di Ariela Ruiz Caro* – Counterpunch.org
Traduzione a cura di Antonio Perillo
Pagine Esteri, 6 Maggio 2022 – Mentre l’”operazione speciale” in Ucraina del presidente russo Vladimir Putin prosegue nel suo secondo mese, il suo evidente impatto economico continua a crescere a livello globale. Gli aumenti dei prezzi dell’energia, del cibo e dei fertilizzanti hanno spinto in alto l’inflazione a livelli che non si vedevano da decenni, portando a tassi di interesse più elevati che freneranno la crescita economica. L’ultimo rapporto del Fondo Monetario Internazionale pronostica una crescita più lenta in tutte le regioni del mondo e le Nazioni Unite mettono in guardia per l’arrivo di un “uragano della fame”.
L’America Latina e i paesi caraibici, le regioni del mondo più duramente colpite dalla pandemia da Covid-19, non sono assolutamente escluse da questo fenomeno e dai suoi effetti sempre più acuti sui livelli di violenza e povertà. Eppure le leadership politiche non hanno intrapreso iniziative per affrontare la marea in arrivo e sembrano incapaci di elaborare e coordinare interventi congiunti alla luce dei recenti avvenimenti.
Negli ultimi decenni la regione ha perso rilevanza come attore della politica internazionale, in termini, fra le altre cose, di partecipazione al commercio internazionale, di potenza delle nazioni e di coinvolgimento negli organismi internazionali. Nel 2019, i suoi leader politici hanno permesso al governo degli Stati Uniti di disattivare l’Unione delle nazioni sudamericane (UNASUR) per sostituirla con un accordo dal nome pretenzioso di Forum per il progresso e l’integrazione del Sud America (PROSUR). Non hanno inoltre impedito a Mauricio Claver-Carone, l’allora consigliere del presidente USA Trump alla sicurezza nazionale per gli affari relativi all’America Latina, di diventare presidente della Banca per lo sviluppo inter-americano nel 2020, rompendo così la tradizione di affidare quella posizione ad un rappresentante dell’America Latina. E non hanno neanche supportato congiuntamente (come ha fatto l’Unione Africana) una proposta avanzata dall’India e dal Sudafrica all’interno del dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) per sospendere i brevetti sui vaccini contro il Covid-19 fino a quando l’intera popolazione mondiale fosse stata vaccinata.
Non sorprende affatto, quindi, quanto siano state variabili le posizioni dei vari paesi della regione a proposito della guerra scatenata dall’intervento militare della Russia in Ucraina. Questa posture scomposte rivelano ancora una volta la mancanza di decisione da parte delle nazioni dell’America Latina e dei Caraibi nell’identificare un denominatore comune, che consentirebbe loro di avere una presenza più rilevante ed un più forte potere negoziale nell’agenda internazionale.
Posizioni negli organismi internazionali
Le differenti linee di politica estera seguita dai paesi della regione, da tempo trovavano un elemento comune nel condannare l’uso delle armi e la guerra in sé. La maggioranza dei governi hanno quindi votato a favore dei testi preparati dall’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) e dall’Assemblea Generale dell’ONU che sostenevano questo orientamento in relazione alla crisi in Ucraina. Un piccolo numero di paesi si è astenuto, ma nessun paese latinoamericano o caraibico si è opposto a queste risoluzioni di condanna della guerra, anche se queste ultime non affrontavano la questione approfondendo in dettaglio tutto il suo contesto.
Anche se Argentina, Messico e Brasile – i tre paesi più grandi della regione – hanno votato a favore delle risoluzioni delle Nazioni Unite di condanna all’invasione dell’Ucraina, ci sono delle sfumature nelle loro posizioni a proposito del governo russo. Per esempio, il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador rifiuta di imporre sanzioni contro la Russia, motivando la scelta col proposito di mantenere buone relazioni con tutti i paesi del mondo. Ha anche condannato la messa la censura, in Europa ed in altri paesi, delle reti di informazione russe come Russia Today e Sputnik.
In modo simile, Jair Bolsonaro, presidente del Brasile, che ha visitato il suo omologo russo pochi giorni prima che scoppiasse il conflitto (ignorando l’opposizione di Washington), ha affermato che il suo paese resterà “nautrale”.
Anche il governo argentino ha sostenuto le risoluzioni dell’ONU, ma i suoi oppositori ritengono che la sua posizione non sia stata sufficientemente forte. Molti ricordano che durante l’incontro con Putin di inizio febbraio, il presidente Alberto Fernández gli disse che l’Argentina “deve essere il portone di ingresso” per la Russia in America Latina e sottolineò il suo interesse a rompere la dipendenza economica e commerciale del paese dal WTO e dagli Stati Uniti. Il governo si è anche espresso contro le sanzioni e la censura dei media russi.
L’Organizzazione degli Stati Americani (OAS)
Il Segretariato Generale dell’OAS è stato il primo ad emettere un comunicato di condanna dell’intervento militare russo in Ucraina, che invocava la cessazione immediata delle ostilità che la Russia ha “irresponsabilmente iniziato”. Secondo l’OAS, “l’aggressione russa costituisce un crimine contro la pace internazionale. L’attacco armato perpetrato ai danni della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina è riprovevole e rappresenta un atto molto grave in violazione del diritto internazionale”. Il comunicato accompagnava una dichiarazione che conteneva anche una denuncia del “riconoscimento illegale”, da parte della Federazione Russa, di Donetsk e Luhansk come due territori indipendenti nell’est dell’Ucraina, come “una violazione dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina”.
Alla presenza di osservatori dalla Russa e dall’Ucraina, 21 paesi hanno sottoscritto la dichiarazione, compresi il Messico (che promuove la sostituzione dell’OAS con un’altra istituzione) e Juan Guaidó, l’illegittimo presidente del Venezuela, il cui vero governo, guidato da Nicolàs Maduro, si è ritirato dall’OAS nel 2019. Le delegazioni di Argentina, Brasile, Bolivia e Nicaragua non hanno appoggiato il comunicato, ma hanno espresso il loro fermo rifiuto dell’uso della forza militare per risolvere il conflitto. Come affermato dal rappresentante boliviano, Héctor Enrique Arces, “Niente, assolutamente niente giustifica alcuna forma di violenza o di aggressione quando queste portano alla triste perdita di vite umane”. A sua volta, il rappresentante del Brasile, Otavio Brandelli, ha dichiarato che il suo governo “è molto preoccupato per la decisione della Russia di inviare truppe sul terreno (…), ma le sue principali preoccupazioni sull’equilibrio delle forze e delle armi strategiche nel contesto europeo devono essere prese in considerazione”.
Il Segretario Generale dell’OAS, Luis Almagro, ha affermato che “nessuna delle ragioni invocate dal presidente Putin può giustificare gli atti che si stanno compiendo in Ucraina dietro i suoi ordini”, mentre le 21 delegazioni che hanno sottoscritto il comunicato hanno richiesto massicce sanzioni contro la Russia, insieme alla fornitura di ulteriori armi all’Ucraina, e la sospensione della partecipazione della Russia dalle organizzazioni internazionali.
Come accaduto in altre circostanze, la delegazione russa ha sostenuto che mentre l’operato del proprio paese viene condannato, la sanguinosa guerra con vittime civili che è stata mossa contro la regione indipendente del Donbass per 8 anni viene dimenticata, e che “per tutto il tempo i nostri colleghi occidentali hanno coperto il regime di Kiev, chiudendo un occhio sui crimini di guerra contro i civili”.
La Comunità degli stati americani e caraibici (CELAC)
Il giorno dopo il pronunciamento dell’OAS, il CELAC, un’organizzazione regionale creata nel 2010 e che esclude gli Stati Uniti ed il Canada, non è stata in grado di pubblicare un comunicato congiunto. Si è limitata invece ad accettare la proposta del Perù di creare una “Rete consultiva di assistenza regionale” per coordinare il rimpatrio dei cittadini latinoamericani e caraibici dall’Ucraina, poiché non tutte le nazioni del CELAC hanno rappresentanze diplomatiche in quel paese.
