di Massimo D’Angelo

Pagine Esteri, 24 ottobre 2023. Alla fine, il candidato ultraliberista di estrema destra, Javier Milei, non è riuscito a vincere al primo turno delle elezioni presidenziali argentine del 22 ottobre, contrariamente alle aspettative o alle preoccupazioni di molti. Non solo, Milei non è neppure riuscito a ottenere il primo posto. Infatti, nessuno dei candidati è riuscito a superare il 40% dei voti, quindi si procederà al ballottaggio. Inaspettatamente però l’attuale ministro delle Finanze Sergio Massa, a capo della coalizione progressista peronista, ha sconfitto il suo avversario. Massa ha vinto il primo turno delle elezioni argentine con il 36,7% dei voti e sfiderà l’ultraconservatore Javier Milei (30%) per la presidenza. La conservatrice Patricia Bullrich (23,8%) è stata sconfitta, con un’affluenza del 74% dell’elettorato.

La prima sorpresa è stato appunto il rovesciamento totale dei risultati delle primarie di agosto, quando Milei era arrivato al primo posto con il 30 percento, Bullrich seconda con il 28,27 e Massa ultimo con il 27,27 percento dei voti. I risultati di domenica scorsa dimostrano fondamentalmente due cose: innanzitutto, le folli promesse elettorali di Milei possono aver avuto l’effetto non tanto di galvanizzare gli indecisi, quanto quello di spaventare gli elettori e le elettrici: Milei ha perso voti, rispetto alle primarie, tanto al nord (dove ci sono le regioni più povere del paese) quanto al sud, da tempo feudo della famiglia Kirchner e del Partito Giustizialista.

Un altro dato interessante che è emerso è la persistente forza del peronismo nel paese: in effetti, il partito è riuscito a recuperare voti praticamente ovunque: delle 24 province argentine, Sergio Massa ha recuperato sensibilmente dappertutto, con la sola eccezione della piccola provincia di Catamarca al confine settentrionale con il Cile. Diversamente, la conservatrice Bullrich ha perso consenso in tutte le province del paese. Secondo l’analista politica Di Marco, che scrive per uno dei quotidiani più letti in Argentina, il conservatore La Nación, il peronismo si conferma ancora una volta la principale religione del paese. Dall’altra parte, secondo il quotidiano progressista Página 12, a premiare la coalizione di governo è stata la profonda conoscenza delle periferie, l’attenzione – diversamente da quanto fatto dal governo conservatore di Macri – verso i segmenti più svantaggiati della popolazione.

La vittoria di Sergio Massa, l’attuale Ministro dell’Economia di un paese con un’inflazione al 130 percento, mette in evidenza il notevole potere del peronismo o dell’apparato, come viene comunemente definito dagli argentini. Tuttavia, questo successo rappresenta anche la principale sfida del candidato progressista. Il peronismo, che oggi è evoluto nell’attuale Kirchnerismo, ha governato il paese per sedici degli ultimi venti anni. Sebbene abbia contribuito al recupero di un paese devastato dalla crisi economica del 2001, è stato spesso oggetto di critiche per il suo potere sconfinato e le accuse di corruzione. La persecuzione giudiziaria subita dalla leader e attuale vicepresidente, Cristina Kirchner, unita alla sua retorica spesso incendiaria, ha alimentato la polarizzazione politica. Milei, dunque, avrà gioco facile a chiamare a raccolta tutti coloro che nel paese non si riconoscono nel kirchnerismo e nel peronismo. Questo è quello che ha iniziato a fare già nelle primissime ore dopo la chiusura dei seggi e quando si era ormai certi di andare al ballottaggio. L’appello agli elettori di Bullrich potrebbe certamente far presa.

È importante sottolineare che Massa non è un alleato incondizionato di Cristina Kirchner e nel corso degli anni è riuscito a mantenere una certa distanza da lei. In effetti, la sua scelta come principale candidato è stata vista come un punto di convergenza tra le diverse fazioni del Partido Justicialista peronista, sia quelle più vicine a Kirchner che quelle a lei più ostili. Inoltre, secondo alcuni analisti, ci sono due considerazioni principali che potrebbero facilitare il suo successo. In primo luogo, ci sono i voti dell’estrema sinistra che si è presentata con due candidati indipendenti al primo turno e che è improbabile possano sostenere le proposte di Milei. Questi voti rappresentano circa due milioni e mezzo di elettori. In secondo luogo, secondo l’analista Alfredo Serrano Mancilla del Centro Estratégico Latinoamericano de Geopolítica (CELAG), quando un candidato subisce una sconfitta come quella vissuta da Milei al primo turno, è difficile che riesca a cambiare la narrativa della sua campagna elettorale e a recuperare terreno. – Pagine Esteri