Pagine Esteri – A fine giugno la morte sotto custodia della polizia russa di due azeri ha dato inizio ad una crisi diplomatica tra Russia e Azerbaigian che si innesta su un peggioramento delle relazioni tra i due paesi che dura ormai da mesi.

Il 27 giugno la polizia di Ekaterinenburg, in Russia, ha arrestato una cinquantina di appartenenti alla comunità azera, accusandoli di vari reati avvenuti all’inizio del secolo, tra cui omicidio e tentato omicidio. Due degli arrestati, i fratelli Huseyin e Ziyaddin Safarov, sono morti sotto custodia, scatenando la reazione del governo e della stampa di Baku. Dopo le autopsie sui corpi dei due arrestati le autorità azere hanno denunciato segni di percosse e torture.

Mentre il parlamento azero cancellava la partecipazione di una sua delegazione a un incontro previsto a Mosca e venivano annullati tutti gli eventi russi previsti in Azerbaigian e la visita a Baku del vicepremier russo Overchuk, il ministro della Cultura azero accusava la Federazione Russia di aver compiuto degli «omicidi extragiudiziali (…) motivati da pregiudizi etnici».

Attuando quella che è subito apparsa come una ritorsione diretta, le autorità azere hanno arrestato una decina di cittadini russi, tra i quali il direttore e il caporedattore dell’ufficio di Baku del media russo Sputnik, accusandoli di frode. Mosca ha risposto facendo arrestare il portavoce ed un altro membro della comunità azera di Ekaterinenburg.

Nella crisi ha deciso di inserirsi il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che all’inizio della scorsa settimana ha prima chiamato il presidente azero Ilham Aliyev e poi ha diffuso una dichiarazione di pieno sostegno all’Azerbaigian.
Pur convocando l’ambasciatore azero a Mosca, il governo russo ha cercato di ridimensionare il conflitto con l’ex repubblica sovietica, ribadendo la volontà di mantenere relazioni solide con quello che è stato definito un “alleato”.

A Baku invece i toni utilizzati contro Mosca sono rimasti alti, con il moltiplicarsi degli attacchi nei confronti di quello che i media – tutti sottoposti ad uno stretto controllo da parte del regime di Aliyev – hanno definito l’imperialismo e il colonialismo russo nel Caucaso. «Siete abituati a dominare popoli che sono stati forzatamente inclusi nella Russia. Che si trattasse dell’epoca zarista o sovietica, i russi si consideravano la razza padrona, mentre gli altri erano cittadini di seconda classe. Anche se quegli imperi non ci sono più, la mentalità rimane» ha accusato la televisione di stato azera nei giorni scorsi.

La virulenza della crisi e i toni utilizzati hanno mostrato in maniera chiara le ambizioni del regime azero di trasformare un’alleanza subalterna con Mosca in un rapporto tra pari, consci dell’importanza che le risorse e la posizione dell’ex repubblica sovietica rivestono per la Federazione Russa.

I rapporti tra i due paesi si erano già incrinati alla fine di dicembre del 2024, quando la contraerea russa, in allerta per gli attacchi ucraini, avevano abbattuto per errore un aereo passeggeri dell’Azerbaijan Airlines nei pressi di Grozny, causando la morte di 38 passeggeri. La decisione del Cremlino di pronunciare scuse parziali e di non ammettere pienamente la propria responsabilità nell’abbattimento avevano provocato le prime rappresaglie da parte di Aliyev, che proprio in quel momento stava sorvolando il territorio russo diretto a San Pietroburgo e aveva deciso di invertire la rotta.

Secondo vari analisti, già allora la scelta azera di drammatizzare l’incidente era stata dettata dalle aspirazioni da parte di Aliyev ad affrancarsi da un’influenza russa ritenuta eccessiva.

Mentre le relazioni e la cooperazione economica tra Mosca e Baku crescevano rapidamente, nel 2023 – grazie al mancato intervento russo a difesa dell’Armenia – le forze armate azere mettevano fine all’esistenza trentennale della Repubblica di Artsakh, un’enclave abitata da armeni all’interno del suo territorio.

