ARTICOLO AGGIORNATO IL 12 FEBBRAIO ALLE 19.30
Eliana Riva –
Pagine Esteri, 12 febbraio 2024. Il 6 febbraio 2024 due persone, Emrah Yayla e Pinar Birkoc, un uomo e una ragazza, hanno attaccato, armati, il tribunale di Çaglayan, a Istanbul, morendo poi sotto i colpi delle forze armate.
Secondo fonti della polizia, si tratta di due membri del Partito-Fronte Rivoluzionario di Liberazione del Popolo (in turco Devrimci Halk Kurtuluş Partisi-Cephesi, DHKP-C), una formazione politica marxista-leninista considerata dal governo turco organizzazione terroristica. Nell’azione armata sono rimaste ferite sei persone, tra cui tre agenti di polizia. Uno dei civili coinvolti è morto a causa delle ferite riportate.
A seguito dell’attacco sono state numerose e violente le retate dei servizi di sicurezza turchi, che hanno perquisito 67 diverse abitazioni, comprese case private e sedi di associazioni che si occupano di diritti umani. Anche l’Ufficio legale popolare è stato preso d’assalto e sono stati arrestati quattro avvocati, tutt’ora trattenuti. Nel giro di due giorni sono state più di 90 le persone fermate. A tutte, per 24 ore, è stato vietato consultare i propri legali e non sono state emesse accuse fino al 12 febbraio.
Tra gli arrestati figurano membri dell’associazione TAYAD, partecipata dai parenti dei prigionieri politici detenuti nelle carceri turche. Molti dei membri di Tayad sono persone anziane, che hanno figli, mariti o mogli in prigione, condannati a pene pesanti, a volte con accuse pretestuose.
La polizia ha attaccato e vandalizzato l’Idil Cultural Centre, sede della band musicale Grup Yorum, gruppo da sempre politicamente impegnato.
Tra gli arrestati, Ayten Öztürk, l’oppositrice politica turca che ha denunciato di essere stata sequestrata e torturata per sei mesi dalla polizia segreta. Ayten era agli arresti domiciliari da più di due anni e mezzo, costantemente sorvegliata e perquisita. La polizia non ha concesso che le si staccasse la cavigliera elettronica neanche per il tempo necessario all’operazione chirurgica alla quale è stata lo sottoposta qualche mese fa.
È in attesa della pronuncia della Corte che potrebbe condannarla in via definitiva a due ergastoli con accuse che, secondo i suoi legali e le organizzazioni dei diritti umani, sono un obbrobrio normativo e rappresentano un’arma politica utilizzata per punire le sue denunce di tortura. Durante il raid a casa di Ayten, la polizia ha distrutto armadi, rovesciato librerie e sotto gli occhi di testimoni ha trascinato fuori la prigioniera sui vetri delle finestre rotte.
Tra gli avvocati arrestati, Didem Baydar Unsal, Berrak Çaglar, Seda Saraldi e Betül Vangölü Kozagaçli, ci sono anche i legali che seguono i casi di Ayten.
La Comunità giuridica internazionale, in un comunicato pubblicato l’8 febbraio, ha condannato l’incursione delle forze armate turche nell’Ufficio legale popolare e l’arresto dei membri dell’Associazione degli avvocati progressisti (CHD). Anche loro, come le altre persone arrestate, non hanno potuto incontrare familiari né legali. Né è consentito accedere ai propri fascicoli e dunque conoscere le accuse formulate e le ragioni dell’arresto. Cinque avvocati dell’Ufficio legale popolare sono in carcere ormai da anni. Secondo la Comunità giuridica internazionale, rappresentata da numerose associazioni, fondazioni, enti di diversi Paesi del mondo, gli avvocati sono stati arrestati in quanto si occupano o si sono occupati della difesa di presunti membri e sostenitori del DHKP-C: “questa inaccettabile identificazione degli avvocati con i loro clienti sembra essere anche la ragione dell’attacco del 6 febbraio all’Ufficio legale popolare […] Ricordiamo alle autorità turche che il mondo vi sta osservando”.
