Pagine EsteriInsieme all’Africa, l’Asia Centrale si conferma una delle regioni del pianeta più ambite dalle grandi potenze in competizione.
Pur rimanendo in alcuni casi politicamente ancorate alla Federazione Russa, le repubbliche ex sovietiche dell’area hanno consolidato negli ultimi anni le proprie relazioni economiche e commerciali soprattutto con la Repubblica Popolare Cinese, che da anni aumenta la propria influenza nel quadrante proprio a spese di Mosca.

L’UE si insinua tra Russia e Cina
In questo gioco ha deciso di entrare anche l’Unione Europea alla ricerca di materie prime strategiche e di nuovi mercati. Complessivamente l’Ue rappresenta già il secondo partner commerciale per la regione nonché il principale investitore, con oltre il 40% del totale.

Trainato da gas e petrolio, l’interscambio commerciale tra l’UE il Kazakistan ha raggiunto nel 2024 i 47 miliardi di dollari, e i 6,5 miliardi con l’Uzbekistan. Per la maggior parte, il petrolio kazako viene trasportato in Europa tramite alcuni oleodotti che attraversano la Russia e poi via mare. Astana punta però a deviare i flussi per arrivare ad esportare fino a 20 milioni di tonnellate di petrolio l’anno (contro gli attuali 1,5 milioni) tramite l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan.

Il Kazakistan, inoltre, presenta un vasto potenziale per la generazione di energia solare ed eolica, e potrebbe diventare un fornitore di energia rinnovabile di primissimo piano per l’Europa.

Il vertice UE-Asia Centrale
Per rafforzare ulteriormente la propria posizione, lo scorso 4 aprile l’UE ha organizzato a Samarcanda, in Uzbekistan, un importante vertice con i paesi dell’Asia Centrale nel corso del quale la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa hanno incontrato i leader locali e quelli di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Turkmenistan.

Ad accompagnare le più alte cariche politiche dell’Europa a 27 c’erano Odile Renaud-Basso, presidente della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERD) e una delegazione della Banca Europea per gli Investimenti.

Con i cinque paesi, i rappresentanti europei hanno siglato una nuova partnership strategica promettendo investimenti complessivi per 12 miliardi di euro – di cui 2,5 dedicati al settore minerario – da stanziare nell’ambito del Global Gateway, il progetto varato dall’UE nel 2021 con l’obiettivo di sviluppare nuove infrastrutture nei cosiddetti “paesi in via di sviluppo”, proposto come alternativa alla Belt and Road Initiative, cioè la “Nuova via della seta” di Pechino.

I settori chiave di investimento comprendono l’energia, le industrie chimica, farmaceutica, tessile ed elettrotecnica, la produzione di materiali da costruzione, la lavorazione agricola, l’estrazione e la lavorazione mineraria, nonché la logistica e i trasporti.


Il Corridoio Trans-Caspico
In particolare Bruxelles ha promesso di accelerare la realizzazione del Corridoio di Trasporto Trans-Caspico (TCTC), una rotta commerciale lunga ben 6500 km che dovrebbe collegare la Cina al continente europeo attraversando l’Asia Centrale e il Caucaso ma bypassando la Federazione Russa.

Lo sviluppo delle infrastrutture portuali e ferroviarie che dovrebbero costituire la spina dorsale del Corridoio Trans-Caspico – in grado, a regime, di ridurre i tempi di trasporto delle merci dall’Asia Centrale all’Europa a soli 15 giorni – è in forte ritardo rispetto alla tabella di marcia e i paesi coinvolti sono tornati a chiedere a Bruxelles lo stanziamento immediato di risorse economiche adeguate.

La strategia dell’UE
Per quanto molto relativa, la riuscita del vertice – alcuni governi dell’area hanno espresso dei dubbi sulla capacità europea di dar seguito agli impegni presi – rappresenta comunque un risultato importante per l’UE.

Se da una parte Bruxelles intende frenare l’espansione della Cina (che comunque rappresenta il primo partner economico delle repubbliche dell’Asia Centrale), dall’altra cerca nuove fonti di approvvigionamento energetico e minerario dopo il blocco delle forniture russe seguito all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca, e nuovi mercati per le proprie merci gravate negli Stati Uniti dai dazi imposti da Donald Trump.

Le ambizioni europee non sembrano particolarmente frenate dal fatto che i paesi in questione siano governati da regimi più o meno autoritari e personali.

Energia e terre rare
In cambio di un impulso determinante allo sviluppo del Corridoio Trans-Caspico (che però, in totale, richiede investimenti per almeno 18 miliardi) l’UE potrà avere accesso ai minerali preziosi e alle terre rare, indispensabili per la transizione energetica e tecnologica, di cui i paesi dell’Asia Centrale sono tra i principali produttori del pianeta.

In particolare, l’area possiede il 39% delle riserve note mondiali di manganese, il 30% dei giacimenti di cromo, il 20% di quelli di piombo, il 13% delle riserve di zinco e il 9% di quelle di titanio. Alla vigilia del vertice il Kazakistan, che è già il principale produttore al mondo di uranio, ha annunciato la scoperta di nuovi giacimenti di terre rare per un totale stimato di 20 milioni di tonnellate. Il Tagikistan, invece, vanta grandi riserve di antimonio.

Bruxelles ha firmato una dichiarazione d’intenti con l’Uzbekistan ed ha annunciato l’apertura di un ufficio regionale della BEI a Tashkent, la capitale del paese che ha ospitato il vertice. Nel suo intervento introduttivo alla conferenza, Von der Leyen ha promesso che gli europei non mirano esclusivamente a sfruttare le risorse locali – riferendosi evidentemente ai propri competitori – ma sono disponibili a garantire ricadute positive sui territori coinvolti.


L’Asia Centrale vuol fare blocco
Il vertice UE-Asia Centrale si è svolto in un clima di ritrovata stabilità nell’area, conseguita grazie ad uno storico accordo firmato lo scorso 13 marzo tra Kirghizistan e Tagikistan che delimita finalmente i confini tra i due paesi e mette fine ad una disputa durata trent’anni. Il conflitto, durato trent’anni, era stato originato anche da alcune controversie sul controllo di importanti risorse idriche, e in più di un’occasione ha portato negli anni scorsi a scontri armati tra le due repubbliche ex sovietiche.

Gli ultimi sanguinosi episodi bellici si sono verificati nell’aprile del 2021 e nel settembre del 2022, quando i due eserciti si sono scontrati lungo la frontiera causando centinaia tra morti e feriti.

L’accordo, firmato a Bishkek – la capitale kirghisa – dal presidente locale Sadir Japarov e dal suo omologo tagiko Emomali Rahmon, prevede uno scambio di territori, la riapertura della frontiera e il ripristino dei collegamenti civili e commerciali diretti.

L’accordo sembra propedeutico ad una maggiore cooperazione ed integrazione tra i cinque paesi dell’Asia Centrale ex sovietica, che sembrano interessati a fare fronte comune per avvantaggiarsi del proprio ruolo strategico nella competizione tra Cina, Russia e Unione Europea. Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria