di Valeria Cagnazzo
Pagine Esteri, 05 settembre 2022 – Sono stati pubblicati nel pomeriggio di lunedì i risultati dell’inchiesta interna alle Forze di Difesa Israeliane (IDF) in merito all’omicidio di Shireen Abu Akleh, la reporter di Al Jazeera morta l’11 maggio scorso a causa di un colpo d’arma da fuoco che l’ha colpita alla testa mentre documentava alcuni scontri a Jenin, in Cisgiordania, per conto del suo giornale.
Per quanto non si possa “determinare inequivocabilmente l’origine degli spari che hanno colpito la signora Abu Akleh”, si legge nel report, “c’è un’alta possibilità che la signora Abu Akleh sia stata accidentalmente colpita da colpi di arma da fuoco dell’IDF, che sono stati sparati contro sospetti identificati come uomini armati palestinesi armati, durante uno scontro a fuoco in cui sono stati esplosi colpi pericolosi, diffusi e indiscriminati contro i soldati dell’IDF”.
A condurre l’inchiesta, una task force prevalentemente costituita da comandanti dell’IDF – affiancati da “personale aggiuntivo” – che avrebbero fatto ricorso a interrogatori ai soldati presenti sul luogo dell’accaduto, ricostruzioni temporali e potenti tecnologie, non ultima l’analisi balistica in un laboratorio forense del proiettile estratto dal corpo di Abu Akleh. Il proiettile, infatti, era stato consegnato dall’Autorità Nazionale Palestinese che ne era in possesso allo Stato di Israele il 2 luglio scorso, affinché le autorità israeliane conducessero le proprie valutazioni tecniche. “Alla luce del cattivo stato fisico del proiettile”, si legge, “è difficile identificare la fonte da cui è stato sparato”.
Resta comunque, si conclude nell’indagine, l’”alta possibilità” della responsabilità dell’esercito israeliano nella morte della giornalista, uccisa mentre indossava, come i suoi colleghi, la pettorina con scritto “Press”. A dichiarare che a uccidere la reporter sia stato un soldato israeliano erano intervenute in questi mesi già diverse organizzazioni per i diritti umani, associazioni di giornalisti e numerose indagini condotte dalle Nazioni Unite. Dopo tali evidenze, la dichiarazione dell’IDF giunge non certo come un’ammissione di colpevolezza.
Nel report, infatti, si ribadisce più volte l’intento “antiterroristico” dei soldati presenti quel giorno sul campo. “E’ importante enfatizzare”, si scrive, “che durante tutto l’incidente, i proiettili dell’IDF sono stati sparati con l’intenzione di sparare ai terroristi che avevano sparato contro i soldati dell’IDF”. In conclusione, la morte della giornalista sarebbe stato un danno collaterale di un’operazione per la sicurezza israeliana.
Per questo motivo, “l’avvocato generale militare ha ritenuto che, nelle circostanze del caso, non vi sia alcun sospetto di reato che giustifichi l’apertura di un’indagine della polizia militare”. Il caso è chiuso per l’IDF, che esprime le sue condoglianze alla famiglia di Abu Akleh.
Il commento dei familiari di Abu Akleh all’indagine dell’IDF non si è fatto attendere. “Come previsto, Israele ha rifiutato di assumersi la responsabilità dell’omicidio di Shireen”, hanno dichiarato lunedì stesso, “La nostra famiglia non è sorpresa da questo risultato poiché è ovvio per chiunque che i criminali di guerra israeliani non possano indagare sui propri crimini”. Per questo, i familiari della reporter annunciano che non si fermeranno di fronte a questo “tentativo di Israele di nascondere la verità”.
La famiglia della reporter, insieme all’emittente di notizie Al Jazeera per la quale lavorava da oltre 25 anni, aveva già riferito il caso alla Corte Penale Internazionale.
Anche l’ANP ha commentato l’indagine ufficiale dell’IDF. Nabil Abu Rudeineh, portavoce del leader palestinese Mahmoud Abbas, ha bollato l’inchiesta come un “nuovo tentativo israeliano di evadere ogni responsabilità per l’omicidio”.
L’omicidio di Shireen Abu Akleh aveva scatenato forti proteste in Palestina, dove era un volto noto, una delle giornaliste di punta della tv palestinese. Severe erano state le condanne dell’opinione pubblica, colpita dall’omicidio a sangue freddo di una reporter uccisa mentre svolgeva il suo lavoro. Già prima di quest’ultima inchiesta delle autorità israeliane, tuttavia, la speranza in una sentenza che inchiodasse gli autori dell’assassinio era già stata smorzata dall’intiepidirsi dell’interesse internazionale nella faccenda. In particolare, gli Stati Uniti, che avevano inizialmente reclamato un’indagine “credibile e indipendente” sull’episodio, avevano successivamente ammorbidito la loro posizione. Anche negli USA, infatti, il proiettile era stato sottoposto a un’indagine balistica, e il 4 luglio il Dipartimento di Stato Americano aveva dichiarato l’impossibilità di “giungere a una conclusione definitiva circa l’origine della pallottola che ha ucciso la giornalista americano-palestinese”. Un responso molto simile a quanto stabilito dall’IDF il 5 settembre.
Abu Akleh sarebbe per il momento una vittima del fuoco incrociato, nonostante la sua famiglia continui a chiedere giustizia. Il suo nome, secondo il sindacato dei giornalisti palestinese, si aggiunge a quello di almeno altri 45 giornalisti uccisi a Gaza e in Cisgiordania da parte di Israele dal 2000 ad oggi. Pagine Esteri