di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 26 marzo 2024Desta profonda apprensione a Washington la decisione della giunta militare del Niger di chiedere che le truppe statunitensi presenti nel paese lo abbandonino quanto prima.

Dopo la cacciata delle truppe francesi e la rottura degli accordi con l’Unione Europea, in un messaggio trasmesso il 16 marzo dalla tv pubblica “Rtn” il colonnello Amadou Abdramane – portavoce del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria, insediato dopo il colpo di stato del 26 luglio scorso – ha infatti annunciato la sospensione, «con effetto immediato», della cooperazione militare con gli Stati Uniti. Il portavoce ha definito la presenza militare statunitense “illegale” e “incostituzionale” in quanto basata su un accordo illegittimo, «imposto unilateralmente dagli Stati Uniti tramite una semplice nota verbale» il 6 luglio 2012.

“Ingerenze intollerabili”
La decisione è probabilmente maturata da mesi, ma le autorità di Niamey la giustificano anche come una reazione alle intromissioni di Washington nei suoi affari interni.

Durante una recente visita nel paese di una delegazione statunitense guidata da Molly Phee, assistente segretaria di Stato per gli Affari Africani, accompagnata dal generale Michael Langley, comandante del Comando Usa per l’Africa (Africom), i rappresentanti statunitensi avrebbero minacciato ritorsioni contro Niamey criticando la scelta della giunta golpista di vendere uranio all’Iran e di intrattenere relazioni economiche e militari sempre più privilegiata con Russia e Cina. La tensione era così alta che il generale Abdourahamane Tchiani, a capo della giunta golpista, si è rifiutato di ricevere la delegazione.

Amadou Abdramane

Un duro colpo per Washington
La richiesta di un ritiro completo della propria presenza militare in Niger rappresenta un duro colpo per lo schieramento strategico di Washington nel Sahel, giustificato con la necessità di contrastare il terrorismo jihadista e diretto a frenare l’espansione dell’influenza di Mosca e Pechino nella regione.

Da anni Niamey è al centro delle operazioni statunitensi nell’Africa occidentale e settentrionale, e attualmente nel paese sono dispiegati tra i 650 e i 900 effettivi, dopo il ridimensionamento del contingente deciso a settembre in seguito al golpe.

L’esercito statunitense gestisce nel paese un’importante base aerea (la Base 201, ristrutturata recentemente con una spesa di 100 milioni di dollari) ad Agadez, 920 chilometri a nord-est della capitale Niamey, utilizzata dal 2018 per colpire i combattenti dello Stato islamico e del Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Jnim), affiliato ad al Qaeda. Nella base sono dispiegati due ricognitori, due elicotteri e una decina di droni che permettono all’Africom di controllare l’intero Sahel e la Libia.

La Cedeao ritira le sanzioni
Per evitare di dover abbandonare il paese recentemente la Casa Bianca si era mostrata conciliante con i golpisti. A dicembre l’inviato Usa in Africa aveva affermato che Washington era disponibile a ripristinare gli aiuti finanziari sospesi dopo la deposizione del presidente Mohamed Bazoum.

Inoltre alla fine di febbraio la Comunità Economica dei Paesi dell’Africa Occidentale (Cedeao), che inizialmente aveva iniziato a discutere la possibilità di un intervento militare contro Niamey per “ripristinare la legalità”, ha invece deciso di revocare la maggior parte delle sanzioni commerciali ed economiche imposte al Mali e al Niger (che nel frattempo hanno annunciato di voler abbandonare l’organismo regionale entro il 2025) dopo i rispettivi colpi di stato.

Recentemente la Nigeria si è assicurata un finanziamento di 1,3 miliardi di dollari per completare un progetto ferroviario che collegherà Kano, la più grande città del nord del Paese, a Maradi, in Niger. L’85% dei fondi necessari sarà fornito da un consorzio guidato dalla China Civil Engineering Construction Company (Ccecc), mentre il restante 15% sarà coperto dal governo nigeriano, dall’Africa Export-Import Bank e dalla Banca africana di sviluppo (Afdb).

