Pagine Esteri – È la stessa stampa britannica ad affermare che il premier laburista sta cercando di imitare l’italiana Giorgia Meloni, varando un piano per deportare un certo numero di immigrati irregolari al di fuori del territorio nazionale.
In realtà, dal 2022 ci avevano già provato già il premier conservatore Boris Johnson e il suo collega di partito Rishi Sunak ad esternalizzare in Africa, per la precisione in Ruanda, la detenzione dei rifugiati non in regola con i documenti, scontrandosi con la Corte Suprema.
Dopo la dura sconfitta elettorale incassata dai Tories lo scorso anno il tentativo sembrava definitivamente abortito e accantonato dai Laburisti, ma ora è proprio il partito di centrosinistra al potere a riproporlo su scala ancora maggiore, forse nella speranza di rintuzzare gli assalti della destra radicale di “Reform UK” guidata dal redivivo Nigel Farage, data in testa alle preferenze elettorali da tutti i sondaggi.
In varie dichiarazioni, il premier Keir Starmer ha annunciato l’intenzione di creare dei centri di rimpatrio in paesi terzi dove rinchiudere, in particolare, migliaia di migranti le cui richieste d’asilo siano state respinte da Londra, in attesa quindi di essere deportati nei loro paesi di origine. Il governo starebbe lavorando al progetto per renderlo più solido rispetto al precedente piano varato dai Conservatori, per evitare che venga bocciato dalle massime istanze giudiziarie del Regno Unito.
Secondo i dati diffusi dal premier laburista, nei primi quattro mesi del 2025 sarebbero arrivate sulle coste inglesi dal Canale della Manica 162 imbarcazioni con a bordo 9.099 migranti, l’81% in più rispetto al 2024.
Nei giorni scorsi la stampa di Londra ha informato che il Regno Unito ha chiesto al Kosovo la possibilità di istituire dei “centri di rimpatrio” per migranti, ottenendo una disponibilità di massima da parte del governo della piccola repubblica balcanica nata dalla separazione di una provincia serba all’inizio degli anni Duemila. Sebbene non siano ancora stati avviati colloqui ufficiali, le autorità kosovare si sono dichiarate aperte a discutere la proposta.
D’altronde già in passato il Kosovo si era dimostrato disponibile a siglare accordi simili con altri paesi europei. Nel 2021 aveva inoltre stipulato un accordo da 200 milioni di euro con la Danimarca per accogliere 300 detenuti stranieri, che avrebbero dovuto scontare il resto della pena in Kosovo fino a quando non fossero stati deportati nel loro Paese d’origine. Finora, però, l’accordo non ha avuto alcuna attuazione.
Il Regno Unito auspicava che anche l’Albania fosse disponibile a ospitare uno dei suoi futuri hub di rimpatrio, ma il da poco riconfermato primo ministro locale, il socialista Edi Rama, lo scorso 15 maggio ha escluso questa possibilità nel corso di una conferenza stampa con l’omologo britannico Starmer. «Diversi Paesi ci hanno chiesto se siamo aperti a questa iniziativa, e noi abbiamo risposto di no, perché siamo fedeli al matrimonio con l’Italia» aveva spiegato Rama.
Fonti governative interpellate dal “Times” hanno affermato che il Kosovo è comunque un Paese “plausibile” per l’istituzione di un cento di rimpatrio, poiché si trova su una delle principali rotte utilizzate dai profughi diretti nell’Unione europea. Secondo il ministero degli Esteri di Londra, lo scorso anno quasi 22 mila migranti irregolari hanno utilizzato la rotta dei Balcani occidentali per entrare nell’Ue.
Il Kosovo sarebbe solo l’ultimo paese dell’area sondato dal premier britannico dopo vari colloqui in merito tenuti negli ultimi mesi con la premier italiana sulle caratteristiche del protocollo siglato da Roma e Tirana nel 2023.
Londra ha intavolato le prime informali trattative anche con la Serbia, la Macedonia del Nord, la Bosnia Erzegovina ed alcuni paesi extraeuropei. Londra potrebbe approfittare della riunione con i leader dei paesi dei Balcani Occidentali, prevista in autunno proprio nella capitale britannica, per fare progressi.
Ovviamente, in cambio dell’ospitalità accordata, il governo britannico è disponibile a fornire quella che Londra definisce “assistenza finanziaria” ai paesi che ospiteranno i centri di detenzione per migranti. Una prospettiva molto allettante per paesi come quelli individuati che sono tra i più poveri del continente.
L’iniziativa italiana e quella britannica – rivelatesi finora costose, scarsamente efficaci e in violazione dei diritti basilari dei richiedenti asilo – si inseriscono in una più generale tendenza dei paesi occidentali ad esternalizzare la gestione dei migranti, trasferendo una parte del processo di rimpatrio a paesi terzi. Si tratta di una mossa rivolta più che altro a dimostrare alle proprie opinioni pubbliche che i governi utilizzano la mano dura contro l’immigrazione clandestina, cercando di trarne profitto elettorale.
I governi puntano sui centri di rimpatrio esternalizzati per diversi motivi. Da un lato, perché allontanano forzatamente le persone immigrate dai territori dove si sono insediate, fornendo così ai leader politici la possibilità di dimostrare che stanno risolvendo il problema; dall’altro, i promotori di questi progetti sostengono che essi abbiano un effetto deterrente, convincendo i potenziali migranti a rinunciare al tentativo di giungere in Europa.
Oltre alla Gran Bretagna anche altri paesi europei – in particolare la Danimarca, la Germania, i Paesi Bassi e la Svizzera – stanno infatti valutando la possibilità di istituire dei centri offshore per migranti illegali in altri paesi. La misura dovrebbe inoltre essere inclusa nel nuovo Patto di migrazione e asilo dell’Unione Europea a partire dal prossimo anno, in attesa della sentenza della Corte di Giustizia europea sui «Paesi sicuri» in cui rimpatriare i profughi respinti.
Il progetto britannico e quello italiano sembrano però differenziarsi sulla base del fatto che mentre il primo tende a trasferire a paesi terzi la gestione dei profughi che hanno esaurito ogni via legale per ottenere l’asilo a Londra, l’accordo Italia-Albania prevede il trasferimento in due centri nel piccolo paese balcanico di migranti soccorsi in mare prima ancora che le richieste di asilo vengano esaminate.
Ad aprile, tra l’altro, il quotidiano londinese “Times” ha scritto che l’istituzione di centri di rimpatrio per immigrati dichiarati illegali avrebbe ricevuto un tacito sostegno da parte dell’Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati (l’Unhcr), che potrebbe risultare decisivo al momento di sdoganare gli accordi con i paesi balcanici presso una parte dell’opinione pubblica progressista e le istante giudiziarie. Pagine Esteri
* Marco Santopadre, giornalista e saggista, già direttore di Radio Città Aperta, è un analista dell’area del Mediterraneo, del Medio oriente e dell’Africa. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria