di Michele Giorgio

(questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto)

Pagine Esteri, 28 luglio 2023 – Nel 1997 la giovane, brava e famosa Sinéad O’Connor avrebbe dovuto esibirsi a Gerusalemme in un festival organizzato da donne israeliane e palestinesi dal titolo «Due Capitali, Due Stati». La musicista e cantante irlandese fu costretta a rinunciare al concerto per le minacce di morte giunte dall’Ideological Front, organizzazione guidata da un giovane israeliano, Itamar Ben Gvir. «Gruppi ebraici di destra hanno minacciato di uccidere me e la mia band. Non sono disposta a morire per le stronzate di qualcun altro, né sono disposta a mettere a rischio la mia band, quindi non siamo andati», spiegò O’Connor. Ben Gvir non si assunse la responsabilità delle minacce. Però alla radio israeliana si vantò di aver causato in qualche modo la cancellazione del concerto, parte di un evento che, spiegò, considerava un attacco al controllo di Israele sull’intera Gerusalemme, anche della zona araba rivendicata dai palestinesi come capitale del loro futuro Stato indipendente. O’Connor reagì affidando alla Associated Press un comunicato in cui accusava Ben Gvir di «non aver combinato nulla di buono nella vita» e lo ammoniva dicendogli che «Dio non premia coloro che portano il terrore ai bambini del mondo».

L’articolo pubblicato nel 1997 dal quotidiano Haaretz sulla polemica tra Ben Gvir e O’Connor

Mercoledì l’artista irlandese che ha fatto cantare al mondo intero Nothing Compares 2 U è morta lasciando sgomenti i suoi tanti fan. Invece l’estremista Itamar Ben Gvir, sconosciuto ventisei anni fa, oggi è il ministro della Sicurezza nazionale, uno degli incarichi più rilevanti del governo dello Stato ebraico. Ieri mattina, incurante anche dalle rassicurazioni date dal presidente israeliano Herzog sul rispetto dello status quo dei luoghi santi di Gerusalemme, Ben Gvir è di nuovo entrato sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme in occasione del Tisha B’Av, il giorno che commemora la distruzione del Tempio ebraico. Questa è la terza «visita» di Ben-Gvir al sito da quando il premier Benyamin Netanyahu ha vinto le elezioni lo scorso novembre.

E come le altre non ha avuto motivazioni turistiche. «Questo il luogo più importante per il popolo di Israele. Dobbiamo tornare e mostrare la nostra autorità…In questo giorno, in questo luogo, dobbiamo ricordare che siamo tutti fratelli. Siamo le stesse persone. Quando un terrorista guarda fuori dalla finestra, non può distinguerci» ha detto il ministro – descritto come un suprematista anche da tanti israeliani – in riferimento alle proteste di massa, l’ultima ieri sera, in corso in Israele contro la riforma giudiziaria voluta dal governo di estrema destra religiosa al potere. Qualche ora prima delle rivendicazioni di Ben Gvir sulla Spianata delle moschee (ritenuta dalla tradizione ebraica il luogo dove sorgeva il Tempio), un ragazzo palestinese di 14 anni, Faris Abu Samra, è ucciso durante uno scontro a fuoco innescato da un raid dell’esercito israeliano nella città di Qalqiliya (Cisgiordania). Sale a 202 il numero dei palestinesi uccisi quest’anno da soldati e coloni israeliani, 37 dei quali adolescenti e bambini e 11 donne. Una trentina sono gli israeliani uccisi da palestinesi.

Alla passeggiata di Ben Gvir hanno partecipato il deputato del Likud Amit Halevi, il ministro dello sviluppo del Negev e della Galilea Yitzhak Wasserlauf e il rabbino Shimshon Elboim, del gruppo «Monte del Tempio». Dura la protesta del ministero degli esteri palestinese: «Il governo israeliano sostiene ufficialmente raid e aggressioni contro la moschea di Al Aqsa e i tentativi di cambiare lo status quo… Netanyahu ha la responsabilità diretta di questa provocazione». Proteste sono giunte anche da Giordania, Egitto e Stati uniti. Per rappresaglia un gruppo affiliato ad Hamas ha rivendicato il lancio di un razzo artificiale da Jenin verso una colonia israeliana. Pagine Esteri