Pagine Esteri – Ad una settimana dall’inizio dell’aggressione militare israeliana all’Iran continuano gli scambi di colpi tra i due paesi.
Questa mattina presto diversi missili hanno colpito alcune località dello “stato ebraico”, causando danni e feriti a Ramat Gan e Tel Aviv. Uno di questi ha centrato l’ospedale di Soroka, nella regione di Beer Sheva, causando ingenti danni e un incendio. Secondo il portavoce dell’esercito iraniano Iman Tajik i droni e i proiettili di Teheran avrebbero in realtà preso di mira un centro di comando dell’intelligence situato sotto il nosocomio, circostanza però smentita dalle autorità israeliane. La direzione dell’ospedale ha specificato che l’impatto principale ha riguardato un vecchio edificio chirurgico, evacuato nei giorni scorsi.
Un’altra ondata di missili balistici è stata di nuovo lanciata da Teheran a metà pomeriggio.
In totale, secondo il ministero della Salute israeliano, gli attacchi iraniani hanno causato 271 feriti, di cui 4 gravi.

Anche i caccia, i missili e i droni israeliani hanno ripreso a martellare le infrastrutture iraniane. Tra queste, conferma l’AIEA (l’Agenzia internazionale per l’Energia Atomica), è stato bombardato anche il reattore di ricerca ad acqua pesante di Arak. Secondo l’Aiea il reattore era in via di realizzazione e non conteneva quindi combustibile nucleare.

Israele ha informato dell’uccisione – per ora non confermata – del nuovo Capo di Stato Maggiore iraniano Abdolrahim Mousavi, subentrato pochi giorni fa a Habibollah Sayyari, eliminato a sua volta dopo l’uccisione di Mohammad Bagheri.

Le forze armate israeliane hanno rivendicato anche di aver distrutto ormai quasi la metà delle rampe e dei lanciatori di missili balistici iraniani, riducendo in maniera significativa la possibilità da parte di Teheran di rispondere all’aggressione di Tel Aviv.

Alcuni membri del Comitato per la sicurezza nazionale del Parlamento di Teheran hanno però minacciato di chiudere lo stretto di Hormuz alla navigazione in risposta all’attacco in corso da parte di Israele, infliggendo un duro colpo al commercio internazionale di idrocarburi. «Se gli Stati Uniti entrassero ufficialmente e operativamente in guerra a sostegno dei sionisti, l’Iran avrebbe il legittimo diritto di esercitare pressione sugli Stati Uniti e sui paesi occidentali per ostacolare il transito del loro commercio di petrolio», ha affermato un parlamentare citato dalle agenzie di stampa di Teheran.

Il Soroka Hospital

E mentre Cina e Russia tornano a chiedere “con forza” la fine delle ostilità – senza però mettere in campo alcuna iniziativa concreta in una regione dove nel giro di pochi mesi Israele ha prima inflitto un duro colpo a Hezbollah e poi ha occupato una vasta porzione della Siria dopo aver contribuito alla caduta di Bashar al Assad – è proprio sulla strategia statunitense che si concentra l’attenzione.

Negli ultimi giorni Donald Trump ha lasciato intendere che Washington sarebbe in procinto di sostenere Israele nello sforzo bellico contro l’Iran. Oggi l’ambasciatore israeliano in Francia, Joshua Zarka, ha dichiarato all’emittente francese Bfmtv che gli «americani sono pronti ad attaccare immediatamente» l’Iran.

Sempre oggi, però, il presidente degli Stati Uniti ha negato di aver approvato i piani di attacco contro l’Iran, come riferito ieri dal “Wall Street Journal”. Sul suo social, Truth, Trump ha scritto che «Il WSJ non ha alcuna idea di quali siano i miei pensieri riguardo all’Iran”».

Secondo il quotidiano statunitense, che cita tre fonti a conoscenza del dossier, nella serata di martedì 17 giugno Trump avrebbe informato i suoi principali consiglieri di aver approvato i piani di attacco in Iran, ma di voler aspettare a dare il via libera per vedere se prima Teheran s’impegnerà ad abbandonare il programma nucleare (che sia secondo l’AIEA sia secondo l’intelligence di Washington era ancora molto lontano dal raggiungimento della capacità di realizzare ordigni atomici).

Non è un segreto che Trump starebbe seriamente valutando l’ipotesi di impegnare la propria aeronautica militare e la propria marina da guerra negli attacchi contro l’Iran, utilizzando in particolare le “bunker busters”, ordigni in grado di distruggere gli impianti di arricchimento dell’uranio sotterranei iraniani. In particolare Israele punta a eliminare il sito di Fordow, già colpito e parzialmente danneggiato, ma non possiede le “distruttrici di bunker” da 12 tonnellate adatte allo scopo.
Secondo gli stessi media statunitensi, Trump avrebbe già ordinato a tre portaerei – tra cui la “Nimitz”, finora dispiegata nel Mar Cinese Meridionale – e a una trentina di aerei cisterna di avvicinarsi all’Iran e avrebbe chiesto alla Gran Bretagna l’utilizzo di una base aerea.

Dopo che martedì Trump ha chiesto sui social media la “resa incondizionata” dell’Iran, la guida suprema del paese, Alì Khamenei, ha promesso in un discorso televisivo che qualsiasi intervento militare statunitense in Iran avrebbe provocato “danni irreparabili”.

Trump, che aveva più volte promesso di non coinvolgere gli Stati Uniti in nuove guerre, vuole evitare di rimanere invischiato in un nuovo conflitto dagli esiti incerti. All’interno dell’amministrazione statunitense si fa però strada l’idea di un intervento contro l’Iran di tipo limitato, a supporto delle operazioni militari israeliane.
«Mi piace decidere all’ultimo secondo. Con la guerra, tutto può cambiare da un momento all’altro» ha detto ieri il tycoon, che deve fare i conti con le diverse opinioni dei suoi consiglieri, alcuni dei quali sono decisamente contrari ad un coinvolgimento di Washington nell’ennesima guerra scatenata da Israele.

Netanyahu e il suo governo però stanno operando forti pressioni affinché Washington intervenga a fianco dell’Idf, in maniera da massimizzare i risultati dell’aggressione all’Iran.

Se l’obiettivo di Tel Aviv rimane formalmente la distruzione degli impianti nucleari iraniani e dei lanciamissili per impedire a Teheran di costituire una minaccia per lo “stato ebraico”, Netanyahu vuole portare a casa un risultato perseguito da Israele da quarant’anni: la distruzione delle infrastrutture militari, civili ed energetiche della Persia ed eventualmente un crollo del regime teocratico, da sostituire con un governo assai più sensibile agli interessi israeliani. In questo modo Tel Aviv non si sbarazzerebbe soltanto dell’unico avversario di rilievo nella regione, ma otterrebbe la disarticolazione del cosiddetto “asse della resistenza”, guidato proprio da Teheran.

I martellanti attacchi israeliani contro le città iraniane – che hanno causato finora diverse centinaia di morti e migliaia di feriti – stanno già infliggendo un duro colpo all’Iran. Ma Netanyahu chiede a Washington di intervenire per abbreviare i tempi e massimizzare i risultati, evitando così di esporre per troppo tempo la popolazione israeliana alle rappresaglie di Teheran che potrebbero presto provocare una levata di scudi dell’opinione pubblica contro il governo di estrema destra.

A Tel Aviv serve un contributo ancora più consistente delle forze statunitensi dispiegate in Medio Oriente nell’intercettazione dei droni e dei missili lanciati da Teheran contro il proprio territorio, che riescono spesso a eludere i sistemi di difesa israeliani. La dirigenza israeliana accarezza però anche l’idea che la determinante partecipazione statunitense agli attacchi potrebbe consentirgli di ottenere un risultato ancora più definitivo, cioè la disgregazione dell’Iran come stato unitario e la sua trasformazione in una mosaico di etnie e poteri locali più facilmente controllabile.

Mentre Russia e Cina rimangono in disparte, l’Iran deve affrontare – disponendo di alleati regionali fortemente indeboliti dai continui assalti israeliani degli ultimi anni – non solo Israele e gli Stati Uniti, ma anche i paesi europei che a parte qualche esortazione a “evitare l’escalation” si sono schierati compattamente a fianco di Netanyahu. – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria