di Michele Giorgio –

Pagine Esteri, 24 maggio 2022 – Era il 2013 quando lungo lo stradone malandato che da Qalandiya porta ad Al Bireh, l’ex presidente Usa Barack Obama, atteso al quartier generale dell’Anp a Ramallah, trovò ad accoglierlo, tra le altre cose, dei grandi manifesti con la scritta «Non abbiamo il 3G in Palestina». Era una richiesta di aiuto che gli lanciavano i palestinesi sotto occupazione, desiderosi di usare al meglio gli smartphone, cosa che gli israeliani già facevano da lungo tempo. Dopo qualche settimana, i palestinesi, almeno quelli della Cisgiordania, ottennero finalmente da Israele le frequenze 3G per i telefoni cellulari. Una svolta positiva favorita, si disse, da un deciso intervento dell’entourage di Obama sulle autorità israeliane. Nove anni dopo i palestinesi, malgrado gli accordi raggiunti e firmati, sono allo stesso punto: attendono dallo scorso novembre che Israele conceda loro le frequenze per introdurre il 4G in Cisgiordania. A Gaza nemmeno se ne parla. Lì sono fermi ancora al 2G.

Le compagnie telefoniche israeliane intanto continuano a ricevere senza problemi le autorizzazioni per ampliare le loro reti, 5G incluso, in tutta la Cisgiordania raccogliendo nuovi utenti anche tra i palestinesi che, disperati, acquistano schede sim israeliane pur di avere internet disponibile. Sono oltre 400mila i palestinesi dei Territori occupati assorbiti dal mercato israeliano della telefonia mobile. Una perdita per le compagnie palestinesi di centinaia di milioni di dollari ogni anno. «Questo settore è prioritario per lo sviluppo dell’economia palestinese» spiega il ministro dell’Anp per le telecomunicazioni Ishaq Seder «è importante per lo sviluppo dell’informazione, del commercio elettronico e di una varietà di altri campi legati allo sviluppo digitale». Seder denuncia che le apparecchiature destinate ai palestinesi che sono bloccate da mesi nei porti israeliani e accusa le società di telecomunicazioni israeliane di approfittare di questa paralisi per rafforzare il monopolio sul 4G.

La Banca mondiale a inizio anno, con un suo rapporto, aveva esortato Israele a permettere ai palestinesi di aggiornare la loro rete mobile, in modo che il potenziale dell’economia digitale nei Territori occupati venga sfruttato al meglio. Le restrizioni israeliane, era scritto nel rapporto, «sono tra i principali ostacoli allo sviluppo del digitale in Cisgiordania e Gaza…Israele ha il potere decisionale sulle frequenze e finora si è rifiutato di allocare lo frequenze necessarie agli operatori di telecomunicazioni palestinesi». Le società di telecomunicazioni palestinesi, sottolineava ancora la Banca Mondiale, pagano costi più alti rispetto ai loro concorrenti israeliani per l’uso delle frequenze, di conseguenza non possono essere competitive con la concorrenza perché costrette ad offrire servizi più limitati a prezzi più elevati. Secondo l’indice globale di sviluppo delle telecomunicazioni, la Cisgiordania e Gaza sono collocate al di sotto della media dei paesi in via di sviluppo nel tasso di penetrazione della banda larga.

I due operatori di telefonia mobile palestinesi, Ooredoo e Jawwal, hanno un bacino di quattro milioni di clienti e si augurano che quando arriverà il 4G potranno abbassare i prezzi. Ma all’incontro dello scorso 26 aprile, la parte israeliana ha offerto poche frequenze 4G, meno di quelle sollecitate da parti internazionali. Da parte sua l’Anp aveva chiesto negli anni passati circa 90 frequenze in Cisgiordania in modo da stabilire una rete 4G efficiente. Nel 2020 Israele però ne ha offerte solo 33. E il mese scorso i rappresentanti israeliani non hanno fatto passi in avanti reali rendendo disponibili solo 35 frequenze per il 4G e nessuna per il 5G, affermando che non è rimasto abbastanza spettro di frequenze per i palestinesi. Il prossimo incontro è previsto a giugno e le prospettive sono negative.

Nel frattempo, il ministro israeliano delle Comunicazioni Yoaz Hendel, noto sostenitore della colonizzazione, lavora a una ulteriore espansione della copertura cellulare israeliana in Cisgiordania. «Dal mio punto di vista – ha affermato – la Giudea e la Samaria (i nomi biblici della Cisgiordania, ndr) devono essere trattate come qualsiasi località in Israele. Non c’è differenza tra Netanya e la Valle del Giordano, tra Revava e il Kibbutz Kabri». Pagine Esteri