di Michele Giorgio*

Pagine Esteri, 15 luglio 2024 – «Questa non è una democrazia, una democrazia non porta avanti vendette». Sanaa Salameh tre mesi fa avrebbe voluto dare un ultimo abbraccio al marito Walid Daqqa morto lo scorso 7 aprile di cancro in prigione. Sino ad oggi non è riuscita neppure a dargli una sepoltura. Il governo Netanyahu ha deciso di non restituire il corpo alla famiglia e di trattenerlo allo scopo di usarlo in uno possibile scambio di prigionieri. Non è una novità. Tuttavia, questa è la prima volta che le autorità non consegnano alla famiglia la salma di un cittadino arabo israeliano, ossia di un palestinese con cittadinanza israeliana, deceduto in carcere. Motivo di questa decisione, hanno fatto sapere il ministero della Sicurezza nazionale, guidato dal leader dell’estrema destra, Itamar Ben Gvir, e il ministero della Difesa di Yoav Gallant, sarebbe il «caso del tutto eccezionale» che rappresenterebbe Daqqa, un prigioniero politico molto noto e stimato tra i palestinesi, quindi una buona «merce di scambio».

«Il 15 luglio la Corte suprema ascolterà di nuovo le spiegazioni del governo, però non ci attendiamo novità positive, crediamo che i giudici concederanno all’esecutivo altro tempo per motivare la sua decisione», dice al manifesto Nadia Daqqa, avvocata della famiglia Daqqa e parente del prigioniero deceduto. «Il punto sul quale battiamo è che Walid era un cittadino israeliano e le autorità stanno commettendo una violazione grave dello stesso principio di cittadinanza», aggiunge l’avvocata, consulente della Ong HaMoked per i diritti umani.

La famiglia aveva chiesto alle autorità carcerarie e ai giudici di liberarlo in quanto malato terminale. Daqqa, peraltro, a dicembre 2022 aveva scontato la condanna a 38 anni di carcere, ma la sua detenzione però è stata prolungata. Originario di Baqa al Gharbiya, città in territorio israeliano, dietro le sbarre era finito nel 1987 con l’accusa di aver fatto parte di una cellula del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (marxista) responsabile del rapimento e dell’uccisione di un soldato. Accusa che lui ha sempre respinto. Negli ultimi anni era divenuto un’icona tra i palestinesi, in Israele e nei Territori occupati, perché prigioniero politico da più tempo in carcere. I suoi testi scritti in detenzione sono stati letti da migliaia di persone. Per le autorità israeliane Daqqa è solo un «terrorista», anche da morto, e sebbene non avesse mai fatto parte di Hamas o di altri gruppi islamisti, è finito al centro di nuovo fronte dell’offensiva a Gaza: la battaglia sui cadaveri.

Israele, che si descrive come uno Stato democratico, ha già adottato da anni la politica di trattenere, come merce di scambio, i corpi di palestinesi, fino a tre mesi fa solo dei Territori occupati di Cisgiordania e Gaza. Non si comporta in modo diverso da Hamas che tiene a Gaza i corpi di soldati – e dopo il 7 ottobre anche di civili israeliani morti – per ottenere la scarcerazione di prigionieri palestinesi. «È senza precedenti che uno Stato in qualsiasi parte del mondo decida di tenere in ostaggio il corpo di un suo cittadino per liberarne un altro», sottolinea Suhad Bishara della Ong Adalah, per i diritti della minoranza araba palestinese in Israele. «I diritti delle famiglie vengono violati; il diritto alla dignità, a seppellire i propri cari, ad avere una tomba da visitare. Questa politica dimostra che Israele tratta i membri della sua minoranza araba come cittadini di seconda classe, che siano vivi o morti».

Non è detto che trattenere la salma di Walid Daqqa porti a risultati concreti per Israele in una trattativa per lo scambio di prigionieri. Gershon Baskin, un attivista israeliano che ha contribuito al rilascio del soldato Gilad Shalit nel 2011 in cambio di oltre mille detenuti palestinesi, spiega che Hamas non è interessato a uno scambio di salme. «I suoi negoziatori – ha detto alla rivista Forward – dicono che i corpi (dei palestinesi) vengono comunque sepolti in Palestina e che le loro anime salgono al cielo perché sono martiri». Baskin definisce la decisione del governo «stupida e malvagia». Pagine Esteri

*Questo articolo è stato pubblicato in origine dal quotidiano Il Manifesto