Aggiornamenti 22 marzo

La protesta contro l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu e l’ennesimo giro di vite autoritario non si ferma.
Erdogan, intervenendo per la prima volta personalmente dopo la retata di mercoledì, ha accusato il Partito Repubblicano del Popolo (Chp) e le altre forze di opposizione di incitare al “terrorismo di strada”. «La strada che il presidente del Chp ha indicato, non dimenticatelo, è un vicolo cieco» ha minacciato il Presidente della Repubblica Turca che aspira ad un terzo mandato.

Ieri, durante quella che l’opposizione ha ribattezzato la “notte per la democrazia”, centinaia di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in tutta la Turchia nonostante il divieto di assembramento imposto dalle autorità nelle principali città.

Solo ad Istanbul si sono mobilitate in totale, a detta degli organizzatori, circa 300 mila persone. Nella metropoli sul Bosforo alcune manifestazioni – ad esempio quella che tentava di dirigersi verso la centrale piazza Taksim, da giorni completamente transennata e occupata da centinaia di agenti – sono state attaccate dalla polizia in assetto antisommossa che, come era avvenuto giovedì, hanno utilizzato non solo i manganelli e gli idranti, ma anche gli spray urticanti.

Alle proteste si sono uniti anche gli avvocati, dopo che ieri il governo ha sciolto il consiglio esecutivo dell’Ordine professionale dei legali di Istanbul, accusato di aver fatto propaganda per “un’organizzazione terrorista” e di aver diffuso informazioni false. A gennaio l’ordine aveva chiesto un’indagine ufficiale sulla morte di due giornalisti curdi uccisi da un attacco mirato turco nella Siria settentrionale, ma per tutta risposta la magistratura ha aperto un’inchiesta contro i rappresentanti degli avvocati. Anche a Smirne si sono registrati scontri tra manifestanti e polizia.

Solo nel corso delle proteste di massa di ieri sono state arrestate 343 persone, dopo le circa 60 del giorno precedente. Il ministro dell’Interno turco, Ali Yerlikaya, ha riferito su X che gli arresti sono stati effettuati a Istanbul, Ankara, Smirne, Adana, Antalya, Canakkale, Eskisehir, Konya ed Edirne.

*** *** *** *** ***

Pagine Esteri – Ieri decine, forse centinaia di migliaia di persone hanno manifestato di nuovo in diverse città della Turchia nonostante il divieto di assembramento decretato dal governo e una repressione che si fa sempre più capillare e sistematica. Le proteste sono state organizzate dopo che mercoledì la polizia ha arrestato, nel corso di una retata, 106 persone, tra cui il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu.

Il principale rivale politico del presidente Recep Tayyip Erdogan è accusato di essere a capo di una “associazione a delinquere” e dei reati di corruzione, riciclaggio di denaro, frode, turbativa d’asta e favoreggiamento del terrorismo, in riferimento ai presunti legami con il PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, e con il Kck, l’Unione delle Comunità del Kurdistan.

Ma l’opposizione, in particolare il Partito Popolare Repubblicano (Chp) di cui Imamoglu è uno dei massimi dirigenti, ha rigettato le accuse definendole il frutto di una montatura politico-giudiziaria ed ha affermato di considerare l’arresto un vero e proprio “tentativo di colpo di stato”.

Secondo molti sondaggi, infatti, Imamoglu – che governa la maggiore città turca da sei anni – avrebbe consistenti possibilità di sconfiggere il “sultano” alle prossime elezioni presidenziali.
Il voto è teoricamente fissato per il 2028, ma Erdogan potrebbe cercare di aggirare la costituzione, che impone il limite dei due mandati, convocando elezioni anticipate. Una riforma della Costituzione che permettesse al leader del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) di effettuare un terzo mandato, infatti, avrebbe bisogno dell’assenso dei due terzi dei membri dell’Assemblea Nazionale, sui quali l’attuale maggioranza non può contare.

La retata di mercoledì rappresenta il culmine dell’ennesima ondata di repressione contro l’opposizione che dura dall’autunno scorso, costellata di denunce e arresti contro diversi esponenti del Chp (centrosinistra) e della coalizione di sinistra Dem che raccoglie le correnti che si battono per l’autodeterminazione del popolo curdo.

Imamoglu è oggetto di una vera e propria persecuzione giudiziaria e politica da quando nel 2019 sconfisse il candidato islamo-nazionalista di Erdogan alle elezioni comunali di Istanbul, alla guida di una coalizione trasversale di forze di centro-sinistra e centro-destra. Il regime tentò di riprendersi la città annullando il voto con il pretesto di alcune irregolarità, ma Imamoglu vinse anche il secondo scrutinio e si è confermato sindaco nella tornata del 2024.

Il teorema giudiziario è basato sull’accusa, nei confronti di Imamoglu e del suo entourage, di aver ottenuto la vittoria alle ultime elezioni municipali grazie ad un accordo con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan – fuorilegge – in base al quale il leader repubblicano avrebbe ricevuto i voti dei movimenti curdi in cambio dell’inserimento di alcuni funzionari collegati al PKK nell’amministrazione cittadina e in quelle distrettuali. La maggioranza dei 106 arrestati sono infatti funzionari dell’amministrazione locale, compresi i sindaci dei municipi stambulioti di Sisli e Beylikdüzü; gli altri sono per lo più imprenditori e giornalisti.

