Lo scenario di libertà cambia e impone nuove regole alla cultura pop internazionale. Quest’anno l’Eurovision ha vietato qualsiasi tema politico o di attualità. Tutti gli artisti in gara hanno dovuto firmare un documento ufficiale in cui si sono impegnati a rispettare una serie di comportamenti, tra cui la neutralità politica. “Occorre tutelare gli artisti. Gli strumenti adottati non sono punitivi, ma di responsabilizzazione”, ha spiegato il Direttore Relazioni Internazionali della Rai Simona Martorelli.
L’evento musicale aveva già subito non poche critiche per la partecipazione di Israele al contest, critiche che con questa notizia sono aumentate. La decisione è figlia della scorsa edizione, in cui alcune esibizioni avevano toccato temi delicati come la guerra, che suscitò sgomento in alcune fasce della società. In concomitanza Il presidente americano Donald Trump ha annunciato l’intenzione di imporre dazi del 100% sui film distribuiti negli Stati Uniti, ma prodotti all’estero. “L’industria cinematografica americana sta morendo molto velocemente”, ha sostenuto Trump, dichiarando anche che secondo lui si tratta di “uno sforzo concertato da parte di altre nazioni e, quindi, di una minaccia per la sicurezza nazionale”.
Molti credono che il presidente Donald Trump non abbia l’autorità di imporre dazi, poiché non sono elencati come rimedio di legge. Intanto la California è il primo Stato ad aver fatto causa alla Casa Bianca proprio contro i dazi, e l’idea di imporli su Hollywood potrebbe dare il via a una nuova azione legale. L’obiettivo di Washington non sembra essere il cinema estero in sé, ma piuttosto l’esternalizzazione della produzione da parte degli studios di Hollywood che da decenni utilizzano case di produzione e location di altri Paesi. Si tratta da un lato di una non volontà di riconoscere i propri problemi interni e le proprie responsabilità. Basti ricordare che due anni fa il mondo di Hollywood andò in tilt per un vasto e lungo sciopero iniziato dagli sceneggiatori e poi esteso anche agli attori solidali, che paralizzò la produzione di moltissime serie tv e film e si estese anche ad altre parti del mondo, tra cui l’Italia. Le richieste erano: maggiori tutele all’immagine, maggiori tutele economiche e maggiori garanzie, sicuramente non legate “all’estero”.
Anche oggi parte l’allarme da parte del mondo del cinema, anche statunitense, per tutela della libertà artistica. Si distingue la dichiarazione dell’attore Robert De Niro al festival di Cannes: “L’arte cerca la libertà. Unisce le persone, include la diversità. Ecco perché rappresentiamo una minaccia per gli autocrati e i fascisti del mondo, ma la creatività non ha prezzo”, e definisce Trump “il presidente ignorante che ha tagliato i fondi per le discipline umanistiche, per l’istruzione superiore, e ora annuncia dazi doganali sul cinema semplicemente inaccettabili”. “Dobbiamo agire oggi, immediatamente, senza violenza, ma con passione, con determinazione! È giunto il momento: tutti coloro che amano la libertà devono organizzarsi, protestare, ed è giunto anche il momento di votare, quando ci saranno le elezioni. In ballo c’è la democrazia e la difesa della libertà”, aggiunge al festival di Cannes che si è svolto, al contrario di altri grandi eventi, nel segno dell’impegno politico. Anche la presidente di giuria Juliette Binoche ha “politicizzato” il festival raccogliendo l’appello di oltre 400 personalità del cinema mondiale, chiedendo di rompere il silenzio di fronte al “genocidio” a Gaza.
Viene quindi riconosciuto, da chi crea intrattenimento, che ogni tipo di canale genera informazione e messaggi, più o meno espliciti, e spesso sono veri e propri canali pedagogici che non possono ignorare la realtà. Soprattutto nei paesi in cui le leve del potere sono nelle mani di una burocrazia statale: il controllo monopolistico dei mass media, spesso integrato da una censura ufficiale, dimostra come i media siano messi a disposizione di una élite dominante, come spiegano il filosofo Noam Chosmy e l’economiasta Edward Herman. Con lo scopo di marginalizzare il dissenso dirottando l’attenzione del pubblico su altro. Il risultato è che non saranno nè i creatori di un prodotto televisivo nè i fruitori a decidere cosa si può o non si può trasmettere. Gli stessi metodi stringenti che stanno emergendo in modo più visibile in questi mesi sono usati in posti che sono considerati stretti regimi. Il cinema cinese infatti funge da potente strumento per estendere la propaganda del PCC, promuovendo narrazioni che si allineano con la visione del partito, con gli schemi simili a quelli che possiamo trovare nella produzione hollywoodiana, ad esempio film di rappresentanti della giustizia governativa che combattono i cattivi spesso incarnati dagli stranieri che minacciano la sovranità del paese. Tutti i contenuti televisivi cinesi devono essere in linea col PCC, e son per questo sottoposti ad un forte controllo. Il 26 aprile 2022, la Federazione cinese delle organizzazioni sociali di radio e televisione e la China Network Audiovisual Program Service Association hanno introdotto un insieme di regolamenti che racchiudono la rigorosa supervisione della cultura popolare da parte del partito, regolamenti che enfatizzano un corretto orientamento politico, imponendo che tutte le serie TV promuovano i valori fondamentali: patriottismo e unità nazionale.Le linee guida impongono anche agli attori, ai registi e a tutti i membri della troupe di produzione di possedere un’alfabetizzazione politica di Partito.
Questa censura pervasiva sottolinea la determinazione dei governi ad usare la televisione come strumento per promuoversi e sopprimere qualsiasi narrativa che possa sfidare la sua autorità o interrompere il tessuto sociale. Questo tipo di privazione di libertà non è combattuta neanche dai paesi che dichiarano di difendere i diritti di parola. Infatti sono la stessa Hollywood e altre industrie cinematografiche globali ad adattarsi alla propaganda estera, in questo caso cinese, in particolare attraverso la censura e la manipolazione dei contenuti, questo per star dietro all’enorme potenziale di mercato della Cina, che è troppo redditizio da ignorare per gli studi globali. Vi è quindi un’autocensura da parte degli studi di Hollywood che modificano volontariamente i loro film prima dell’uscita, con la rimozione di contenuti che potrebbero essere considerati politicamente sensibili o offensivi per il governo cinese. Argomenti come l’indipendenza di Taiwan, la rappresentazione del Tibet e la rappresentazione delle autorità cinesi sono comunemente adattati. Ad esempio, il film “Top Gun: Maverick” ha rimosso una toppa che mostra la bandiera taiwanese dalla giacca di Tom Cruise. Inoltre, la Cina impone una quota rigorosa sul numero di film stranieri che possono essere proiettati nelle sale ogni anno, che entrano con regolamenti che assicurano che venga mostrato solo il contenuto favorevole o neutrale per il governo cinese.
Allo stesso tempo, in molte zone d’Europa risuona la richiesta di media liberi e indipendenti dal controllo del governo del momento. È quello che han rivendicato, tra le altre cose, gli studenti e i manifestanti serbi nelle mobilitazioni degli ultimi mesi, che accusano di il presidente Vucic e il governo serbo di propaganda. I manifestanti vengono liquidati sui media come agenti stranieri, sostenitori di un futuro colpo di stato e di una rivoluzione colorata, che terrorizzano quotidianamente Belgrado e il resto della Serbia. Pagine Esteri