Con il discorso annuale sullo “stato dell’Unione”, Ursula von der Leyen si trova in una delle fasi più delicate del suo mandato a causa della sua linea di sostegno a Israele mentre Gaza subisce una offensiva militare catastrofica. La presidente della Commissione europea, che oggi illustrerà all’Europarlamento i punti principali del programma per l’anno a venire, è chiamata a confrontarsi con una crescente pressione politica: deputati centristi, socialisti, verdi e liberali le chiedono di rompere gli indugi e di assumere una posizione più decisa nei confronti del governo israeliano.
Il tema nelle ultime settimane si è caricato di urgenza. L’Unione europea ha già riconosciuto che Israele ha violato i suoi obblighi in materia di diritti umani e ha predisposto un elenco di possibili misure restrittive. Tuttavia, nessuna è stata applicata. Le divisioni interne tra i Ventisette hanno congelato ogni tentativo: la proposta avanzata a luglio dalla Commissione di sospendere la partecipazione israeliana ad alcune attività del programma di ricerca Horizon Europe, dal valore complessivo di 94 miliardi di euro, è fallita per la mancanza di sostegno dei maggiori Stati membri, in particolare Germania e Italia alleate di Israele.
Ieri, l’Alto rappresentante per la politica estera, Kaja Kallas, ha fotografato la situazione con un realismo disarmante: «Le nostre opzioni sono chiare e restano sul tavolo, ma gli Stati membri non sono d’accordo su come convincere il governo israeliano a cambiare rotta. Non possiamo muoverci come Unione finché non vi sarà consenso». Kallas ha anche rivendicato alcuni “progressi” registrati dall’accordo umanitario siglato a luglio con Israele: tra il 10 luglio e il 1° settembre, ha spiegato, 2.904 camion sono riusciti a entrare nella Striscia, laddove tra marzo e luglio non ne era passato neanche uno. Ciò ha permesso la riapertura dei valichi e un maggiore afflusso di carburante. Ma la stessa Kallas ha ammesso che «non è stato sufficiente», mentre la popolazione civile continua a fare i conti con fame, malattie e distruzione.
Nel Parlamento europeo la pazienza sembra esaurita. Iratxe García Pérez, capogruppo socialista, ha accusato Von der Leyen di essersi rifugiata in un silenzio “complice”: «L’accordo umanitario è stato utilizzato come scusa per non prendere iniziative contro il governo di Israele. Non possiamo essere complici quando un governo sta assassinando decine di migliaia di persone. Ciò di cui abbiamo bisogno è una leadership europea».
Anche Hilde Vautmans, liberale belga vicina a Kallas, avverte del rischio di un crollo di credibilità: «Questa carestia non è un disastro naturale, è un atto politico. Se l’Europa continua a parlare di valori senza agire, tradiremo la promessa del “mai più”». Vautmans ha presentato una risoluzione che chiede la sospensione della parte commerciale dell’accordo di associazione UE-Israele e misure più dure contro i coloni israeliani violenti in Cisgiordania, inclusa l’interdizione al commercio di prodotti provenienti dagli insediamenti illegali. La votazione è fissata per giovedì, ma resta incerto se il testo raccoglierà una maggioranza, con popolari e socialisti divisi e parte della sinistra che giudica la proposta insufficiente.
Il fronte verde, attraverso il co-leader Bas Eickhout, ha rincarato la dose: «La Commissione appare scollegata dalla realtà quando si limita a ribadire la formula della soluzione a due Stati, senza considerare le politiche di Netanyahu che rendono tale obiettivo sempre più irraggiungibile. Limitarsi agli slogan significa rendersi estranei a ciò che accade davvero». Per Eickhout, l’esempio da seguire è quello dell’Ucraina: «Von der Leyen ha mostrato leadership quando ha spinto per lo status di candidato all’UE, superando le resistenze di alcuni governi. Se avessimo aspettato l’unanimità, saremmo ancora fermi. Lo stesso coraggio serve per Gaza».
Le critiche non arrivano solo dall’aula di Strasburgo. Un gruppo di 116 ex eurodeputati – provenienti da schieramenti che vanno dal centro-destra alla sinistra radicale – ha inviato una lettera aperta a von der Leyen e Kallas per chiedere la sospensione dell’accordo di associazione con Israele. Tra i firmatari spicca il nome di Josep Borrell, ex Alto rappresentante e da tempo voce critica del lassismo europeo sulla crisi in Medio Oriente.
L’imbarazzo della Commissione è amplificato dal paragone con altre crisi internazionali. Sull’Ucraina, Bruxelles ha agito con rapidità e fermezza, imponendo pacchetti di sanzioni alla Russia e accelerando il percorso europeo di Kiev. Sul dossier israelo-palestinese, invece, prevalgono esitazioni e veti incrociati, in un contesto aggravato dall’influenza di alleanze strategiche e sensibilità storiche diverse tra i governi dei Ventisette.
Per Von der Leyen, il discorso sullo stato dell’Unione sarà molto più di una vetrina programmatica: rappresenta una prova politica decisiva per dimostrare la capacità dell’Unione europea di essere credibile sulla scena internazionale. Perché a Gaza, ricordano gli eurodeputati più critici, non è in gioco soltanto il destino di un popolo assediato, ma anche la coerenza dell’Europa.