Giorno e notte, il rumore dei bombardamenti e dei colpi di mortaio non si ferma mai. Nel buio di Gaza City si può solo sentire. L’avanzata violenta dei militari israeliani e il pianto spaventato dei bambini. Non si dorme e non si mangia. Ci si scambiano notizie sulla posizione dei carri armati, per capire quando non si potrà più fare a meno di fuggire. Ma negli ultimi due giorni anche ottenere notizie è stato quasi impossibile, perché Tel Aviv ha bombardato e distrutto la principale rete di fibra ottica e le infrastrutture di telecomunicazione. Un blackout quasi totale si è abbattuto sulla Striscia, soprattutto sulle aree del nord.

Qualche video, però, si è riusciti a trasmetterlo. Sono immagini di stragi di civili. Famiglie, donne, uomini e bambini. Ovunque nella Striscia. Nelle tende dei profughi, davanti agli ospedali, per la strada, sui marciapiedi, negli edifici crollati, sotto le macerie. Le aree in cui gli sfollati delle torri si erano rifugiati, sono state attaccate, con l’obiettivo di incutere paura e terrore. Gli aerei volano a bassa quota, i robot esplosivi vengono guidati vicino alle zone ancora affollate. Anche il campo profughi sulla spiaggia è stato attaccato, mentre dal cielo continuano a piovere volantini di minaccia e intimidazione. Il portavoce in lingua araba dell’esercito israeliano ha fatto sapere che i militari permetteranno alla popolazione di utilizzare un percorso “temporaneo” per lasciare Gaza City. Ma che via Salah al-Din rimarrà percorribile solo per 48 ore, fino a venerdì. L’annuncio di possibilità temporanee e limitate aiuta lo sfollamento, fa pensare di dover cogliere “un’occasione” che potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte. Anche attaccare i luoghi più sensibili serve a dimostrare alla popolazione che non ha scelta, che l’unica opzione a disposizione è quella di andar via. È lo sfollamento forzato, mascherato da premura. Ieri il COGAT, il meccanismo israeliano che gestisce le attività nei Territori palestinesi occupati, si è offerto di “aiutare” i palestinesi che a trasferirsi all’estero. Neanche una parola, chiaramente, sul fatto che l’esercito di Tel Aviv ha reso la Striscia invivibile, sull’assedio, sul blocco di beni essenziali alla sopravvivenza, sui massacri, sulla distruzione del sistema scolastico, sanitario, socio-economico, sul livellamento di qualsiasi struttura civile. No. Israele fa passare l’emigrazione come una scelta. E a provarlo sarebbero sei messaggi che, secondo lo stesso COGAT, alcuni palestinesi di Gaza avrebbero scritto alla pagina Facebook dell’agenzia governativa, supplicandola di essere deportati.

Intanto, gli aerei hanno bombardato nei pressi dell’ospedale al-Shifa, uccidendo almeno 14 persone in una delle stragi più orribili degli ultimi giorni. Tanti bambini e bambine, ragazzi, donne, i cui corpi sono stati adagiati nel cortile della struttura sanitaria. I quadricotteri pattugliano le strade e senza preavviso colpiscono chi esce alla ricerca di cibo e di acqua. L’ospedale pediatrico di Gaza City, al-Rantisi, è stato colpito con tre missili, esplosi uno dopo l’altro sui piani più alti della struttura. Chi poteva evacuare lo ha fatto: 40 pazienti sono andati via ma altrettanti sono rimasti, tra cui 12 in terapia intensiva. Le Nazioni Unite, l’Organizzazione mondiale della sanità, le associazioni umanitarie, hanno dichiarato che Israele dal 12 settembre ha chiuso l’unico valico del nord attraverso il quale riuscivano a far entrare un po’ di farina e di carburante. Soprattutto per gli ospedali, che ora rimangono senza combustibile per la stazione dell’ossigeno, per i macchinari medici, per le incubatrici. Tutto potrebbe spegnersi nel giro di pochi giorni. È un altro dei modi per costringere la popolazione ad evacuare. E gli ospedali a chiudere. A Gaza City era già stata dichiarata la carestia. Ora non rimane niente. I carri armati si chiuderanno in un assedio intorno alle strutture sanitarie e agli ultimi edifici che ospitano gli sfollati. Già le esplosioni sono sempre più vicine.

Intanto, entusiasta dei morti e degli sfollati della Striscia, il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich già pregusta i guadagni che Israele potrà ricavare dalle macerie. “La Striscia di Gaza sta diventando una miniera d’oro immobiliare”, ha affermato, rivelando che il progetto è già oggetto di colloqui con gli Stati Uniti. “Abbiamo speso enormi somme per questa guerra. Ora dobbiamo stabilire come spartire i lotti di terreno a Gaza. La demolizione è sempre la prima fase del rinnovamento urbano. Quella l’abbiamo completata: è tempo di cominciare a costruire”.

Anche per questo nel sud della Striscia i militari consegnano più armi e promettono più potere e terra alle milizie locali di Abu Shabab, che secondo le informazioni dei media di Tel Aviv, ora “combattono” al fianco dei soldati dello stato ebraico. Il quale però, ammettono funzionari dell’esercito, non può davvero controllarli. Secondo il quotidiano Haaretz, molti ufficiali sul campo esprimono preoccupazione per le possibili conseguenze: “Mi ricorda Sabra e Shatila”, ha detto un comandante. Il riferimento è al massacro che proprio in questi giorni, 43 anni fa, fu compiuto nei campi profughi palestinesi di Beirut, dove le milizie falangiste, sotto la supervisione israeliana, uccisero centinaia di civili con estrema e indimenticabile violenza. Pagine Esteri