I riverberi della violenza dell’attacco terroristico del 22 aprile, perpetrato dal gruppo Lashkar-e-Tayyaba (LeT), in cui sono stati uccisi 25 cittadini indiani e un cittadino nepalese, nella località turistica di Pahalgam, in Kashmir, si stanno diffondendo da oramai quasi due settimane nei confronti della comunità Kashmira e musulmana in molti stati dell’India.
Raggiunto al telefono, Imaad (nome di fantasia), un giovane giornalista del kashmir che ha chiesto di rimanere anonimo, esprime la sua preoccupazione per la situazione: “L’attentato è stato condannato da tutta la nostra comunità, che ha espresso la propria solidarietà per le famiglie delle vittime. Anche un nostro concittadino è stato ucciso mentre cercava di salvare la vita di una turista. Ma ci sono politici che stanno strumentalizzando la religione. Le comunità musulmana e del Kashmir stanno subendo violenze e repressioni ovunque”.
Imaad fa riferimento a un’escalation di campagne anti-islamiche portate avanti soprattutto dal Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), l’organizzazione paramilitare di stampo nazionalista Indù, di cui il partito del Primo Ministro Narendra Modi, il Bharatiya Janata Party (BJP) è l’espressione politica.
Imaad riporta che molti studenti Kashmiri che risiedono in altri stati dell’India sono tornati a casa: “veniamo etichettati come terroristi e traditori. Gli studenti, soprattutto, hanno paura delle minacce degli scagnozzi del RSS e stanno tornando in Kashmir. Ai miei cugini, che sono tornati a casa in questi giorni, veniva negato persino l’acquisto di una bottiglia d’acqua nei negozi. Il terrorismo non ha nulla a che fare con la religione e ci sono politici che istigano la violenza con discorsi di odio per assicurarsi la poltrona a qualunque costo.”
Nella città di Agra il 23 aprile tre uomini hanno sparato e ucciso un uomo musulmano. In un video che è circolato in rete per giorni, uno di loro si è ha rivendicato l’omicidio, dichiarando che si trattasse di una ritorsione per l’attentato di Pahalgam.
Nella città di Vrindavan, in Uttar Pradesh, gruppi Hindutva hanno emesso un appello al boicottaggio dei lavoratori, artigiani musulmani presso il tempio indù Banke Bihari, dove molti di loro contribuiscono alla produzione di ghirlande, abiti e corone per le divinità. Il quotidiano Times of India riporta che l’appello chiedeva ai negozianti di scrivere i propri nomi sugli esercizi commerciali, per identificare i musulmani. Ma i sacerdoti del tempio hanno respinto l’appello: “I musulmani hanno un contributo profondo qui. Hanno svolto un ruolo fondamentale nella tessitura degli abiti del Banke Bihari per decenni. Molti di loro credono fermamente nel Banke Bihari e visitano anche il tempio.”
Intanto, in Kashmir, una delle regioni tra le più militarizzate del pianeta, le misure introdotte dal governo centrale stanno rendendo ancora più difficile le condizioni di vita dei locali. Imaad riporta che “sono state schierate nuove truppe e c’è stato un forte incremento dei controlli ai checkpoint”.
Nei giorni seguenti all’attacco, riporta la testata the New Indian Express, le forze di sicurezza avrebbero fermato e interrogato almeno 2,800 persone, di cui oltre 150 ancora in custodia, sebbene i numeri non siano chiari. Ma insieme alle detenzioni sono effettuate anche le demolizioni, tramite esplosivo, delle abitazioni di nove famiglie da cui provengono persone sospettate di avere legami con LeT, provocando il danneggiamento di molte altre case nelle prossimità. Diversi leader politici del Kashmir hanno definito le demolizioni “controproducenti”, mentre la popolazione locale ha protestato in varie zone del Kashmir, contro quella che denunciano essere una punizione collettiva nei confronti di famiglie che non hanno più legami con i sospettati, che spesso si sono allontanati da casa da molto tempo.
In questa delicata situazione i leader politici del Kashmir stanno mettendo da parte le proprie agende in nome dell’unità nazionale e della lotta al terrorismo: il Chief Minister del Kashmir, a capo del governo locale, Abdullah Omar, ha dichiarato che questo è il momento “della condanna e della solidarietà”, mettendo da parte, temporaneamente, le istanze per l’autonomia del Jammu e Kashmir, sospesa nel 2019 con l’abrogazione dell’articolo 370 della costituzione, proprio da parte del governo Modi.
Ma osservando il tenore del dibattito politico, si ha l’impressione che Modi e il BJP stiano approfittando del momento per spegnere ogni voce critica alle scelte del governo, alzando la tensione interna al paese. Così, il richiamo alla “punizione” e alla guerra nei confronti del Pakistan, che ha negato il coinvolgimento nell’attacco e ha chiesto una indagine internazionale indipendente, infiamma tra le file dei partiti di governo e sulla stampa, mentre non si sprecano gli attacchi nei confronti di chi, invece, chiede più diplomazia: il 27 aprile il Chief Minister del Karnataka, Siddaramaiah, ha dichiarato su X che “la guerra dovrebbe essere l’ultima risorsa di una nazione, non la prima e l’unica opzione”. Vari esponenti del partito di governo hanno accusato Siddaramaiah di “parlare il linguaggio del Pakistan”. La tensione nell’aria è palpabile e il suo partito, il Congress guidato da Rahul Gandhi, non ha esitato a prendere le distanze, sostenendo che Siddaramaiah si fosse espresso a titolo personale. Nonostante ciò, gli attacchi nei confronti del Congress si sono protratti per giorni.
Anche nei confronti dei cittadini pakistani presenti in India il linguaggio richiama quello della caccia alle streghe: l’India ha sospeso loro i visti, intimando di lasciare il paese. In centinaia hanno già passato oltre confine per tornare a casa; tuttavia, giovedì scorso molti cittadini pakistani si sono ritrovati bloccati alla frontiera, che è stata chiusa ai propri cittadini dal Pakistan stesso.
In uno sfogo finale durante la telefonata Imaad ha concluso dichiarando: “questi sono giochi politici in cui si scherza con le vite umane e gli innocenti sono ridotti a pedine”.