Le autorità giudiziarie – strettamente subordinate al potere politico – hanno anche sequestrato un’impresa edile di proprietà del primo cittadino, la “Imamoglu Construction, Trade and Industry” e ne hanno consegnato la gestione ad un tribunale.

Ovviamente il governo nega ogni accusa e minaccia rappresaglie nei confronti di chiunque metta in relazione gli arresti di mercoledì con una qualche manovra di Erdogan. La prefettura ha imposto il divieto di assembramento e di manifestazione per quattro giorni ad Istanbul ed ha limitato l’accesso ad alcuni social media in tutto il paese.

Come se non bastasse, il ministro degli Interni Ali Yerlikaya ha dichiarato che finora 37 persone sono state arrestate per aver postato sui social delle frasi «provocatorie che incitano al crimine e all’odio», cioè delle proteste contro la decapitazione dell’opposizione.

Per «preservare l’ordine pubblico e prevenire eventuali azioni provocatorie», cioè per impedire mobilitazioni massicce, ieri la polizia ha bloccato numerose strade di Istanbul, ha chiuso alcune stazioni della metropolitana in centro ed ha posizionato un certo numero di barriere e di camion con gli idranti nei pressi della stazione di polizia dove è detenuto Imamoglu ed in altre zone della metropoli.


Una grande folla è comunque scesa in piazza, come era già avvenuto mercoledì, in vari punti della città, tra cui la sede del comune, e nei campus universitari di Istanbul. Un numero importante di dipendenti del Comune ha deciso di scioperare, rispondendo all’appello dei maggiori sindacati, in solidarietà con il primo cittadino e gli altri dirigenti e funzionari arrestati. Proteste si sono svolte durante la giornata di ieri anche ad Ankara, Smirne, Mugla ed altre città, in alcuni casi attaccate dalla polizia in assetto antisommossa. «Non ci fermeremo finché Imamoglu non sarà libero», ha avvertito il leader dei repubblicani, Ozgur Ozel, esortando i cittadini a continuare a scendere in piazza per protestare.

Le proteste sono poi proseguite anche durante la sera e la notte con grandi manifestazioni a Istanbul, Ankara e Smirne, ma anche ad Adana, Mersin, Konya, Eskisehir, Antalya, Van e Sakarya. Ad Istanbul una gran folla si è radunata davanti alla sede del Comune dove è stata attaccata dalla polizia con gas lacrimogeni, spray urticanti e pallottole di gomma. Scontri tra manifestanti e agenti si sono verificati anche a Smirne e Ankara, dove gli studenti delle principali università hanno protestato fino a tarda notte. Secondo le autorità nel corso delle proteste sarebbero stati arrestati 53 manifestanti in tutto il paese.

L’arresto del primo cittadino di Istanbul ha innescato il crollo della Lira turca, che ha perso più del 10% del suo valore, e dell’indice di borsa in un paese da parecchi anni alle prese con una crisi economica e finanziaria che solo il sostegno di alcune petromonarchie ha evitato che facesse sprofondare il paese.

Il timore è che l’arresto di Imamoglu segni un ulteriore step nell’avvitamento autoritario in cui il paese è immerso da quando Erdogan governa il paese con il pugno duro. Pur godendo di un’ampia popolarità, il “sultano” ha evidentemente deciso di togliere di mezzo colui che poteva rappresentare un serio pericolo per la continuità del suo regime. L’arresto del sindaco di Istanbul è stato ordinato a pochi giorni dalla conferenza del Chp, fissata per il 23 marzo, durante la quale Imamoglu avrebbe dovuto essere ufficialmente designato come sfidante di Erdogan alle prossime elezioni. Martedì, inoltre, l’Università di Istanbul ha annullato per presunte irregolarità il diploma di laurea in Economia dell’esponente politico, requisito indispensabile per la candidatura alla presidenza della Repubblica.

Negli anni scorsi, a più riprese – prima contro il movimento “Occupy Gezi” e poi dopo il tentato golpe militare del 2016, oltre che con la permanente repressione dell’insorgenza curda e dei movimenti di sinistra – il governo ha attuato numerosi giri di vite, riducendo sempre di più l’agibilità democratica, accentrando i poteri nelle mani del governo e della presidenza ed erodendo progressivamente lo stato di diritto.

Oppositori ed analisti temono che Erdogan abbia ora deciso di passare da un regime autoritario in qualche modo ancora democratico ad una vera e propria autocrazia, eliminando ulteriori spazi di agibilità per la dissidenza.

Anche il Dem, in un comunicato, parla di un «colpo di stato civile realizzato da governo e magistratura» e teme che la situazione faccia fallire il negoziato tra il PKK e il regime, partito dopo la richiesta di scioglimento rivolta alla guerriglia dallo storico leader dell’insorgenza curda, Abdullah Ocalan, in carcere ormai da 25 anni. Nei mesi scorsi il governo ha già fatto arrestare o rimuovere una decina di sindaci eletti dai movimenti curdi in numerose città, sostituendoli con dei commissari di provata fede erdoganiana. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria