di Marco Santopadre*
Pagine Esteri, 4 settembre 2023 – Nel “continente nero” si susseguono i colpi di stato. L’ultima ribellione militare si è verificata in Gabon il 30 agosto, e un mese prima – il 26 luglio – era toccato al Niger. Negli ultimi due anni i militari hanno preso il potere anche in Mali, Guinea e Burkina Faso, ma se allarghiamo lo sguardo agli ultimi quattro anni occorre aggiungere anche la Repubblica Centrafricana, la Guinea Bissau, la Mauritania, il Madagascar, il Ciad, il Sudan e lo Zimbabwe.
L’area di maggior instabilità sembra essere quella dell’Africa Centro-Occidentale e del Sahel. Alcuni cambi di regime hanno ricevuto inizialmente scarsa attenzione mediatica e politica, con i media e l’opinione pubblica concentrati sul conflitto in Ucraina. La stessa Unione Europea è stata colta di sorpresa dal putsch in Niger; solo pochi giorni prima, ad inizio luglio, il capo della diplomazia europea Josep Borrell si era recato nel paese definendolo «un partner essenziale di Bruxelles». A marzo Emmanuel Macron aveva invece visitato il Gabon.
Ma a partire dal golpe in Niger che ha spodestato il presidente Mohamed Bazoum, l’attenzione in Europa su quanto accade nelle ex colonie sta aumentando, anche perché è sempre più evidente la crisi della tradizionale area di influenza francese e l’aumento dell’egemonia nell’area di nuove potenze.
Per quanto le dichiarazioni di condanna dei regime change degli esponenti politici europei si accentrino sul carattere violento e antidemocratico degli interventi militari contro i governi “legittimi”, sono soprattutto gli interessi in gioco (economici, geopolitici e militari) a guidare le prese di posizione dell’Unione Europea.
La crisi del neocolonialismo francese
A cadere sotto i colpi delle ribellioni degli eserciti locali sono stati, in genere, governi corrotti e dispotici – per quanto a volte espressione di meccanismi elettorali – frutto della collaborazione e del sostegno di Parigi e di Bruxelles, che in cambio hanno a lungo goduto del monopolio dello sfruttamento di strategiche risorse naturali, in particolare minerarie. In cambio le potenze occidentali hanno fornito ai regimi locali sostegno politico, economico e militare, chiudendo uno o anche entrambi gli occhi di fronte ai sistematici abusi contro la popolazione in generale e le minoranze politiche, etniche o religiose in particolare. Il caso del Gabon, è paradigmatico: a essere rimosso dal potere è stato infatti un presidente – Ali Bongo – rappresentante di una dinastia al potere da più di mezzo secolo.
La Francia, potenza neocoloniale egemone, è tornata prepotentemente nei paesi dell’Africa Centro-Occidentale e del Sahel nel 2014, grazie alle consistenti missioni militari concordate con i regimi locali contro l’insorgenza jihadista. I risultati sono stati spesso scarsi, e il contrasto alle organizzazioni legate al Al Qaeda o a Daesh ha spesso provocato un aggravamento della repressione politica e religiosa, abusi e stragi, con le truppe di Parigi e di altri paesi europei più interessate a puntellare i regimi locali e a difendere gli interessi delle proprie aziende accorse a sfruttare i territori interessati che a perorare cambiamenti di natura democratica.
La françafrique va in pezzi?
A distanza di quasi dieci anni, l’area di influenza francese – la cosiddetta françafrique – non solo è entrata in crisi, ma sembra andare letteralmente in pezzi sull’onda di ribellioni militari spesso sostenute da consistenti fette della popolazione che mettono in discussione il primato e gli interessi di Parigi. In alcuni paesi dell’area la contestazione nei confronti della Francia è arrivata fino ad una interruzione di fatto delle relazioni diplomatiche, con l’espulsione degli ambasciatori e il ritiro da alcuni territori dei contingenti francesi.