di Massimo D’Angelo – 

Pagine Esteri, 20 ottobre 2023. Nel 2023 l’Argentina festeggia 40 anni ininterrotti di democrazia. È il periodo più lungo nella storia del Paese da quando è caduto l’ultimo regime militare, dopo la disastrosa guerra delle Falkland/Malvinas nel 1982. La democrazia ha resistito anche alla devastante crisi economica del 2001, che ha visto cinque Presidenti della Repubblica succedersi in soli 11 giorni. Sicuramente un ottimo motivo di cui essere orgogliosi. Tuttavia, domenica 22 ottobre le argentine e gli argentini si recheranno a votare per scegliere il nuovo – o la nuova – presidente della Repubblica, e molti temono che i festeggiamenti per i successi democratici possano essere rovinati dalla vittoria del favorito Javier Milei, almeno al primo turno.

Il sistema elettorale del Paese prevede che prima delle presidenziali si tengano le Primarie Aperte Simultanee Obbligatorie (PASO), attraverso le quali le coalizioni politiche scelgono la propria classe dirigente. Il 13 agosto 2023, gli argentini hanno votato alle primarie che hanno visto affermarsi l’attuale Ministro dell’Economia Sergio Massa per la coalizione peronista progressista; la securitaria Patrizia Bullrich, ex Ministra della Sicurezza nel governo di centro destra guidato da Mauricio Macri (2015-2019) e Javier Milei, outsider, economista libertario di estrema destra, alla guida di un partito populista personalistico, che si è imposto come la vera sorpresa di questo ciclo elettorale.

Le elezioni si celebreranno nel mezzo dell’ennesimo momento delicato per l’economia del Paese: a febbraio 2023 l’inflazione ha raggiunto il 102,5% e i prezzi di molti beni di consumo sono raddoppiati dal 2022. Inoltre, non appena il governo ha imposto un tetto ai prezzi dei principali generi alimentari per controllarne la crescita, le difficoltà economiche e la povertà sono esplose. Tra i vari problemi, c’è stata anche un’impennata del 20% dei prezzi della carne che ha contribuito alla crisi dell’importantissimo settore alimentare. Così a marzo, a causa delle continue pressioni economiche, il Fondo Monetario Internazionale ha approvato un salvataggio di 6 miliardi di dollari, come parte di un più ampio pacchetto da 44 miliardi. Questa situazione ha contribuito ad approfondire le divisioni nel Paese, in una delle nazioni già da tempo più polarizzate al mondo. Ma ciò che più ha sorpreso di questa tornata elettorale, è il fatto che nessuno dei principali leader politici abbia voluto candidarsi alla presidenza, forse proprio a causa della delicatissima situazione economico finanziaria.

I leader politici fuggono

Il primo a tirarsi fuori è stato l’attuale presidente Alberto Fernández, della coalizione peronista progressista. Fernández si è ritirato dopo i risultati fallimentari della propria politica economica, del calo dei consensi e dei conflitti all’interno della sua stessa coalizione. Altre sfide che hanno caratterizzato l’intera sua presidenza sono state l’aumento della povertà e l’impennata dell’inflazione. Inoltre, il mandato di Fernández è stato segnato dai profondi contrasti con la sua vicepresidente, già presidente (2007-2015) Cristina Fernández de Kirchner. Kirchner, da molti riconosciuta come la vera leader della coalizione, è stata condannata a sei anni di carcere per corruzione. Anche lei ha scelto di non candidarsi, evitando di essere coinvolta in quello che ha definito un “gioco perverso” e una “facciata democratica” che avrebbe potuto portare alla sua estromissione dalla vita pubblica per mano giudiziaria. Infine, l’ex presidente della coalizione conservatrice 2015-2019 Mauricio Macri, che in passato era riuscito a sconfiggere i peronisti, ha deciso di non correre, promettendo invece di lavorare per facilitare la creazione di una forte coalizione di centro destra. Il fatto che le maggiori figure politiche delle coalizioni storiche principali si siano fatte da parte ha senza dubbio aiutato figure politiche meno conosciute di emergere all’interno dell’agone politico, facilitate dalla difficilissima congiuntura politica che il paese sta attraversando.

Chi è Javier Milei?

Javier Milei è un economista di 53 anni che in passato ha anche lavorato per il World Economic Forum. Si è subito affermato come politico la cui visione libertaria di estrema destra si è fatta strada in modo significativo nel panorama politico argentino. Nel 2019, Milei ha fondato il suo partito, La Libertad Avanza. Superando ogni aspettativa, alle primarie di agosto 2023 si è assicurato il 30% dei voti, arrivando primo. Milei si è posizionato politicamente tra la coalizione di centro-destra guidata da Patricia Bullrich, che ha ottenuto il 28,27% dei voti, e il partito peronista di Sergio Massa, che ha ottenuto il 27,27%.

Milei si è detto favorevole all’abolizione della banca centrale, alla totale dollarizzazione del Paese (per quanto i critici sostengano che il paese non disponga di sufficienti riserve di dollari), e a politiche controverse come la legalizzazione della vendita di organi umani. Inoltre, è contrario all’aborto, da poco legalizzato nel paese. Gli analisti individuano nel suo carisma anticonvenzionale e nella sua promessa di totale cambiamento la ragione del suo successo presso l’elettorato in difficoltà sociale ed economica.

Nonostante la sua formazione universitaria e professionale degna della migliore classe dirigente, Milei si presenta come l’underdog della politica argentina. E condivide molti dei tratti tipici dei leader populisti di tutto il mondo, tra cui la fortissima retorica anti-establishment (spesso parla di ‘casta’). I suoi slogan recitano frasi del tipo: “abbiamo avuto 40 anni di fallimenti, non ditemi che questa volta sarà diverso”. Oppure che “il problema centrale è che la soluzione del problema è nelle mani dello stesso problema, cioè dei politici”.

I paragoni con Trump o con il più vicino Bolsonaro abbondano. Ma il confronto più azzeccato a Milei, in realtà, appare quello con l’attuale candidato repubblicano statunitense Ron De Santis, il quale ha studiato in prestigiose università americane e ha indirizzato la sua traiettoria politica utilizzando una fortissima narrativa anti-establishment, anti woke e contro il politicamente corretto. Infatti, come è spesso tipico, i populisti contemporanei provengono dalle classi sociali mainstream, ma ritengono fondamentale proiettare un’immagine distinta da quello che è il corrotto e avido establishment.

Sebastián Mazzuca della Johns Hopkins University concorda sul fatto che gli analisti dovrebbero evitare di saltare a conclusioni affrettate quando confrontano Javier Milei con altri leader regionali. Sebbene sia vero che Milei segue il percorso consolidato di molti leader populisti in tutto il mondo, ci sono delle differenze notevoli. Innanzitutto, Milei ha fondato il suo partito personale non appoggiandosi ad apparati già esistenti. Inoltre, a differenza ad esempio di Trump, Milei è un economista esperto. Tuttavia, sebbene capisca forse ‘troppo’ di economia, dovrebbe imparare rapidamente a tradurre questa conoscenza teorica in programmi politici pratici fattibili. Infine, e soprattutto, Mazzuca fa notare come la follia di Trump del 6 gennaio si sia scontrata con le solide istituzioni indipendenti statunitensi di lunga tradizione: burocrazie civili e militari, informatori di ogni genere e colore e, soprattutto, giustizia. L’Argentina, al contrario, è dominata da un debole Stato patrimoniale. Pertanto, la resistenza istituzionale all’irrazionalità trumpiana sarebbe meno robusta e ciò potrebbe portare a conseguenze allarmanti.

Quale scenario?

L’inaspettata ascesa di Milei alle primarie ha travolto il panorama politico argentino. Il risultato inatteso potrebbe influenzare in modo significativo le prossime elezioni presidenziali di ottobre. Tuttavia, molti analisti ritengono che l’esiguo margine tra le tre fazioni principali renda difficile prevedere un qualsiasi vincitore. Ciò che è probabile, è che se nessuno Milei non riuscisse a ottenere il 45% dei voti al primo turno, allora si passerebbe a un ballottaggio, nel quale le possibilità di coalizzarsi tutti contro l’outsider potrebbero risultare vincenti. Ciò che è certo, è che nel pieno delle difficoltà economiche e l’aumento dello scontro politico, l’elettorato argentino ha lanciato un avvertimento forte alle élites al potere. L’aspetto più evidente rimane il fallimento del modello a due coalizioni, ormai stanco, nel rivitalizzare il panorama politico argentino. Il peronismo rimane legato a Cristina Kirchner, mentre la coalizione di destra è priva di una leadership efficace dopo Macri. La decisione della leadership principale di non concorrere alla presidenza ha spianato la strada a Milei.