Pagine Esteri – Il “discorso sullo stato dell’Unione” più lungo degli ultimi decenni. In un’ora e quaranta minuti Donald Trump non si è risparmiato, mettendo in fila i cavalli di battaglia che lo hanno portato alla vittoria e che guidano la sfilza di provvedimenti adottati dal capo della Casa Bianca nelle prime settimane di regno incontrastato.

In un’alternanza di auto-celebrazioni e minacce, il leader repubblicano è tornato per l’ennesima volta sulla necessità di impossessarsi della Groenlandia, indispensabile al rafforzamento degli States sia sul fronte delle risorse sia su quello della conquista di una posizione di prima fila nella corsa ai corridoi e alle riserve artiche.
«Sosteniamo il diritto di scelta del popolo della Groenlandia e siamo pronti ad accoglierla. L’isola sarà più sicura e prospera» con gli Usa, afferma il tycoon. Che poi passa subito ad un altro dei suoi obiettivi: «Ci riprenderemo il canale di Panama».

A furia di minacce – quella di imporre dazi e ritorsioni economiche agli stati che non si piegano, quando non addirittura azioni di tipo militare – Donald Trump sembra inarrestabile e continua a collezionare innegabili successi, uno dei quali riguarda proprio le pretese sul piccolo paese centroamericano dal quale passa una quota consistente dei commerci globali e che garantisce enormi introiti derivanti dai pedaggi.

Ck Hutchison Holdings, un’azienda di Hong Kong, ha deciso di vendere due dei porti che controllano l’ingresso e l’uscita del Canale di Panama, oltre ad altre 41 strutture portuali sparse in 23 diversi paesi (tranne quelli che la società gestisce in Cina).

A comprare le due strategiche installazioni di Balboa e Cristobal sarà il consorzio statunitense guidato dal fondo statunitense di gestione dei risparmi BlackRock, per un totale di 19 miliardi di dollari. Si tratta di una esposizione economica molto relativa per un colosso da 11.500 miliardi di dollari che detiene partecipazioni in un terzo delle aziende statunitensi e che gestisce una quantità di denaro pari al Pil di Italia, Gran Bretagna e Francia messe insieme.

Che la decisione sia stata influenzata o meno dalle continue minacce dell’inquilino della Casa Bianca, l’operazione costituisce un indubbio successo per Trump che ha più volte denunciato quello che ha definito “il controllo cinese” sul Canale, la cui gestione è stata ceduta da Washington al governo locale nel 1999. Ora l’accordo dovrà essere approvato dal governo di Panama, ma difficilmente il piccolo paese potrà opporsi a una tale operazione in presenza di forti e persistenti minacce di rappresaglia da parte del governo statunitense.

Nel febbraio scorso, il segretario di stato americano Marco Rubio ha visitato Panama nel corso del suo primo viaggio all’estero, ottenendo l’impegno da parte del presidente José Raul Mulino ad uscire dalla Belt and Road Initiative, il programma infrastrutturale controllato da Pechino.

L’autorità che amministra il Canale di Panama ha però negato l’informazione, fornita dalla Casa Bianca, secondo cui sarebbero state ridotte le tariffe per il transito delle imbarcazioni statunitensi. La portavoce di Trump, Karoline Leavitt, aveva infatti affermato trionfante che Washington aveva ottenuto per i suoi convogli l’esenzione totale dai pedaggi.


Come se non bastasse Washington, nei giorni scorsi, ha posto le basi per mettere le mani sulla più fiorente industria di microchip (al centro di un durissimo scontro tra USA e Cina) del pianeta, quella di Taiwan.
La principale compagnia biotech dell’isola rivendicata da Pechino, la Tsmc (Taiwan Semiconductor Manufacturing Co), ha infatti annunciato un investimento da ben 100 miliardi di dollari che prevede l’apertura di alcuni impianti di produzione di microchip negli Stati Uniti.

L’investimento si aggiunge ai 65 miliardi già impegnati nel corso dell’amministrazione del democratico Joe Biden. A pieno regime, tra quattro anni, l’azienda taiwanese gestirà sul territorio statunitense una decina di impianti, tra fabbriche dedicate alla realizzazione di semiconduttori e siti di confezionamento di microchip destinati al mercato locale. Washington, come ha fatto notare lo stesso Trump, si assicura così che «i chip per l’intelligenza artificiale più potenti del mondo saranno prodotti proprio qui in America. Senza i semiconduttori non c’è l’economia che alimenta tutto, dall’intelligenza artificiale alle automobili alla manifattura avanzata». I chip, ha detto trionfalmente il presidente americano, saranno realizzati «in fabbriche americane, con competenze americane e lavoro americano», ha detto in una conferenza stampa».

La maggior parte dell’investimento annunciato dalla Tsmc sarà destinata alla costruzione di nuovi impianti di produzione in Arizona, che dovrebbero impiegare almeno 10 mila lavoratori specializzati. Il governo degli Stati Uniti sosterrà l’iniziativa con sovvenzioni di 6,6 miliardi di dollari e prestiti per circa 5 miliardi.

Si tratta di un successo strategico molto importante che, come nel caso precedente, dovrà essere approvato dal governo dell’isola rivendicata dalla Repubblica Popolare Cinese ma che di fatto costituisce uno stato indipendente, da sempre difesa da un imponente schieramento militare di Washington e da ingenti trasferimenti di armi.
Negli ultimi mesi però, analogamente a quanto affermato da Trump in riferimento all’Europa, il leader repubblicano ha affermato che Taiwan dovrebbe pagare per la difesa assicurata dagli Stati Uniti.

Il tycoon è arrivato a minacciare l’isola di ritorsioni – nella fattispecie l’imposizione di dazi del 25% sui microchip esportati negli Usa – nel caso in cui Taipei non avesse acconsentito alle richieste statunitensi di assicurare un trasferimento sul suolo americano di una parte consistente della filiera di progettazione e produzione di semiconduttori. Pagine Esteri