Il Niger ha già rotto con Francia e Ue
Le mosse di Washington e della Cedeao, però, non sembrano essere servite a molto.
Dopo le richieste della giunta e consistenti manifestazioni popolari, lo scorso 24 settembre il presidente Macron aveva dovuto annunciare il ritiro del continente militare francese presente in Niger, completato poi il 22 dicembre. Un duro colpo per Parigi, che dal 2015 dispiegava in Niger ben 1500 soldati impegnati nel contrasto alle organizzazioni jihadiste.

In seguito, a dicembre, i golpisti hanno sospeso gli accordi di difesa e sicurezza con Bruxelles, revocando in particolare l’accordo stipulato con l’Ue relativo alla missione civile europea denominata Eucap Sahel Niger, attivata nel 2012. La giunta ha anche ritirato il consenso al dispiegamento della Missione di partenariato militare dell’Ue (Eumpm).

Proteste antifrancesi in Niger

Washington prova a negoziare
Ora la Casa Bianca cerca di negoziare con la giunta nigerina nel tentativo di mantenere un minimo di presenza militare nel paese. «Stiamo lavorando per trovare il modo di far rimanere le truppe statunitensi nel paese» ha spiegato nel corso di una conferenza stampa la vice portavoce del Pentagono Sabrina Singh, che si è detta preoccupata per i crescenti legami di Niamey con Russia e Iran. Anche il vice portavoce del dipartimento di Stato, Vedant Patel, ha raccontato di essere in contatto con il Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria per convincerlo a tornare sui suoi passi.

«Questo è il fianco meridionale della Nato. Dobbiamo essere in grado di mantenere l’accesso e l’influenza in tutto il Maghreb, dal Marocco alla Libia» ha detto il generale Langley, sottolineando che nel continente Russia e Cina stanno perseguendo strategie a lungo termine, «cercando di conquistare l’Africa centrale e il Sahel».

La Russia si rafforza
In effetti i legami tra Mosca e altri paesi del Sahel sono sempre più consolidati, soprattutto con il Mali e il Burkina Faso, anch’essi guidati da giunte militari insediate in seguito ad altrettanti golpe.

In Burkina Faso la Federazione Russa ha già schierato centinaia di militari dell’Africa Corps – l’entità che ha preso il posto della Compagnia militare privata “Wagner” dopo la morte di Yevgeny Prigozhin – mentre un migliaio di combattenti russi sta supportando l’esercito del Mali contro i jihadisti. Inoltre a novembre i golpisti di Bamako hanno firmato un accordo con Mosca che include la realizzazione di una raffineria d’oro.

Con i due paesi dell’area il Niger sta costruendo un’alleanza regionale di tipo militare ed economico – si parla addirittura del varo di una moneta unica – ed a dicembre a Niamey è arrivato il viceministro della Difesa russo, Junus-bek Yevkurov, che con la giunta locale ha firmato un accordo di cooperazione militare.

Rimangono gli italiani
Se dovesse essere confermata la partenza delle truppe di Washington, nel paese resterebbe solo il contingente italiano inviato in Niger nell’ambito della “Missione bilaterale di supporto” (Misin). La missione italiana conta attualmente su 350 militari e 13 mezzi terrestri e la sua area di intervento si estende fino alla Mauritania, alla Nigeria e al Benin. Il contingente è dislocato dal giugno del 2022 in un’area all’interno dell’aeroporto di Niamey ed ora, ammesso che la giunta nigerina non cacci anche il Misin resterebbe l’unica forza militare occidentale nel paese.

Per ora i rapporti con i golpisti sarebbero ottimi: il 9 marzo una delegazione italiana guidata dal generale Figliuolo e dal segretario generale della Farnesina, Riccardo Guariglia, ha concordato il riavvio dei corsi formativi a favore dell’esercito e della polizia nigerini.

Intanto l’insorgenza jihadista continua a colpire duramente. Venerdì scorso 23 militari di Niamey sono stati uccisi nel corso di un’imboscata, poi rivendicata dallo Stato Islamico, avvenuta nelle regioni occidentali del paese, vicino al confine con il Burkina Faso e il Mali. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, El Salto Diario e Berria