Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto

Un’ombra si aggira da mesi tra le macerie di Gaza. Si chiama la Forza Uria, un insieme semi-autonomo di unità di demolizione che opera ai margini dell’esercito israeliano per distruggere e trasformare in polvere tutto ciò che resta in piedi degli edifici palestinesi a Gaza. La sua presenza, documentata più volte a Khan Yunis e in altre aree della Striscia, solleva forti preoccupazioni. Il gruppo porta il nome di Uria l’Ittita – valoroso combattente dell’Antico Testamento mandato a morire in battaglia da re Davide che desiderava sua moglie Bathsheba – ed è composto da 10-15 operatori di bulldozer. Quasi tutti sono coloni israeliani provenienti dalla Cisgiordania occupata, reclutati da appaltatori e guidati da Bezalel Zini, fratello del capo designato dello Shin Bet, David Zini. A riferirne è il giornale Haaretz sottolineando che la Forza Uria non è parte organica dell’esercito, ma collabora con esso e la mancanza di supervisione rende l’operato della squadra estremamente pericoloso per i civili palestinesi e anche per i militari israeliani.

Più comandanti, aggiunge Haaretz, hanno denunciato che i membri della Forza Uria agiscono senza coordinarsi con la catena di comando. Uno di loro, Avraham Azoulay, della colonia Yitzhar, uno dei laboratori dell’ultradestra religiosa israeliana, è stato ucciso nei mesi scorsi da combattenti palestinesi nei pressi di Khan Yunis. Nessuno aveva mai registrato la sua presenza in quella zona, perché il gruppo si muove come una falange indipendente. Di fatto, scrive Haaretz, ogni operatore di bulldozer impone le proprie scelte ai comandanti sul campo. «Ogni conducente di ruspa è diventato un ingegnere sul campo che consiglia i comandanti sull’opportunità o meno di entrare negli edifici o in un tunnel», ha denunciato una fonte militare.

Ma è per i palestinesi che la Forza Uria rappresenta il pericolo maggiore. Testimonianze raccolte da Haaretz rivelano che il team di bulldozeristi ha fatto ricorso a scudi umani, palestinesi costretti a entrare in tunnel appena scoperti per verificare la presenza di esplosivi o di combattenti di Hamas. «Mettono un equipaggiamento protettivo a un palestinese e lo mandano in una galleria per vedere se ci sono reperti», ha detto un testimone. I «reperti» nel gergo militare israeliano sono gli esplosivi, i combattenti o qualsiasi cosa di pericoloso per i soldati. Gli scudi umani palestinesi non sono una novità. Un anno fa si apprese di una procedura volta a usare i palestinesi come una sorta di cani da fiuto per le «ispezioni». Prima si chiamava «Mosquito Procedure» e ora «Platform».

L’origine della Forza Uria va ricercata nella carenza nell’esercito israeliano di unità del genio: all’inizio della guerra ogni brigata disponeva di una ventina di bulldozer, oggi meno della metà. Le forze armate perciò hanno aperto all’impiego di squadre private composte da volontari fanatici e politicizzati, che fanno dell’annientamento di Gaza la loro missione. Un team della Forza Uria, la «Steel Brigade», è stato denunciato in passato per attività distruttive e metodi brutali nei confronti dei civili palestinesi. Contano anche i soldi per i coloni volontari a Gaza. Lavorano a distruggere case e infrastrutture civili palestinesi dalle 7 alle 16.30 e percepiscono 6.000 shekel al giorno (circa 1600 euro) più le spese. Una retribuzione da sogno.

Il ministro ultranazionalista Bezalel Smotrich a inizio settimana ha annunciato che i suoi uffici stanno elaborando un piano di annessione su larga scala dei territori palestinesi volto ad azzerare le possibilità residue della creazione di uno Stato palestinese. Naturalmente, come è sempre stato, Israele vuole la terra, ma senza i palestinesi. Il piano di Smotrich esclude l’annessione di sei grandi città palestinesi. «Vogliamo il massimo territorio e il minimo della popolazione», ha detto Smotrich sottolineando che l’obiettivo dell’annessione non è l’integrazione dei palestinesi nello Stato di Israele, ma al contrario il loro confinamento nei centri urbani: i bantustan di cui tante volte si è parlato in passato. «Non ho alcun interesse a permettere loro di godere di ciò che lo Stato di Israele ha da offrire».

Il progetto non è ancora ufficialmente entrato nell’agenda di governo. Il premier Netanyahu teme le ricadute nei rapporti con i paesi arabi alleati. Un funzionario degli Emirati – che nel 2020 hanno normalizzato i rapporti con Tel Aviv – ha spiegato due giorni fa che qualsiasi passo verso l’annessione minerebbe le relazioni diplomatiche tra i due paesi. Inoltre, sul piano giuridico e diplomatico, Israele si troverebbe a sfidare apertamente la comunità internazionale. La Corte di giustizia dell’Onu ha stabilito nel 2024 che l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi era illegale e doveva cessare.