Si deve notare che la Russia, come la Cina, mantiene forti legami con il CELAC, perché condivide il suo obiettivo geopolitico di costruire un mondo multipolare e multilaterale. Nel 2015, il CELAC e la Russia hanno firmato il Meccanismo Permanente per il Dialogo e la Cooperazione Politica, fornendo alla Russia un modo per ottenere visibilità globale attraverso un’organizzazione internazionale fuori dalla sua area di influenza. D’altra parte, il legame con la Russa conferisce al CELAC un’aura di multipolarità e bilancia il suo rapporto con gli Stati Uniti in altri organismi internazionali.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
Il 2 marzo scorso, l’Assemblea Generale dell’ONU si è riunita in una sessione speciale d’emergenza – solo la decima nei suoi 70 anni di storia – durante la quale è stata approvata una risoluzione di condanna dell’intervento militare della Russia in Ucraina, così come di tutte le violazioni del diritto internazionale umanitario. La risoluzione sollecita una immediata soluzione pacifica del conflitto attraverso il dialogo politico, i negoziati, la mediazione e altri strumenti pacifici. Alcuni giorni prima, la Russia aveva posto il veto su una risoluzione simile presentata nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, composto da 5 membri permanenti (USA, Cina, Russia, Regno Unito e Francia) e 10 a rotazione, fra i quali al momento ci sono Messico e Brasile. Entrambi gli stati latinoamericani hanno votato in favore della risoluzione, promossa dagli Stati Uniti e dall’Albania, come altri 9 membri, mentre la Cina, l’India e gli Emirati Arabi Uniti si sono astenuti.
Nell’Assemblea Generale, 5 dei 193 stati membri dell’ONU – Russia, Bielorussia, Siria, Corea del Nord ed Eritrea – hanno votato contro la risoluzione, che ha visto 141 voti favorevoli. Fra i 35 astenuti c’erano 4 nazioni latinoamericane: Bolivia, Cuba, El Salvador e Nicaragua. 12 paesi non hanno partecipato al voto, compreso il Venezuela, che aveva espresso sostegno per la cosiddetta “operazione militare speciale” russa durante una conversazione telefonica tra i due presidenti poche ore prima.
Questa posizione di sostegno non ha impedito, 3 giorni dopo, la visita a Caracas di una delegazione di alto livello degli Stati Uniti, che è stata ben accolta dal presidente Maduro in persona. Il tema di discussione è stato l’accesso degli Stati Uniti al petrolio venezuelano. Uno dei risultati della missione è stato il rilascio a Caracas di due detenuti statunitensi, uno di loro accusato di terrorismo.
Fra gli astenuti, andrebbe sottolineata la posizione tenuta da Cuba il 2 marzo. Mentre dichiarava che il proprio governo “si oppone vigorosamente all’utilizzo o alla minaccia dell’uso della forza contro qualsiasi stato”, la delegazione cubana aggiungeva che “non è possibile esaminare in modo onesto e rigoroso l’attuale situazione in Ucraina senza valutare attentamente i fattori che hanno portato all’utilizzo della forza. La scelta degli USA di proseguire la progressiva espansione della Nato verso i confini della Federazione Russa e i ben noti movimenti militari portati avanti dagli Stati Uniti e dalla Nato nei mesi scorsi verso le regioni confinanti con la Federazione Russa, preceduti dalla consegna di armi all’Ucraina, hanno condotto ad uno scenario con implicazioni di imprevedibile estensione, che avrebbe potuto essere evitato”.
Dando voce al suo rifiuto dei “doppi standard e dell’ipocrisia”, Cuba ha osservato che “nel 1999 gli Stati Uniti e la Nato lanciarono una rilevantissima aggressione contro la Yugoslavia, un paese europeo che hanno fatto a pezzi sulla base dei loro interessi geopolitici, con un alto costo in vite umane e ignorando lo Statuto delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti e alcuni loro alleati hanno utilizzato la forza in ripetute occasioni. Hanno invaso stati sovrani per provocare cambi di governo e hanno interferito negli affari interni di altri paesi che non si sottomettono alla loro volontà di dominio e che difendono la propria integrità territoriale e la loro indipendenza”.
Mentre la guerra si andava intensificando, l’Assemblea Generale si è riunita il 24 marzo in un’altra sessione speciale, ad esito della quale la Risoluzione A/ES-11/L.2, intitolata “Le conseguenze umanitarie dell’aggressione all’Ucraina”, insisteva per un’immediata cessazione delle ostilità da parte della Russia. Il risultato della votazione è stato simile al precedente. Il testo, allineato alle posizioni di Stati Uniti ed Ucraina, è stato avanzato da Francia e Messico, ed utilizza un linguaggio accusatorio e non diplomatico che potrebbe essere considerato inappropriato se l’obiettivo che si cerca di ottenere realmente fosse davvero il cessate il fuoco.
Per il rappresentante della Russia all’ONU, il testo approvato “dipinge un’immagine falsa e ad una sola dimensione” di quanto sta accadendo, ignorando le cause della crisi in Ucraina ed il ruolo dell’Occidente nell’usare il paese come una pedina “in un gioco geopolitico contro la Russia”.
Si è poi anche appellato a “tutti i paesi con l’atteggiamento corretto” a sostenere la proposta avanzata dal Sudafrica, paese partner dei BRICS.
In termini di contenuti, la proposta sudafricana era simile alla versione approvata presentata da Francia e Messico in quanto all’invocazione di un immediato e negoziato cessate il fuoco. Tuttavia, l’appello era rivolto a “tutte le parti in conflitto” e non soltanto alla Russia, ed evitava di accusare ripetutamente la Russia nel corso del testo. Inoltre incoraggiava il dialogo politico, i negoziati, la mediazione ed altri strumenti non violenti per raggiungere una pace durevole. Nel presentare il progetto di risoluzione nella sessione plenaria dell’Assemblea, l’ambasciatore del Sudafrica presso le Nazioni Unite ha sottolineato che le divisioni politiche fra gli stati membri dimostrano che gli interessi politici prevalgono sulla risposta umanitaria.
Vale la pena notare le critiche di tono simile che alcuni stati latinoamericani hanno sollevato alla risoluzione franco/messicana approvata, nonostante avessero votato a favore. Il rappresentante brasiliano, per esempio, ha osservato che “avremmo preferito un testo incentrato completamente sull’aspetto umanitario ed elaborato tramite ampie consultazioni, non un documento presentato come un fatto compiuto (fait accompli, in francese nel testo, ndt) che contiene chiaramente un linguaggio divisivo”. Ha inoltre affermato che le crisi umanitarie non dovrebbero essere politicizzate.
La Cina, astenendosi nuovamente, ha concordato che la proposta sudafricana avrebbe contribuito maggiormente a giungere ad un cessate il fuoco. Ha inoltre sostenuto che i paesi in via di sviluppo, non essendo parte del conflitto in corso, non dovrebbero esservi trascinati o essere costretti a prendere le parti di uno dei contendenti. Il rappresentante permanente della Cina, Zhan Jun, ha asserito che il suo paese continuerà a giocare un ruolo nel facilitare il dialogo fra le parti.
Le organizzazioni occidentali
Parallelamente alle sessioni speciali dell’Assemblea Generale dell’ONU, tre eventi politici rilevanti si sono tenuti a Bruxelles: il summit speciale della Nato e le riunioni del G7 e del Consiglio Europeo, al quale è stato invitato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Tali incontri hanno tutti condannato l’intervento militare russo, dando ad esso la responsabilità per l’impatto economico che ha avuto sul mondo.
Nel suo comunicato congiunto, la Nato ha affermato che i suoi membri forniranno maggiore “sostegno economico e pratico” all’Ucraina, così come l’assistenza in settori come la cyber sicurezza e protezione contro minacce di natura chimica, biologica, radioattiva e nucleare. In aggiunta, hanno sollecitato la Cina “ad unirsi al resto del mondo e condannare chiaramente la brutale guerra contro l’Ucraina, e a non supportare la Russia né in termini economici né in termini militari”. Per parte sua, il Consiglio Europeo ha deliberato di intensificare il suo sostegno all’Ucraina e ai paesi confinanti con essa.
La pace come denominatore comune
Dal momento che la guerra in Ucraina mette gravemente a rischio la sicurezza energetica ed alimentare nella regione, l’America Latina ed i Caraibi dovrebbero assumere un ruolo guida in favore della pace, invece di seguire meccanicamente le decisioni prese dalle potenze occidentali. Potrebbero sostenere, per esempio, le iniziative di mediazione di governi e personalità che sono riconosciuti da entrambe le parti di questa tragica guerra. Il 7 marzo scorso, il Ministro degli esteri della Cina, Wang Yi, ha affermato di essere “pronto, se necessario, ed insieme alla comunità internazionale, a portare avanti la necessaria mediazione”. La Cina mantiene buone relazioni commerciali con l’Ucraina, ha inviato ad essa aiuti umanitari, ed ha anche influenza sulla Russia, con la quale ha forti legami economici e strategici.
Alcuni giorni prima il governo ucraino aveva richiesto l’intermediazione del governo cinese, che era stata supportata dal capo della diplomazia della UE, Joseph Borrell. “Non c’è alternativa”, aveva affermato. “Non possiamo essere noi i mediatori. E non possono esserlo gli Stati Uniti. Allora chi altro? Deve essere la Cina”. Il CELAC non ha rilasciato commenti sulla questione.
Il 14 marzo Jake Sullivan, consigliere dell’amministrazione Biden per la sicurezza nazionale, ha messo in guardia la controparte cinese che il suo governo non avrebbe permesso ad alcun paese di farla franca con ciò che accusava la Cina di stare provando a fare, cioè di andare in soccorso della Russia contro le sanzioni imposte dopo l’invasione dell’Ucraina. La Cina ha replicato affermando che avrebbe fornito una ferma e vigorosa risposta qualora gli Stati Uniti imponessero sanzioni su compagnie o individui cinesi, o danneggiato i suoi diritti ed interessi legittimi nell’amministrare i propri rapporti con la Russia.
Il governo cinese ha condannato la guerra, ma chiede che venga analizzata pienamente, prendendo in considerazione le “legittime richieste in merito alla sua sicurezza nazionale”. Tradizionalmente, la Cina mantiene una posizione di non ingerenza negli affari interni di altri paesi e di rispetto per l’integrità territoriale, motivata in parte dalle sue rivendicazioni su Taiwan. Crede che le sanzioni non siano mai state uno strumento efficace per risolvere i problemi, motivo per il quale si oppone fortemente ad ogni tipo di sanzioni unilaterali. Il presidente Xi Jinping aveva espresso la posizione del suo paese sulle sanzioni alcuni giorni prima in un incontro virtuale con i suoi corrispettivi francese e tedesco, sottolineando che tali misure mettono a rischio la ripresa economica globale dopo la pandemia e potrebbero avere conseguenze sulle linee di approvvigionamento, sull’energia, i trasporti e le operazioni finanziarie globali, problemi che stanno già avendo un impatto devastante sulla maggioranza delle economie mondiali.
Questa è l’area in cui l’America Latina può emergere da una posizione di equidistanza dai belligeranti. La guerra merita la più forte delle condanne, ma senza rinunciare a mettere in conto le cause che hanno condotto a quest’esito brutale. Dietro le distruzioni e e la morte della guerra in se stessa, c’è una lotta per il potere nell’ambito di una riconfigurazione di un nuovo ordine multipolare del mondo, che impatterà la regione dell’America Latina e dei Caraibi. Il presidente Biden si rende conto di ciò e il 21 marzo ha affermato che “Ci sarà un nuovo ordine mondiale, lì fuori. E noi dobbiamo guidarlo”.
È a questo punto che c’è bisogno di una voce forte dell’America Latina, a difendere i suoi propri interessi e gli interessi della pace mondiale.
* Ariela Ruiz Caro è un’economista dell’Università Humboldt di Berlino e tiene un Master in Processi di Integrazione Economica presso l’Università di Buenos Aires. È un’analista del Programma delle Americhe per la regione delle Ande e del Cono Sud.