di Antonella Tarquini – 

Pagine Esteri, 22 novembre 2023

Gli ayatollah hanno paura delle donne

Non solo di quelle che continuano a sfidarli scendendo quasi quotidianamente in piazza e si tolgono il velo da quando Masha Amini, la 22enne arrestata il 13 settembre 2022 dalla «polizia morale» perché il suo velo non copriva bene i capelli è morta in prigione per le violenze dei carcerieri. Ma anche di quelle colpevoli di seguire la religione monoteista bah’ai, proibita dalla Tehran sciita che la considera eretica. Anch’esse, come Masha e le tante ragazze che hanno subito la stessa sorte, sono ormai simbolo della violenza contro le donne sotto la Repubblica islamica. Le donne sono infatti al centro dell’ennesima campagna di repressione dei bah’ai d’Iran. Nei giorni scorsi cinque anziane tra i 70 e i 90 anni di Hamadan sono finite in carcere malgrado una sia affetta da Alzheimer, altre diciannove sono state arrestate a Isfahan, Karaj, Yazd. “Una campagna al femminile” marcata da arresti e interrogatori di una violenza molto più forte che in passato, afferma Hamdam Nadafi, portavoce dei bah’ai di Francia. Alcune sono malate, private delle visite dei familiari come altre decine di bah’ai che scontano lunghe pene nella sinistra prigione di Evin.

Sono davvero le donne che possono mettere a rischio il regime totalitario dell’ayatollah Khamenei, Guida suprema della rivoluzione? O più semplicemente il clero sciita vuole combattere quel che la fede bah’ai veicola: la parità uomo-donna? Non é superfluo ricordare come alla nascita della religione, a metà dell’800, contribuì una donna, una dei 18 adepti del dignitario religioso, il Bab: la poetessa Tahirih. Di lei si dice che rifiutò di sposare lo Scià dell’epoca, si sa che fece scandalo togliendosi ostentatamente il velo in pubblico, proclamando la libertà e parità dei sessi.

Una persecuzione ininterrotta fin dalla sua nascita

L’arrivo di Khomeini e della sua rivoluzione islamica ha inasprito il calvario della comunità bah’ai, già in atto sotto il regno dei Pahlavi, Reza Scià e Mohammed Reza Scià. Beni confiscati, terre espropriate, case incendiate, cimiteri profanati, arresti arbitrari, torture, oltre 200 «giustiziati» dal 1979, decine gli scomparsi, tra cui nel 1980 i nove membri dell’assemblea collegiale dirigente. E poi il divieto di assumere un bah’ai, il blocco delle pensioni e delle eredità, l’accesso vietato agli studi superiori a meno che nei formulari di ammissione i candidati non si dichiarino musulmani, abiura rifiutata in blocco. Neppure i bambini si salvano: alle elementari (scuola d’obbligo dalla quale non possono essere esclusi) gli insegnanti cercano di far loro rinnegare la religione dei genitori con angherie e umiliazioni di ogni genere. Le incitazioni all’odio sulla stampa e nelle prediche dei mullah in moschea sono all’ordine del giorno, manifesti invitano a boicottare gli «apostati». Risale a Reza Scià il divieto di registrazione dei matrimoni tra bah’ai che per la legge sono concubini, i loro figli illegittimi.

Gli ayatollah fanno di tutto per annientare la pacifica minoranza religiosa, circa 300.000 persone, e indurre all’esilio. Obiettivo confermato dal memorandum scoperto nel 1993 redatto dal Consiglio culturale rivoluzionario e firmato prima di morire (1989) dall’ayatollah Khomeini, in cui si legge che lo sviluppo  e l’evoluzione della comunità bah’ai devono essere bloccati. Nel frattempo pero’ la fede bah’ai ha conquistato piu’ di sei milioni di seguaci in 233 paesi, da 400.000 che erano  agli inizi degli anni ’60: dopo il cristianesimo é la religione geograficamente più diffusa ed é riconosciuta dal Vaticano. Il  sogno di Khomeini di un mondo interamente musulmano, che continua a nutrire la jihad, sembra in pericolo. Tanto piu’ che la campagna mondiale «OurStoryIsOne» lanciata a luglio per commemorare l’esecuzione di dieci donne bah’ai nel 1983 ha suscitato livelli senza precedenti di solidarietà

nella società iraniana, all’interno e nella diaspora. Gli iraniani di tutte le comunità religiose ed etniche si sono uniti per reclamare una società che sia per tutti fondata sull’uguaglianza , la comprensione, la giustizia, proprio mentre gli occhi del mondo sono puntati su Tehran e il suo appoggio ai terroristi di Hamas che hanno attaccato l’odiato stato di Israele.

Le accuse per giustificare gli arresti sono incesto, pedofilia, prostituzione, e spionaggio a favore di Israele  (ridicolo per donne anziane malate o affette da Alzheimer) e attentato alla sicurezza dello stato. Si basano sul fatto che é in Israele, ad Haifa, che sorge il Centro mondiale bah’ai, la sede spirituale ed amministrativa della fede bah’ai. Lo decise il fondatore Baha’u’llah durante i suoi spostamenti in esilio ed oggi il giardino a terrazze é meta di pellegrinaggio dei bah’ai di tutto il mondo.

La nascita della nuova dottrina

Come abbia potuto nascere a metà dell’800, in una Persia sciita e integralista, una dottrina progressista che abolisce il clero, sostiene la giustizia sociale, la parità tra uomo e donna, la tolleranza, la ricerca indipendente della verità anche religiosa, l’esistenza di un solo Dio per tutte le religioni, é tuttora inspiegabile. Inevitabile fu la reazione alla scissione e alla nascita di una fede umanistica cosi rivoluzionaria agli antipodi del fanatismo, ma nulla puo’ giustificare la violenza della repressione odierna. Culla ne fu la città di Shiraz dove nel 1844 Ali Muhammad Shirazi  detto il Bab (la porta, cioè la porta aperta su una nuova era) annuncio’ l’arrivo imminente del  nuovo profeta inviato da Dio in terra, scandalizzando l’islam sciita per il quale l’ultimo profeta é Maometto. Appoggiando il clamoroso gesto della poetessa Tahirih il Bab colpi’ al cuore l’integralismo religioso, pagando con la vita: venne fucilato, i seguaci massacrati, Tahirih strangolata. Morendo, l’ultimo messaggio: «la mia morte non porrà fine alla liberazione delle donne nel mondo, ma ne sarà l’inizio».

Tra scissioni e persecuzioni  e con la morte del Bab il movimento ando’ spegnendosi finche’ Baha’u’llah, (la gloria di Dioi), un nobile di Tehran, raccolse il testimone e si presento’ come l’atteso profeta. Fini’ i suoi giorni in esilio ad Acri in Israele, raccomandando al figlio di far erigere il Centro dei bah’ai ad Haifa, e la tomba del Bab sulle pendici del Monte Carmelo, allora in Palestina. Entrambi parte della lista del patrimonio mondiale dell’Unesco. Lascio’ centinaia di testi in cui promuove la piena parità dei sessi, l’istruzione come bene universale, l’armonia tra religione e scienza, una società senza barriere di razza, credo, classe. Testi che si oppongono ad ogni assolutismo e integralismo  religioso, messaggi moderni che cozzano con l’Islam e sono condannati anche in altri paesi come il Qatar e lo Yemen dove le persecuzioni dei bah’ai sono all’ordine del giorno.

«Un genocidio culturale perpetrato nell’indifferenza generale», dichiarava anni fa l’avvocatessa Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace che pur non essendo bah’ai accetto’ di difendere alcuni dirigenti di questa fede «perché nessuno vuole farlo, per paura di rappresaglie». Ancora una donna a sfidare il clero, che ha portato i riflettori sulla causa bah’ai, contribuendo anche ad indurre molti atenei stranieri a riconoscere i diplomi rilasciati dall’Istituto di insegnamento superiore, organismo creato dai bah’ai per formare i giovani esclusi dalle università iraniane, via internet. Chiuso dalle autorità nel 1998. Pagine Esteri