di Marco Santopadre*

Pagine Esteri, 6 giugno 2024 – «Non sarà esattamente una base militare», spiegava a fine maggio il vicecomandante delle Forze Armate del Sudan (Saf) Yasser Al Atta, riferendosi alle installazioni sulle proprie coste che il governo di Khartoum avrebbe concesso a Mosca.
Ma, al di là delle formule utilizzate, dopo anni di tira e molla la Federazione Russa avrebbe ottenuto dalle autorità sudanesi il permesso di insediare soldati e navi da guerra in un quadrante altamente strategico.

L’accordo tra la Russia e il Sudan, infatti, permetterebbe a Mosca di controllare una delle rotte marittime più battute al mondo, di veder ulteriormente crescere il proprio ruolo in Africa e di bilanciare la presenza militare occidentale nella penisola arabica.

Mosca sbarca sul Mar Rosso
Le indiscrezioni delle scorse settimane sul raggiungimento di un accordo tra Khartoum e Mosca si sono fatte via via più consistenti e dettagliate, accompagnate da un aumento dei contatti tra i rappresentanti politici e militari dei due governi.
All’inizio di giugno Mohamed Siraj, ambasciatore del Sudan in Russia, ha riaffermato l’impegno del suo paese nella costruzione di una base navale russa sul Mar Rosso.

Secondo il quotidiano qatariota “Al Sharq” Russia e Sudan avrebbero in realtà già concluso un accordo formale che prevede la realizzazione di uno snodo logistico militare a Port Sudan, sul Mar Rosso. L’installazione potrebbe ospitare un massimo di 300 soldati russi e di quattro navi da guerra. In cambio, Mosca fornirebbe alle Saf un consistente quantitativo di armi e attrezzature belliche.

L’intesa avrebbe una validità di 25 anni e dovrebbe entrare in vigore subito dopo la firma dell’accordo, annunciato informalmente il 25 maggio da Al Atta. In quell’occasione il vicecomandante dell’esercito di Khartoum aveva anche avvisato che presto una delegazione militare sudanese si sarebbe recata in Russia per chiudere l’accordo.

All’inizio di questa settimana, effettivamente, il vicepresidente del Consiglio Sovrano di Transizione di Khartoum è volato a Mosca per incontrare Vladimir Putin e firmare una serie di accordi con il Cremlino, accompagnato dai ministri sudanesi delle Finanze, delle Miniere e degli Esteri che parteciperanno ad un Forum Economico in corso a San Pietroburgo.

Del progetto il capo del “Consiglio sovrano di transizione” e comandante delle Forze Armate Sudanesi, Abdel Fattah al Burhan, aveva già discusso a febbraio con il ministro degli esteri di Putin, Sergei Lavrov, durante la visita di quest’ultimo a Khartoum, e di nuovo alla fine di aprile con il suo vice Mikhail Bogdanov, a sua volta in visita nel paese africano.

Sergei Lavrov con al Burhan

Una lunga gestazione
La Russia da tempo preme per l’apertura di una base militare sul Mar Rosso, e la proposta era già stata avanzata ad Omar Bashir, il dittatore sudanese poi deposto nel 2019 da una sollevazione popolare. Il governo che prese il posto di Bashir sembrò porre un freno alle mire russe, e il progetto sembrava essere stato definitivamente accantonato dopo il golpe militare condotto nel 2021 da al Burhan e dal generale Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo, poi entrati in conflitto tra di loro e protagonisti di una sanguinosa guerra civile che ha causato decine di migliaia di vittime e una catastrofe umanitaria.

Nel 2022 Dagalo, all’epoca numero due del regime, aveva ripreso la trattativa con Mosca prima di schierare le sue “Forze di supporto rapido” (Rsf) contro le forze governative fedeli ad al Burhan, ottenendo un parziale sostegno da parte della Russia.

Già lo scorso anno però, Mosca ha incrementato i contatti con le autorità di Khartoum ottenendo un pronunciamento favorevole all’apertura di una sua base sulle cose sudanesi da parte del Consiglio Militare del paese. Nell’ultimo anno, contraddistinto dall’esplosione (il 15 aprile del 2023) e poi dall’estensione degli scontri tra le due fazioni sudanesi, Mosca si sarebbe gradualmente avvicinata alle Saf e ad al Burhan, ottenendo il via libera definitivo.

Ora occorre capire se la Russia troncherà del tutto i rapporti con le Forze di Supporto Rapido decidendo di sostenere esclusivamente le Saf o se tenterà invece di riavvicinare le due fazioni in conflitto per garantirsi un contesto di maggiore stabilità.

Nell’ultimo anno, di fatto, Mosca – imitata dall’Iran – ha fornito armi, carburante e supporto militare alle forze di al Burhan mentre i mercenari russi dell’ex compagnia privata Wagner sostenevano i ribelli delle Forze di Supporto Rapido.

Khartoum si avvicina a Niger e Mali
Martedì, inoltre, il Generale Shams al-Din Kabbashi, membro del Consiglio Sovrano e Vice Comandante in Capo delle Forze Armate, accompagnato dal Ministro della Difesa, Generale Yassin Ibrahim, è partito alla volta del Niger e del Mali, due paesi che dopo i rispettivi golpe militari si sono gradualmente avvicinati alla Russia dopo aver troncato le relazioni militari con la Francia e rimesso in discussione i rapporti con gli Stati Uniti.

Mosca corteggia l’Eritrea
Mentre, per diversi motivi, sia l’Egitto sia l’Arabia Saudita non vedono di buon occhio l’accordo tra Mosca e Khartoum, la Russia ha manifestato un evidente interesse per un secondo porto affacciato sul Mar Rosso, quello di Massaua, in Eritrea.

Alla fine di marzo, il capo di stato maggiore di Asmara, Filipos Woldenyohannes, ha accolto nella città portuale una delegazione russa guidata dall’ammiraglio Vladimir Kasatonove, vice comandante in capo della Marina Russa. Pochi giorni prima nel porto di Massaua aveva attraccato la fregata Maresciallo Shaposhnikov, la prima nave da guerra di Mosca a visitare il paese africano.

In un comunicato, l’esecutivo eritreo ha informato che lo scalo della nave militare russa era legato a questioni di tipo commerciale ma secondo varie indiscrezioni i due paesi starebbero intrattenendo fitti colloqui a proposito della concessione alla flotta di Mosca di alcune installazioni nella città. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna, America Latina e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria