di Marco Santopadre

Pagine Esteri, 27 settembre 2023 – Dopo mesi di braccio di ferro seguiti al golpe militare del 26 luglio scorso, Emmanuel Macron ha ammesso che la «Françafrique è morta» annunciato il celere rimpatrio dell’ambasciatore di Parigi in Niger, Sylvain Itté, e il ritiro delle truppe francesi dal paese entro la fine del 2023.
La mossa arriva dopo che per diverse settimane l’Eliseo aveva rifiutato di richiamare il suo rappresentante diplomatico a Niamey nonostante l’esplicita richiesta da parte dei golpisti e il boicottaggio dell’ambasciata, presa di mira dai manifestanti e oggetto del distacco delle utenze da parte delle nuove autorità del paese. Da quasi un mese la sede diplomatica francese è circondata dalle forze di sicurezza nigerine e l’ambasciatore, al quale Niamey ha ritirato l’immunità, non è in grado di muoversi liberamente.
«Mettiamo fine alla nostra cooperazione militare con le autorità de facto del Niger, perché non vogliono più lottare contro il terrorismo» ha spiegato Macron annunciando il ritiro dei 1.500 soldati francesi dispiegati finora nel paese.

La «Françafrique è morta»
Finora il Niger ha rappresentato il perno della presenza militare francese nel Sahel, dopo la partenza forzata delle truppe di Parigi dal Mali nell’agosto del 2022 a seguito di un colpo di stato, che ha posto fine all’operazione Barkhane (a sua volta succeduta all’operazione Serval lanciata nel 2013). All’inizio di quest’anno, poi, anche la Saber Force – forze speciali francesi operative a Ouagadougou da 15 anni – ha dovuto abbandonare il Burkina Faso dopo la presa del potere da parte di una giunta militare ostile alla Francia.
Dopo dieci anni di operazioni militari nel Sahel, giustificate dall’esigenza di contrastare l’insorgenza jihadista, nel Sahel Parigi manterrà una presenza militare soltanto in Ciad, dove si trovano circa 1.000 soldati (qui il figlio di Idriss Déby ha preso il potere al posto del padre violando la Costituzione col consenso di Parigi…). Nel resto dell’Africa Parigi manterrà anche 900 militari in Costa d’Avorio, 1400 a Gibuti, 350 in Senegal e 400 in Gabon, ma il ritiro dal Niger conferma il rapido e conclamato declino dell’influenza francese in un’area del continente dove si stanno affermando delle potenze concorrenti. Dopo il golpe, in particolare il Mali ha avviato una collaborazione militare con Mosca e ha accolto un contingente della Wagner, presente anche nella Repubblica Centrafricana e in Cirenaica (Libia).

Ovviamente l’annuncio di Macron è stato accolto con entusiasmo dai golpisti di Niamey: «celebriamo il nuovo passo verso la sovranità del Niger. È un momento storico che testimonia la determinazione e la volontà del popolo nigerino» ha affermato la giunta militare in un comunicato. Per il cosiddetto “Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria” «tutte le persone, le istituzioni o le strutture che costituiscono una minaccia per gli interessi e i progetti del Paese devono abbandonare» il Niger, «le forze imperialiste e neocolonialiste non sono più le benvenute».
Il ritiro dell’ambasciatore e del contingente militare francese da Niamey rappresentano una cocente sconfitta per Macron, che finora aveva tenuto il punto affermando di non riconoscere la legittimità delle autorità nigerine salite al potere con il golpe di fine luglio, insistendo sul fatto che il deposto presidente Mohamed Bazoum fosse il suo unico interlocutore.

Il contingente francese è dispiegato in tre basi: la principale è quella di Niamey – dove sono presenti anche 250 militari italiani – e altre truppe di Parigi sono presenti a Ouallam (a nord della capitale) e ad Ayorou,vicino alla frontiera con il Mali. Nelle basi sono dispiegati anche numerosi aerei da combattimento Mirage ed elicotteri d’attacco Tiger, oltre a decine di veicoli corazzati e di droni da bombardamento MQ-9 Reaper.


Le giunte golpiste contro l’Ecowas
All’inizio di agosto il governo di transizione nigerino, guidato dal generale Abdourahamane Tchiani, aveva denunciato gli accordi di cooperazione militare con Parigi definendo “illegale” la presenza in Niger dei circa 1.500 soldati francesi. Da allora fuori dalla principale base francese a Niamey si sono svolte partecipate manifestazioni a sostegno della richiesta di ritiro delle truppe di Parigi che in un primo tempo aveva ridotto il contingente aumentando però il numero delle sue truppe in altri paesi africani come Senegal, Costa d’Avorio e Benin.
Una mossa denunciata dal nuovo regime del Niger, secondo il quale Parigi si preparava ad un intervento militare contro Niamey, d’altronde paventato nei giorni immediatamente successivi al golpe ma poi sfumato a favore di una operazione militare per “ristabilire l’ordine costituzionale” da affidare ai paesi riuniti nell’ECOWAS, la Comunità Economica dell’Africa Occidentale. Ma poi anche questa seconda opzione è sfumata, dopo che Washington si è tirata indietro valutando positivamente l’indebolimento del ruolo francese nel continente. Dopo le rassicurazioni ricevute dai golpisti – in particolare dall’ex capo delle Forze Speciali, generale Moussa Salaou Barmou, ora esponente del nuovo regime, formatosi negli Stati Uniti e incaricato delle relazioni con la vice segretaria di Stato Victoria Nuland – Washington ha infatti deciso di mantenere per ora nel paese i suoi 1100 militari, la maggior parte dei quali sono stati però spostati da Niamey ad Agadez.

La giunta militare del Niger ha poi deciso nei giorni scorsi di disdire l’accordo di cooperazione militare esistente con il Benin, accusato da Niamey di aver concesso la propria disponibilità a partecipare ad un intervento armato contro i golpisti per conto di Parigi. Nel frattempo la Nigeria ha tagliato a Niamey le forniture elettriche mentre altri paesi hanno deciso di imporre sanzioni economiche e commerciali.

Niger, Mali e Burkina siglano un’alleanza militare
Per tentare di far fronte alla situazione, le giunte militari di Mali, Niger e Burkina Faso hanno quindi siglato un accordo di mutua difesa per «preservare la sovranità dei tre paesi» e per contrastare l’insorgenza jihadista.
I leader militari dei tre paesi – il colonnello Assimi Goita per Bamako, il generale Omar Tchiani per Niamey e il capitano Ibrahim Traoré per Ouagadougou – hanno firmato un documento articolato in 17 punti secondo il quale «qualsiasi attacco alla sovranità e all’integrità territoriale di una o più parti contraenti sarà considerato un’aggressione contro le altre parti».
Al documento è stato dato il nome di Carta del Liptako-Gourma, la regione in cui si incontrano i confini dei tre Paesi firmatari, nota anche come “zona delle tre frontiere”, al centro negli ultimi anni della violenza dei gruppi fondamentalisti islamici. La cosiddetta “Alleanza degli Stati del Sahel” (Aes) struttura in modo formale il sostegno offerto a Niamey da Mali e Burkina Faso in caso di attacco da parte della Comunità dei Paesi dell’Africa occidentale.
Oltre a impegnare i tre paesi a non attaccarsi a vicenda e a contrastare eventuali ribellioni armate contro i rispettivi governi, il documento prevede anche l’eventuale adesione di altri paesi dell’area. L’obiettivo dell’Alleanza, ha spiegato il “presidente di transizione” maliano Goita, è «istituire una architettura di difesa collettiva e di assistenza reciproca a beneficio delle nostre popolazioni». Il tentativo è quello di unire le forze per far fronte all’espansione delle milizie legate ad al Qaeda o a Daesh una volta espulse le truppe francesi e di altri paesi occidentali.

La firma dell’Alleanza dei Paesi del Sahel

Sforzi comuni contro le ribellioni e i jihadisti
Proprio in questi giorni gli eserciti del Burkina Faso e del Niger stanno compiendo delle operazioni congiunte contro i gruppi jihadisti nell’est del Burkina Faso. L’operazione, in cui sarebbero morti decine di fondamentalisti, è avvenuta una settimana dopo che il parlamento di Ouagadougou ha approvato lo spiegamento di un certo numero di truppe in Niger per combattere la rivolta jihadista lungo il confine tra i due paesi. Nei giorni precedenti l’aviazione del Niger ha realizzato dei raid aerei sulla città di Tamalat, situata nel Mali sud-orientale, contro alcuni miliziani dello Stato Islamico del Grande Sahara (Eigs), organizzazione radicata nell’area di confine.

Effettivamente il paese della nuova alleanza che per ora sembra essere messo peggio è sicuramente il Mali, dove negli ultimi mesi è riesplosa anche la ribellione dei combattenti Tuareg riuniti nella Coalizione dei Movimenti dell’Azawad (Cma). I Tuareg, che nel 2012 avevano proclamato l’indipendenza del nord del paese, accusano ora la giunta golpista di aver violato l’accordo di pace siglato nel 2015 ad Algeri con l’allora governo civile di Bamako e di aver attaccato i territori dove sono insediati i ribelli.

Dal Mali si stanno ritirando in queste settimane, su richiesta della giunta militare al potere, le forze della Missione di Mantenimento della pace delle Nazioni Unite (Minusma), che comprendono anche 900 militari tedeschi, il che rende ancora più gravoso il compito delle forze armate locali. Negli ultimi mesi, infatti, le milizie jihadiste hanno riconquistato in Mali territori consistenti in particolare nel nord: da agosto la città di Timbuktù è assediata dalle milizie del Gruppo di Sostegno dell’Islam e dei Musulmani (JNIM), e i suoi abitanti non possono né abbandonare l’area né ricevere rifornimenti.

Per cercare di frenare questa avanzata, la giunta del Mali sta rafforzando le relazioni con Mosca. Dopo aver ricevuto dalla Russia numerosi caccia, aerei per trasporto truppe ed elicotteri da combattimento, ad agosto i leader di Bamako hanno avuto ben due colloqui con Vladimir Putin. Dopodiché la giunta golpista del Mali ha annunciato il rinvio – per “motivi tecnici” – delle elezioni presidenziali previste per febbraio, che avrebbero dovuto segnare la consegna del potere ai civili. – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta di Roma, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive, tra le altre cose, di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con il Manifesto, Catarsi e Berria.