Pagine Esteri – Smentendo ancora una volta le intenzioni dichiarate appena poche ore prima – “deciderò entro due settimane se attaccare l’Iran” – Donald Trump nella notte ha ordinato ai piloti dei bombardieri statunitensi B2 un attacco a sorpresa contro tre impianti nucleari in Iran, col rischio di innescare una ulteriore devastante escalation in Medio Oriente.
La tv di Stato iraniana ha già avvertito che “ogni cittadino o militare americano presente nella regione è ora un legittimo obiettivo”. “Adesso è iniziata la guerra”, è il post pubblicato su X dalla Guardia rivoluzionaria iraniana.
Mentre non si segnalano reazioni significative da parte della maggior parte dei componenti dell'”asse della resistenza” – ai quali gli attacchi israeliani dei mesi scorsi hanno inferto un duro colpo – un funzionario del movimento dei cosiddetti “Houthi” dello Yemen ha affermato che la risposta del gruppo agli attacchi degli Stati Uniti contro l’Iran è “solo questione di tempo”. Mohammed al-Bukhaiti, membro dell’ufficio politico degli Houthi, ha dichiarato alla TV Al Jazeera Mubasher che l’accordo di cessate il fuoco con Washington era precedente alla guerra contro l’Iran.
Da parte sua Trump ha detto che gli Usa hanno “attuato con successo” il loro attacco a tre siti atomici (Fordow, Natanz ed Esfahan) sganciando “un carico completo di bombe sul sito principale di Fordow”. E che “tutti gli aerei sono ora fuori dallo spazio aereo iraniano” e “stanno rientrando sani e salvi”. “Questo è un momento storico per gli Stati Uniti d’America, Israele e il mondo”, ha poi esultato in un post.
La risposta iraniana è cominciata poco dopo. Teheran ha lanciato circa 30 missili balistici verso il centro e il nord di Israele. Una parte è stata intercettata ma alcuni colpo hanno causato, secondo i media locali, almeno 86 feriti e ingenti danni in varie località tra cui Haifa, Ness Ziona, Rishon LeZion e Tel Aviv. Secondo l’agenzia di stampa iraniana Mehr Teheran avrebbe utilizzato per la prima volta i suoi missili di ultima generazione Kheibar, con una gittata di 2.000 chilometri.
Una fonte governativa iraniana ha inoltre dichiarato alla Reuters che la maggior parte dell’uranio arricchito immagazzinato precedentemente nell’impianto nucleare di Fordow è stato spostato in una località non divulgata prima degli attacchi statunitensi. Secondo l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) inoltre, presso i siti nucleari bombardati non si registrerebbero nessun aumento della radioattività.
Le pressioni israeliane sul governo statunitense hanno avuto evidentemente effetto e l’inquilino della Casa Bianca – che nel corso della campagna elettorale e ancora dopo la sua vittoria aveva promesso “mai più guerre” – ha deciso di entrare in campo per permettere allo “stato ebraico” di perseguire i suoi obiettivi in Iran. Nei giorni scorsi Trump si era dovuto confrontare con una consistente fronda nel Partito Repubblicano e nel movimento Maga (“Make America Great Again”), all’interno dei quali forti e numerose erano state le voci contrarie ad ogni intervento militare contro l’Iran, in nome dell’isolazionismo proclamato dalla destra più radicale e delle possibili ripercussioni in Medio Oriente.
Anche una parte del Partito Democratico sta criticando fortemente la scelta del presidente. Il senatore democratico Chris Murphy, ad esempio, ha scritto su Twitter: “La settimana scorsa sono stato informato sui dati di intelligence. L’Iran non rappresentava una minaccia imminente di attacco per gli Stati Uniti. L’Iran non era vicino a costruire un’arma nucleare. I negoziati che Israele ha sabotato con i suoi attacchi avevano un potenziale di successo”.
Ma evidentemente Donald Trump non vuole lasciarsi sfuggire l’opportunità di infliggere un duro colpo alla Repubblica Islamica, che costituisce un obiettivo storico non soltanto di Israele ma anche di ambienti politici e militari statunitensi trasversali. Inoltre, un indebolimento dell’Iran se non addirittura un “regime change” a Teheran provocherebbero un duro colpo alla strategia cinese in Medio Oriente. L’Iran è infatti uno dei nuclei fondamentali della “Nuova Via della Seta”, il corridoio commerciale e infrastrutturale finanziato e gestito da Pechino in decine di paesi, oltre a costituire uno tra i principali fornitori di combustibili fossili della Repubblica Popolare.
“Diversi paesi mediorientali e attori internazionali sono profondamente preoccupati per le azioni di Israele e degli Stati Uniti, poichè ciò che sta accadendo potrebbe minacciare i loro interessi nella regione” scrive l’agenzia ufficiale russa Tass, citando però una fonte iraniana. “Esprimono preoccupazione, temendo che le azioni di Israele diventino incontrollabili e che il fuoco possa alla fine travolgerli. E l’attuale escalation si trasformerà in un conflitto su vasta scala che potrebbe destabilizzare l’intera regione”, ha affermato la fonte alla Tass. L’interlocutore ha aggiunto che alcuni Paesi “hanno già dichiarato la loro disponibilità a fornire assistenza a Teheran in vari settori, sia direttamente che indirettamente”. La Russia, principale alleato di Teheran, ha finora tenuto una posizione molto cauta sulla crisi e pur condannando l’attacco israeliano per ora non ha promesso o fornito assistenza militare all’Iran.