Pagine Esteri – Domenica e lunedì decine di delegazioni hanno partecipato nella capitale algerina ai lavori della “Conferenza internazionale sui crimini del colonialismo in Africa”.

La conferenza si è tenuta sulla base di una risoluzione, adottata a febbraio dall’Unione Africana, che chiede giustizia e meccanismi riparatori che consentano ai paesi coinvolti di poter affrontare le durature conseguenze politiche, economiche e sociali del dominio coloniale europeo. Uno degli obiettivi espliciti dell’iniziativa è stato quello di elaborare una posizione africana unitaria sulla questione dei risarcimenti e di inserire il colonialismo nella lista dei “crimini contro l’umanità” riconosciuti dal diritto internazionale.

Infatti mentre la schiavitù, la tortura e l’apartheid sono esplicitamente menzionati dalle convenzioni internazionali, neanche la Carta delle Nazioni Unite, che pure condannando l’occupazione di territori altrui, fa alcun riferimento specifico al colonialismo.

Molti paesi africani sostengono che questa lacuna giuridica abbia contribuito a proteggere le ex potenze coloniali anche secoli di furto di di risorse, lavoro forzato, espropriazione territoriale e sottomissione politica continuano a condizionare fortemente la condizione economico e sociale del continente africano. Secondo alcuni economisti, il costo complessivo dello sfruttamento coloniale dell’Africa ammonterebbe a varie migliaia di miliardi di dollari.

Inoltre le richieste di risarcimento includono anche la restituzione di beni archeologici, culturali e storici confiscati durante l’epoca coloniale e ancora conservati nei musei europei.

Il messaggio centrale diffuso dalla Conferenza di Algeri è che l’Africa non intende chiudere il capitolo della dominazione coloniale senza attivare un percorso internazionale fondato su una memoria condivisa, sul riconoscimento dei crimini commessi dalle potenze coloniali e sulla riparazione.

La Dichiarazione di Algeri
Questi intenti sono stati riassunti nella “Dichiarazione di Algeri” adottata dalla Conferenza al termine dei lavori e che sarà sottoposta all’esame e all’approvazione dell’Assemblea dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione Africana convocata nel febbraio 2026.

La Dichiarazione ha chiesto la proclamazione del 30 novembre come “Giornata africana di omaggio ai martiri e alle vittime della tratta transatlantica degli schiavi, della colonizzazione e dell’apartheid”, sulla base di una proposta avanzata dal presidente algerino Abdelmadjid Tebboune.

Il testo invita esplicitamente le ex potenze coloniali ad «assumersi pienamente le proprie responsabilità storiche attraverso il riconoscimento pubblico ed esplicito delle ingiustizie commesse», raccomandando «la creazione di archivi digitali panafricani, la revisione dei programmi educativi e la creazione di memoriali, musei e giornate commemorative».

I partecipanti hanno raccomandato l’istituzione, da parte degli stati membri dell’Unione Africana, di “Commissioni nazionali per la verità e le riparazioni”, oltre a sostenere «l’istituzione e il rafforzamento di meccanismi legali a livello nazionale, regionale, continentale e internazionale volti a istituzionalizzare la criminalizzazione del colonialismo nel diritto internazionale attraverso la documentazione, l’accesso e la restituzione completa degli archivi, e a garantire sia la responsabilità legale per i crimini coloniali sia le loro conseguenze durature».

La Dichiarazione sostiene inoltre «la creazione di un Comitato panafricano sulla memoria e la verità storica, che avrà il compito di armonizzare gli approcci storici, supervisionare la raccolta degli archivi, coordinare i centri di ricerca africani e produrre analisi e raccomandazioni per il continente».

I firmatari sottolineato da questo punto di vista «l’urgente necessità di riformare i sistemi educativi africani per integrare pienamente la storia precoloniale, coloniale e postcoloniale e per dotare le giovani generazioni di una coscienza storica informata».

Risarcimento ambientale
Gli estensori del documento hanno anche affermato «la necessità di stabilire una valutazione continentale dell’impatto ecologico e climatico del colonialismo e delle esigenze di riabilitazione dei territori colpiti da test nucleari, chimici e industriali», sostenendo «l’istituzione di una Piattaforma africana per la giustizia ambientale, incaricata di identificare le aree colpite, valutare i danni, supportare gli Stati interessati e formulare raccomandazioni continentali per la riabilitazione e il risarcimento».

«Esortiamo gli stati storicamente responsabili dei danni ambientali che hanno causato il cambiamento climatico, in particolare le ex potenze coloniali, ad assumersi la propria responsabilità morale e politica, invitandoli a fornire supporto finanziario, tecnologico e istituzionale agli sforzi di adattamento e mitigazione del continente» recita un passaggio della Dichiarazione.

L’Africa nel mondo multipolare
Per quanto riguarda le ricadute economiche, la Dichiarazione di Algeri sottolinea «l’importanza di intraprendere un audit continentale degli impatti economici del colonialismo al fine di sviluppare una strategia di riparazione basata sulla giustizia che comprenda, tra le altre cose, il risarcimento per la ricchezza saccheggiata, la cancellazione del debito e un equo finanziamento dello sviluppo».

Il documento sottolinea inoltre la necessità di riformare la governance economica globale per smantellare l’eredità coloniale radicata nelle istituzioni finanziarie internazionali e nei regimi commerciali.

A tale scopo, i partecipanti hanno chiesto «la revisione dell’architettura finanziaria internazionale, compreso un effettivo riequilibrio del potere decisionale all’interno del FMI, della Banca Mondiale, delle banche regionali di sviluppo e degli organismi di regolamentazione economica globale, consentendo ai paesi africani di definire liberamente le proprie politiche di sviluppo, accedere ai finanziamenti a costi equi e partecipare pienamente alle decisioni che plasmano l’economia globale».

La Conferenza e la richiesta di congrui risarcimenti da parte delle ex potenze coloniali europee – Portogallo, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Italia, Germania – si inseriscono in un contesto geopolitico nel quale i paesi africani tentano di sfruttare le nuove sponde economiche e diplomatiche offerte dalle potenze emergenti attive nel continente – Cina, Russia, Turchia ed Emirati Arabi – per poter rafforzare la propria posizione nelle trattative in corso con l’Unione Europea.

All’interno di uno scenario già multipolare segnato da una feroce competizione tra le diverse potenze, la memoria storica e la richiesta di un risarcimento per i saccheggi e le violenze inflitte ai popoli del continente costituiscono un potenziale strumento per riequilibrare rapporti asimmetrici con i paesi europei.

Il protagonismo dell’Algeria
A fare gli onori di casa è stato il Ministro degli Esteri algerino, Ahmed Attaf, che nel corso del suo intervento nella sessione inaugurale ha spiegato che le sofferenze inflitte dalla Francia al suo paese durante l’occupazione coloniale, mai del tutto riconosciute da Parigi, hanno spinto Algeri ad ospitare la conferenza.

Dal 1954 al 1962 l’Algeria affrontò infatti una delle più sanguinose guerre anticoloniali di tutto il continente prima di poter ottenere l’indipendenza; il conflitto causò centinaia di migliaia di vittime e le forze di occupazione francesi, sostenute da milizie formate da coloni, si resero responsabili di eccidi, rapimenti e torture.

Secondo Attaf, il risarcimento dovuto dai paesi colonizzatori dovrebbe essere considerato un obbligo legale e non un gesto di magnanimità. L’Africa «ha il diritto di esigere il riconoscimento ufficiale ed esplicito dei crimini commessi contro i suoi popoli durante il periodo coloniale» che continuano ad imporre «un prezzo pesante in termini di esclusione, emarginazione ed arretratezza».
«Il colonialismo non è una macchina pensante, né un corpo dotato di ragione; è violenza allo stato naturale» ha detto il dirigente algerino citando Frantz Fanon».

Attaf non ha mancato di ricordare che il periodo coloniale ha lasciato dietro di sé enormi strascichi e conflitti, citando il caso del Sahara Occidentale, ex colonia spagnola parzialmente occupata dal Marocco negli anni ’70, come un dossier di decolonizzazione irrisolto.

Sono sempre più numerosi i paesi occidentali ma anche africani che stanno riconoscendo l’annessione del Sahara occidentale al Marocco, riconosciuta della mozione approvata recentemente dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che cita l’autonomia della regione all’interno del territorio di Rabat come base di partenza per ogni soluzione negoziale, di fatto cancellando la priorità da sempre accordata ad un referendum che permetta alla popolazione dei territori occupati di decidere il proprio destino.

Ma il Ministro degli Esteri algerino ha ribadito il sostegno del proprio paese al popolo saharawi, elogiandone la lotta «per affermare il proprio legittimo e legale diritto all’autodeterminazione».

È indubbio che il governo algerino abbia utilizzato la conferenza per segnare qualche punto contro il Marocco, suo eterno rivale, cercando di recuperare agibilità dopo la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul Sahara occidentale promossa dall’amministrazione Trump. – Pagine Esteri

* Marco Santopadre, giornalista e saggista, si occupa di geopolitica e movimenti sociali. Scrive anche di Spagna e movimenti di liberazione nazionale. Collabora con Pagine Esteri, il Manifesto, El Salto Diario e Berria.