizzazione nella regione, spiegava nel 2020 un commentatore israeliano, è cambiare la percezione di Israele da «un paese tabù a un paese apertamente riconosciuto». Israele, aggiunse, «da amante segreto diventerà un partner ufficiale, alla luce del sole». Ma dopo le distruzioni e i massacri a Gaza e in Libano e una esibizione di forza senza precedenti, lo Stato di Israele non solo resta un amante per principi e re arabi, ma è anche un amante molto scomodo mentre l’opinione pubblica araba è traumatizzata dalle scene di morte e distruzione nella regione. Anche se i conflitti in corso si fermassero domani, gli analisti arabi non credono che alcuno Stato della regione si unirà al campo della normalizzazione in tempi brevi. Almeno per un decennio, prevede qualcuno. Pagine Esteri
* Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto