di Michele Giorgio

(questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre dal quotidiano Il Manifesto)

Pagine Esteri, 29 novembre 2023 – Davanti alle rovine e ai lutti di Gaza e al rilascio di sequestrati israeliani e prigionieri palestinesi avvenuto durante i quattro giorni di tregua, la visita in Israele di Amos Hockstein è passata inevitabilmente in secondo piano. Ufficialmente volto ad evitare una escalation al confine tra Libano e Israele, il viaggio dell’inviato speciale della Casa Bianca per le risorse energetiche – un anno fa Hockstein ha mediato l’accordo sul gas tra Tel Aviv e Beirut – rientra nelle manovre che Usa, Europa e Israele, con l’apporto del Qatar, stanno avendo dietro le quinte per definire il «futuro di Gaza» nel «dopo Hamas». Sebbene la fine politica e sociale auspicata in Occidente del movimento islamico a Gaza resti un obiettivo a dir poco irrealistico.

Hochstein nel suo tour mediorientale in più occasioni ha parlato delle riserve di gas offshore a Gaza come di una fonte di reddito e di indipendenza energetica per i palestinesi. «Mentre marciamo verso un futuro di Gaza che non sia controllato da un’organizzazione terroristica, ma dal popolo palestinese, dobbiamo guardare all’attività economica», ha detto l’inviato Usa in una intervista. «Qui c’è l’opportunità di sviluppare i giacimenti di gas al largo di Gaza (il Gaza Marine, ndr) per conto dei palestinesi», ha detto, aggiungendo che di aver lavorato sulla questione con l’Autorità nazionale palestinese a Ramallah nell’ultimo anno e mezzo. Quindi è arrivato a prevedere che «ci saranno aziende disposte a sviluppare quei giacimenti» e si è detto sicuro «al 100%» che Israele non avrà rivendicazioni «perché quel gas appartiene al popolo palestinese». Tuttavia, le parole di Hockstein vanno interpretate con grande cautela, specie quando si parla della posizione di Israele sul giacimento di gas al largo di Gaza.

Il «Dono di Allah» come definì il giacimento lo scomparso leader palestinese Yasser Arafat potrebbe contenere 32 miliardi di metri cubi di gas e garantire 15 anni di energia a Gaza e Cisgiordania e favorire la costruzione di impianti per la produzione di elettricità senza dover ricorrere a forniture israeliane ed egiziane. Ma dopo oltre due decenni le popolazioni di Gaza e Cisgiordania non hanno potuto beneficiare del Gaza Marine. Il giacimento scoperto nel 2000 dalla British Gas che nel 1999 aveva firmato un accordo di esplorazione di 25 anni con l’Anp che conferiva ai palestinesi la giurisdizione marittima sulle acque che si estendevano a 20 miglia dalla costa di Gaza. All’epoca il governo israeliano approvò la perforazione e la British Gas scavò due pozzi. Poi, con l’inizio della seconda Intifada palestinese, l’apparente atteggiamento conciliante di Israele ebbe fine e i vari governi che si sono succeduti negli ultimi venti anni hanno condizionato lo sfruttamento del gas di Gaza a un ruolo di primo piano delle compagnie israeliane e alla esclusione totale di Hamas.

Le pressioni occidentali sull’Anp si sono fatte crescenti – in particolare negli anni in cui l’ex primo ministro laburista Tony Blair è stato il rappresentante del Quartetto in Medio oriente – tanto che, nel 2020, a margine della riunione al Cairo dell’East Mediterranean Gas Forum, il governo di Ramallah si è piegato accettando che l’estrazione e la commercializzazione del gas del Gaza Marine passi per le compagnie israeliane. Una fonte dell’Anp ha spiegato al manifesto che la decisione di cedere fu dettata anche dalla necessità di garantire l’ingresso nelle casse del governo palestinese guidato da Mohammed Shttayeh, notoriamente vuote, di centinaia di milioni di dollari in royalties.

Ora, dopo anni, giungono le dichiarazioni di Hochstein.  Se da un lato dicono gli Stati uniti riconoscono che il Gaza Marine è palestinese, dall’altro continuano a contenere condizioni, come l’uscita di scena completa di Hamas che, ripetono gli analisti, è una illusione dei governi occidentali. Pagine Esteri