Anche il Consiglio Nazionale forense della Turchia ha espresso preoccupazione per gli arresti e chiesto di garantire l’esercizio di diritto alla difesa. Quattordici Organizzazioni internazionali di avvocati e di osservatori per i diritti legali, tra i quali UA Institute for the Rule of Law, The Law Society of England and Wales, International Observatory for Lawyers in Danger (OIAD), Institut des droits de l’Homme du Barreau de BRUXELLES, European Association of Lawyers for Democracy & Human Rights, World Organisation Against Torture (OMCT), FIDH (International Federation for Human Rights) e Giuristi Democratici italiani, hanno chiesto il rilascio immediato e incondizionato degli avvocati.
Nonostante gli appelli, però, le persone arrestate rimarranno in prigione. Forse per molto. Nel pomeriggio di oggi, infatti, la polizia ha reso note le imputazioni, che sono di una gravità estrema: “Tentativo di abolire l’ordine costituzionale con l’uso della forza e della violenza”. Gli inquirenti li stanno accusando di essere complici delle persone che hanno attaccato il parlamento di Istanbul il 6 febbraio. La sezione internazionale dell’Ufficio legale del popolo ha così commentato la decisione delle autorità:
“Questa affermazione non ha alcuna base materiale o giuridica. Si tratta di un’affermazione del tutto immaginaria, astratta e fittizia, non supportata da alcuna prova. I nostri colleghi sono accusati di essere gli autori dell’azione commessa da queste persone perché in passato hanno lavorato come loro avvocati. Non esiste nessun altro motivo materiale o legale che possa indurre i nostri colleghi ad essere associati a questa azione. Per questo motivo non gli è stata posta alcuna domanda in merito all’attacco al tribunale, a parte se conoscevano le persone che hanno commesso l’azione stessa, e non è stata nemmeno menzionata l’esistenza di prove relative al loro rapporto con quell’atto. Il loro arresto in relazione a ciò che è accaduto è il risultato di una decisione politica, non legale. Ciò dimostra che i nostri colleghi vengono puniti per la loro attività professionale con accuse astratte e immaginarie, prive di fondamento materiale o giuridico e non basate su alcuna prova. L’unico e vero motivo della detenzione e dell’arresto dei nostri colleghi è che lavorano come avvocati presso l’Ufficio legale del popolo. E questa situazione costituisce un grave attacco e minaccia contro la professione forense e le attività di difesa”.
L’accusa per Ayten Öztürk è addirittura peggiore. Abbiamo incontrato Ayten solo pochi mesi fa, a novembre, presso la sua abitazione e anche all’interno del tribunale Çaglayan di Istanbul, dove abbiamo assistito all’udienza per una nuova accusa, quella di “propaganda per un’organizzazione terroristica”, formulata in seguito alla pubblicazione di un libro in cui denuncia gli abusi subiti dalla polizia segreta. In quell’occasione, alla presenza di giornalisti e osservatori internazionali, il suo team di avvocati è riuscito a ottenere l’assoluzione. In una lunga intervista rilasciataci, l’Avv. Seda Saraldi, ora in prigione insieme agli altri legali, ci ha parlato dell’inconsistenza delle accuse mosse contro Ayten Öztürk e di come avesse scelto di sostenere legalmente la sua lotta contro la tortura di stato e quella di altre donne vittime di orribili violenze, comprese quelle sessuali.
All’inizio del mese aveva denunciato la decisione del tribunale di non consentirle di effettuare una visita medica di controllo in seguito all’operazione chirurgica di asportazione di alcune masse per la quale è rimasta ricoverata in ospedale diversi giorni. “Esaminando il contenuto della richiesta, considerando l’entità della pena inflitta all’imputato, la richiesta viene respinta”. Queste sono state le motivazioni del tribunale.
Ayten è stata accusata di aver aver organizzato l’attacco al tribunale e di aver dato istruzioni agli autori materiali dell’attentato. L’accanimento giudiziario e le azioni legali nei suoi confronti hanno fatto nascere, negli anni, un movimento di sostegno e protesta che attraversa i confini di numerosi Stati e continenti. Quest’ultima accusa, tuttavia, che secondo gli avvocati non è supportata da alcuna prova, potrebbe rappresentare l’ultimo passaggio necessario per rinchiuderla in prigione a vita e porre fine alla sua battaglia contro la tortura di Stato.
Lo situazione della giustizia in Turchia e le condizioni dei detenuti nelle carceri sono stati oggetto di numerose critiche e denunce da parte di organizzazioni internazionali e delle Nazioni Unite.
Il documentario “La rivoluzione di Ayten”, prodotto da Pagine Esteri, racconta la storia sua storia e quella di atri oppositori e oppositrici politici in Turchia.