
Shahd Hammouri
Questa intervista è stata pubblicata in origine dal quotidiano Il Manifesto
In queste ore palestinesi e israeliani, o almeno la maggior parte di essi, celebrano la firma in Egitto dell’accordo che da stasera darà la tanto attesa tregua agli abitanti di Gaza distrutta dai bombardamenti e vedrà entro 72 ore il rilascio degli ostaggi israeliani casa. Ma si guarda anche al futuro del piano di Donald Trump che nella sua seconda fase prevedere il disarmo di Hamas e una governance per Gaza supervisionata dal presidente Usa e altro esponenti stranieri, senza per questo garantire il diritto all’indipendenza e alla libertà dei palestinesi. Trump peraltro ha messo a punto un piano per il futuro della Palestina in contraddizione aperta con la legalità internazionale e che sembra destinato a perpetuare, sotto altre forme, l’occupazione israeliana. Lo denuncia l’analista giordana Shahd Hammouri della Kent Law School esperta di leggi e convenzioni internazionali. L’abbiamo raggiunta telefonicamente in Gran Bretagna.
A Sharm el Sheikh è stato approvato l’accordo per l’attuazione della prima fase del piano Trump, con lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri palestinesi, e l’inizio del cessate il fuoco. Tutti, a cominciare dalla popolazione di Gaza, in queste ore celebrano la fine dell’offensiva militare israeliana, sebbene non sia garantita. Qual è la sua valutazione della sostanza dell’iniziativa americana?
Secondo il diritto internazionale, un accordo raggiunto sotto coercizione è nullo. Inoltre, alcune questioni possono essere oggetto di negoziato e altre no e il diritto palestinese all’autodeterminazione è inalienabile, non è negoziabile. Esso poggia su molti pilastri, tra cui quello di poter resistere finché l’occupazione israeliana non sarà terminata. Quanto affermo è stato ribadito dalla giudice Hilary Charlesworth nella decisione della Corte internazionale di giustizia del 24 luglio sull’illegalità dell’occupazione israeliana della Palestina. Il piano inoltre non fa alcun riferimento a questioni centrali, come il diritto al ritorno per i profughi palestinesi.
La ricostruzione di Gaza e la sua governance sono assegnati dal piano Trump ad esecutivi guidati da stranieri.
I palestinesi reclamano la non ingerenza negli affari interni. La decisione su chi governa Gaza spetta solo al popolo palestinese. Nessun ente al mondo può determinarlo al posto loro, e questo è chiaramente sancito dal diritto internazionale. Il piano vuole introdurre una nuova forma di occupazione, diversa da quella israeliana ma pur sempre un’occupazione. È ciò che da tempo gli studiosi palestinesi denunciano: la sostituzione del controllo diretto israeliano con quello americano. Viene proposto un sistema che ricorda l’Autorità Provvisoria della Coalizione in Iraq. Si tratterebbe di un organismo amministrativo che, secondo quanto si dice, verrebbe guidato da Trump e Tony Blair insieme a tecnocrati palestinesi. Ma la presenza di palestinesi o arabi in un simile organismo non cambia la sua natura: rimane un’entità estranea e una forma di dominio esterno. È inaccettabile a qualunque livello. Ogni fase di transizione per i palestinesi deve essere gestita dai palestinesi stessi e nel loro interesse.
Eppure Hamas ha accettato questo piano insidioso per i palestinesi.
Hamas a mio avviso ha accettato solo i punti sui quali è effettivamente in grado di accordarsi, nel rispetto delle prerogative che detiene soltanto il popolo palestinese. Hamas sa che non ha l’autorità di decidere quale dovrà essere la futura forma di governo della Palestina. Non possiede tale autorità, al momento nessuno la possiede. Questo significa che, per proteggere i diritti del popolo palestinese, bisogna innanzitutto difendere il diritto internazionale, in particolare il principio di autodeterminazione come riconosciuto dalla Corte internazionale di giustizia. Quanto allo scambio di prigionieri, bisogna ricordare che, se da un lato la presa di ostaggi è illegale, lo è altrettanto la detenzione dei circa diecimila prigionieri politici palestinesi, in base alla Terza Convenzione di Ginevra.
Più voci palestinesi affermano che siamo di fronte a una manovra volta a favorire i disegni di Netanyahu e del suo governo. È d’accordo?
Netanyahu deve alleggerire subito la pressione interna che lo sta opprimendo sulla questione degli ostaggi israeliani senza rinunciare all’occupazione e la possibilità di un pieno controllo su Gaza. Inoltre, cerca un modo per evitare l’isolamento internazionale in cui si trova. Bisogna considerare il momento in cui è emersa l’iniziativa americana: durante i lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in un contesto in cui cresceva il sostegno al riconoscimento dello Stato di Palestina, aumentava la pressione per un corridoio umanitario a Gaza e si registrava un forte slancio di solidarietà della classe lavoratrice in Europa. Il piano Trump ha anche lo scopo di bloccare lo slancio verso il rafforzamento del diritto internazionale per imporre un progetto di dominio che si traveste da soluzione politica.