Nel nuovo rapporto presentato oggi all’Onu, Francesca Albanese – relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati – accusa apertamente: «Il genocidio a Gaza non si fermerà, perché è redditizio». La giurista italiana, attaccata più volte per la sua fermezza nell’attribuire a Israele responsabilità e crimini gravissimi, alza ulteriormente il livello: il massacro in corso non è solo l’effetto della violenza coloniale, ma anche di interessi economici radicati e strutturati.
Il documento, che segue il precedente rapporto del marzo 2024 (“Anatomia di un genocidio”), propone una lettura più ampia e incisiva del conflitto, legando la distruzione sistematica della Striscia di Gaza al ruolo di aziende, banche, fondi di investimento, università e industrie belliche che traggono beneficio diretto o indiretto dalla repressione israeliana.
«Dietro il genocidio – ha dichiarato Albanese – esiste una rete di complicità che alimenta la violenza: chi fornisce armi, tecnologia, cemento, fondi, chi firma contratti, chi investe in start-up legate alla sicurezza, chi offre legittimità accademica o diplomatica. È una catena di profitto globale che attraversa Stati Uniti, Europa e Israele».
Il rapporto parla di “capitalismo coloniale”: un sistema nel quale la distruzione e lo spossessamento del popolo palestinese diventano occasioni per sperimentare tecnologie militari e di sorveglianza, testare armi su popolazioni civili, consolidare l’industria bellica israeliana – la stessa che poi esporta nel mondo intero, pubblicizzando i propri prodotti come “combat-tested”, testati in battaglia.
Albanese denuncia anche l’omertà dei grandi media e il silenzio colpevole dei governi occidentali, che non solo rifiutano di riconoscere il genocidio in atto, ma continuano a fornire appoggio militare, economico e politico allo Stato israeliano. Secondo la relatrice, «i Paesi che finanziano e armano Israele mentre questo commette crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, violano il diritto internazionale e hanno l’obbligo giuridico di fermarsi e intervenire».
Nel rapporto si ricorda che anche la Corte Internazionale di Giustizia, in più occasioni, ha riconosciuto “verosimile” che a Gaza sia in corso un genocidio, disponendo misure cautelari mai rispettate da Israele. Nonostante ciò, sottolinea Albanese, nulla è stato fatto per bloccare le forniture d’armi, né per sospendere gli accordi commerciali con Tel Aviv.
Tra le aziende citate nel rapporto (l’elenco completo sarà pubblicato la prossima settimana), figurano multinazionali del settore bellico, colossi della tecnologia legati alla sorveglianza, società di costruzione che operano nei Territori occupati, e persino istituti accademici coinvolti in programmi congiunti di ricerca militare. Il documento chiede un’indagine internazionale e sanzioni mirate.
Francesca Albanese ha inoltre denunciato le crescenti intimidazioni e minacce che riceve da mesi. «Per la prima volta ho paura», ha dichiarato in un’intervista. «Ma continuerò a parlare. Il mio compito è dire la verità e difendere la dignità umana, anche quando fa comodo ignorarla».
La relatrice speciale conclude il rapporto con un appello: «I genocidi del passato sono stati riconosciuti troppo tardi. Questa volta possiamo e dobbiamo intervenire prima. La giustizia non può aspettare la fine del massacro».