di Michele Giorgio

Pagine Esteri, 10 maggio 2024 – Una tempesta in un bicchiere d’acqua o, peggio, un inganno mediatico volto a rappresentare un “aspro dissenso” tra Stati uniti e Israele che è solo nelle parole e non nei fatti. Così occorre interpretare i contrasti tra Joe Biden e Benyamin Netanyahu emersi più nettamente negli ultimi giorni dopo la decisione, peraltro non ancora definitiva, dell’Amministrazione americana di ritardare le forniture di alcuni tipi di bombe made in Usa che Israele potrebbe o dovrebbe usare durante il suo assalto alla città palestinese di Rafah, sul confine tra Gaza e l’Egitto.

Il clamore per l’annuncio di Biden è stato enorme nelle ultime ore. Netanyahu ha prima replicato affermando che Israele “si difenderà con le unghie” e continuerà a combattere “anche da solo”. Poi, in una intervista di qualche ora fa, ha ammorbidito i toni dicendo che dissensi con gli Usa ci sono stati anche in passato, ma sono “superabili” e che l’alleanza tra i due paesi è sempre solida e non è stata messa in discussione da questa vicenda.

Da parte sua la Casa Bianca già getta acqua sul fuoco e precisa, attraverso la portavoce dell’Amministrazione, Karine Jean-Pierre, che Biden “continuerà a fornire a Israele tutte le capacità di cui ha bisogno per difendersi, ma non vuole che alcune categorie di armi americane vengano utilizzate in un particolare tipo di operazione in un determinato luogo” (Rafah). A conferma che gli Usa non intendono aggravare i dissensi con Israele, il segretario di Stato Blinken, nel rapporto che si accinge a presentare oggi al Congresso, pur criticando lo Stato ebraico, afferma che l’uso da parte di Tel Aviv delle armi americane contro Gaza è in linea con la legge internazionale. Una posizione fortemente contestata dalle Ong per i diritti umani e dagli esperti di diritto internazionale.

Davvero Biden impedirà l’utilizzo di bombe Usa contro Rafah? Nulla di più lontano dalla realtà. Il tipo di bombe ad alto potenziale che Washington non ha ancora consegnato a Tel Aviv, è già largamente presente negli arsenali israeliani, perché nei passati 7 mesi Biden non ha fatto mancare a Israele alcuno strumento di morte da utilizzare contro Gaza. Non a caso il ministro della Difesa Yoav Gallant, che vanta ottimi rapporti con gli Usa, ha ribadito che “Israele raggiungerà i suoi obiettivi a sud (a Gaza) e a nord (con gli Hezbollah)”.  Certo, dovessero gli Usa bloccare o limitare le forniture di bombe ed altre armi, Israele dovrebbe adottare “un’economia degli armamenti”, quindi conservare le munizioni in modo che queste non finiscano o procurarsele altrove. Ma è una prospettiva remota. Il portavoce militare di Israele, Daniel Hagari, ha detto che le forze israeliane hanno munizioni sufficienti per l’attacco a Rafah e per altre operazioni pianificate.

“Quando parliamo di difficoltà all’interno delle forze di difesa israeliane, è a lungo o medio raggio”, ha spiegato Yaakov Amidror, ex generale dell’esercito e consigliere per la sicurezza nazionale di Netanyahu. “Per la guerra a Gaza – ha aggiunto – o per la possibile guerra aperta di domani in Libano, la decisione degli Stati Uniti non farà alcuna differenza”.  L’industria bellica israeliana è molto sviluppata e vanta risorse prodotte internamente come il sistema di difesa missilistico Iron Dome. “Abbiamo notevoli capacità, ma ci sono campi in cui, anche se non dipendessimo dagli aiuti militari americani, dovremmo comunque comprare armi da altri paesi”, ha detto alla radio israeliana Avi Dadon, ex capo del Dipartimento acquisti e produzione del Ministero della Difesa.

Il vero effetto pratico dell’annuncio di Biden è quello di spingere Israele a rafforzare la sua industria militare. “È chiaro che investiremo molti soldi per essere in una posizione migliore e produrre in futuro ciò di cui abbiamo bisogno”, ha aggiunto Amidor.