Mentre Erevan non aveva granché da offrire – pur ospitando alcune importanti basi militari russe – ed era governata da un premier vicino ad Europa e Stati Uniti che Mosca intendeva punire, Baku – divenuta ormai una potenza petrolifera di primo piano – si era rivelata fondamentale per consentire alla Russia di bypassare le sanzioni impostele dall’Occidente dopo l’invasione dell’Ucraina.

Ma la vittoria riportata da Baku sugli armeni grazie al sostegno turco e israeliano si è rivelata controproducente per Mosca. Se da una parte l’Armenia, umiliata, si è allontanata ulteriormente dalla Russia, l’Azerbaigian ha considerato lo storico successo un’occasione per affermare la propria volontà di imporsi come potenza regionale in grado di tessere alleanze in varie direzioni, utili a rafforzarne il ruolo politico ed economico.

L’ambizione traspare esplicitamente, ad esempio, quando l’autore di un servizio della televisione pubblica di Baku chiede: «Cos’è successo, signor Putin? È così preoccupato che l’Azerbaigian sia diventato uno stato forte, abbia recuperato i suoi territori, ripristinato la sovranità e che il presidente Ilham Aliyev sia riconosciuto a livello mondiale?».

Secondo vari analisti, Baku non vuole rompere con Mosca, ma alzare il prezzo della propria cooperazione per trarne i maggiori benefici possibili.
Aliyev starebbe premendo su Putin affinché consenta il ricongiungimento tra l’Azerbaigian e la Repubblica del Nachchivan, un territorio autonomo azero che sorge ad ovest dell’Armenia, al confine con la Turchia. La conquista della continuità territoriale – attraverso il corridoio ferroviario e stradale di Zangezur con l’utilizzo dei lembi più meridionali del territorio armeno o, come teme Erevan, grazie alla loro occupazione e annessione da parte di Baku – consentirebbe ad Aliyev di godere di una proiezione formidabile verso Occidente (e alla Turchia di proiettarsi in maniera ancora più efficace verso le repubbliche turcofone centrasiatiche).

Se un eventuale accordo definitivo di pace con l’Armenia riconoscesse all’Azerbaigian del Corridoio di Zangezur, Baku potrebbe avviare la costruzione di nuove infrastrutture energetiche con la Turchia evitando di doverle far transitare attraverso il territorio della Georgia, consolidando il suo ruolo di snodo energetico per l’Europa e bypassando un paese che negli ultimi anni si è fortemente avvicinato a Mosca. Attraverso la Georgia transitano sia l’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan (Btc) sia il Corridoio meridionale del gas, ma controllando il Corridoio di Zangezur l’Azerbaigian potrebbe inviare forniture di gas e petrolio direttamente alla Turchia attraverso il confine con il Nakhchivan, facendole arrivare a Kars, città turca distante solo 200 chilometri dal confine.

Baku vuole forse sfruttare una congiuntura favorevole che vede l’indebolimento del governo armeno di Nikol Pashinyan, la sofferenza dell’egemonia russa nel Caucaso e nell’Asia Centrale e le conseguenze dell’aggressione militare all’Iran da parte di Israele e Stati Uniti.
«La politica estera diversificata dell’Azerbaigian, fondata su alleanze con Turchia e Pakistan, partnership strategiche con Israele e, più di recente, con la Cina, ha ulteriormente ridotto la sua dipendenza da Mosca», ha spiegato recentemente Rusif Huseynov, direttore del think tank Topchubashov Center di Baku.

Resta da vedere se la crisi politica e diplomatica avrà ripercussioni su un flusso commerciale in crescita e su accordi strategici che beneficiano tutti i contraenti. A febbraio Aliyev ha ratificato un accordo diretto ad ampliare e modernizzare le infrastrutture del corridoio Nord-Sud, che collega Iran e Russia attraverso l’Azerbaigian. Sempre a febbraio, i funzionari di Baku, Mosca e Teheran hanno siglato un accordo per la realizzazione della ferrovia Rasht-Astara in territorio iraniano.
Aliyev ha inoltre coinvolto alcune aziende russe nella “ricostruzione” – cioè nella colonizzazione – del Nagorno-Karabakh, ormai ripulito dagli abitanti armeni.

Nei mesi scorsi però Baku ha sospeso temporaneamente l’acquisto di armi russe, puntando a rendere l’Azerbaigian un esportatore di armi. – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria