Pagine Esteri – Circa mille abitanti di Gaza hanno lasciato la Striscia dall’inizio di marzo. Altri 600 stanno partendo, secondo la tv pubblica israeliana Kan. Numeri esigui, che riguardano perlopiù malati e feriti, ma che fanno esultare i ministri della Difesa e delle Finanze, Israel Katz e Bezalel Smotrich, tra i principali fautori di un piano di deportazione silenziosa, definita eufemisticamente «volontaria». Convinti che il flusso in uscita aumenterà, hanno annunciato l’apertura di un dipartimento ad hoc nel ministero della Difesa, dando seguito alla proposta di Donald Trump di espellere i palestinesi e trasformare Gaza nella «Riviera»  del Medio oriente.

Secondo Kan, il giorno prima della partenza gli abitanti di Gaza vengono condotti al transito di Kerem Shalom. Dopo l’ispezione, proseguono verso Rafah, il ponte di Allenby o l’aeroporto di Ramon. A tutti verrebbe detto che «non è certo» che potranno tornare a Gaza. Katz afferma che l’Ufficio per la «emigrazione volontaria» e opererà nel «rispetto del diritto internazionale». Smotrich invece scalpita e spinge per favorire la partenza forzata di 10.000 palestinesi al giorno, un obiettivo irrealistico: la maggior parte degli abitanti di Gaza non intende lasciare la propria terra e nessun paese si è detto disponibile ad accogliere i profughi.

L’idea, avanzata da alcuni funzionari israeliani, di un’accoglienza in Africa al momento è congelata. L’Egitto, in particolare, continua a smentire qualsiasi apertura. «La nostra posizione è ferma e di principio contro ogni trasferimento forzato o volontario dei palestinesi dalla Striscia di Gaza», ha ribadito il governo egiziano, sottolineando che una deportazione dei palestinesi rappresenterebbe anche «un grave pericolo per la sicurezza nazionale egiziana». A inizio marzo, il Cairo ha presentato un piano per la tregua permanente e per la ricostruzione di Gaza che richiederà investimenti miliardari e garantirà la permanenza dei palestinesi nella loro terra.

Dietro le quinte però si muovono strategie poco trasparenti. Non è passato inosservato che ieri la «ministra degli Esteri» dell’Ue, Kaja Kallas, in visita in Israele se da un lato ha condannato la decisione israeliana di riprendere l’attacco a Gaza, dall’altro non ha fatto riferimenti espliciti ai piani di espulsione dei palestinesi. Intanto l’amministrazione Trump starebbe cercando di usare la leva economica per costringere Egitto e Giordania ad accettare la proposta per svuotare Gaza della sua popolazione. Secondo Al Araby al Jadid, al Cairo si sarebbe tenuto un incontro segreto tra il presidente egiziano Abdel Fattah El Sisi e Mohammed bin Zayed, leader degli Emirati e stretto alleato di Washington e Tel Aviv. Bin Zayed avrebbe informato El Sisi della disponibilità degli Stati uniti a fornire ingenti aiuti finanziari per la debole economia egiziana in cambio dell’accoglienza di parte dei due milioni di palestinesi della Striscia, destinata a ridursi alla sola area centromeridionale. Il nord di Gaza, infatti, verrebbe occupato da Israele e probabilmente sottoposto a un’amministrazione militare.

La Giordania, che, come l’Egitto, ha ribadito la propria opposizione a qualsiasi «trasferimento» forzato, sarebbe coinvolta in una fase successiva, quando il piano potrebbe estendersi alla Cisgiordania occupata, con la progressiva sostituzione dei palestinesi con coloni israeliani che, per decisione del governo Netanyahu, potranno espandere 13 sobborghi di colonie proclamati insediamenti ebraici indipendenti.

In questo contesto, appare improbabile che Israele torni al cessate il fuoco. L’intensificazione delle operazioni militari e il mantenimento di condizioni di vita insostenibili per i civili palestinesi servono a incentivare “l’emigrazione volontaria”. Secondo l’agenzia Reuters, la scorsa settimana l’Egitto ha presentato una nuova proposta per ristabilire l’accordo di tregua, basata sul rilascio graduale di ostaggi israeliani da parte di Hamas in cambio dell’impegno di Israele a rispettare la seconda fase della tregua. Il piano prevede che Hamas rilasci cinque prigionieri israeliani ogni settimana, mentre Israele dovrebbe attuare la seconda fase del cessate il fuoco dopo la prima settimana. Stati Uniti e Hamas avrebbero accettato l’accordo, ma Israele non ha ancora dato una risposta. Il piano egiziano include anche un calendario per il ritiro delle forze israeliane da Gaza, con garanzie statunitensi, in cambio della liberazione degli ostaggi.

Israele ha tuttavia smentito di aver ricevuto nuove proposte dall’Egitto e continua a cercare di far accettare ad Hamas il piano dell’inviato americano Witkoff. Nel frattempo, Israele minaccia di ampliare l’invasione terrestre, intensificare i bombardamenti e mantenere il blocco sugli aiuti umanitari se Hamas non rilascerà i prigionieri. – Pagine Esteri